Mentre gli occhi dell’opinione pubblica globale sono puntati sull’esodo siriano, rischia di esplodere una nuova polveriera in Medio Oriente. Crescono le tensioni tra israeliani e palestinesi per il controllo di uno dei luoghi più sacri al Mondo.
Mai come oggi il Medio Oriente appare in tumulto. L’acutizzarsi della guerra in Siria con l’ingresso di nuovi attori, l’espansione silente dell’Isis, il ritorno allo scontro aperto tra il governo turco e il PKK curdo e il perseverare del conflitto in Yemen. La regione è in fiamme e dall’incendio, com’è noto a tutti, scappano milioni di uomini e donne, portando la crisi non più solo sulle scrivanie delle cancellerie europee, ma direttamente ai confini e nelle stazioni dei bus di un Vecchio Continente sino ad ora incapace di formulare anche solo un abbozzo di proposta sulla gestione del problema.
In tutto questo la polveriera mediorientale per eccellenza, la regione palestinese, sembra sorprendentemente quieta. Ma è davvero così? O forse sarà la cronica incapacità di guardare oltre alla “crisi del giorno”.
Da più di una settimana sono in atto duri scontri a Gerusalemme alla “Spianata delle Moschee”, apice della vecchia città. In questa collina che domina su Gerusalemme sorge la famosissima Moschea Omar, meglio nota come “Cupola della Roccia”, al cui interno si troverebbe la pietra dove, secondo la tradizione biblica, Dio avrebbe chiesto ad Abramo di sacrificare il suo primogenito Isacco e dove, secondo la tradizione coranica, Maometto sarebbe asceso (mi’raj) miracolosamente al cielo per incontrare i Profeti, gli Angeli e Dio stesso. In prossimità della Cupola della Roccia si trova anche la vicina Moschea di Al-Aqsa, dove Maometto sarebbe atterrato direttamente dalla Mecca alla fine del suo mitico viaggio notturno (guidato dall’arcangelo Gabriele), prima di procedere alla sua ascensione. Questo complesso è noto nel mondo musulmano come “Monte Majid” o “Al-Haram Al-Sharif” (Nobile Santuario), terzo luogo più sacro dell’Islam. Su quella stessa cima, tuttavia, si trovava anche il Grande Tempio Giudaico, luogo sacro per eccellenza per la fede ebraica, (e per quella cristiana, in quanto sede di una buona parte degli eventi evangelici nei quali Gesù si scontrava con i sacerdoti del tempio), costruito la prima volta da Re Salomone, distrutto per la prima volta dal Re babilonese Nabucco II nel 568 a.c., poi riedificato e infine definitivamente distrutto dai romani nel 70 d.c. (anno d’inizio della nota “diaspora ebraica”). I resti del secondo tempio, ancora oggi presenti e attigui al “Nobile Santuario” islamico, sono noti come “Muro del Pianto”.
Con l’inizio dell’anno ebraico, migliaia di fedeli si recano al Muro del Pianto e questo 13 settembre la tensione è iniziata proprio qui. Alcuni attivisti palestinesi hanno protestato per la massiccia presenza ebraica al Muro, contiguo alla spianata delle Moschee. La polizia israeliana, come reazione, e per proteggere i fedeli ebrei, oggetto del lancio di pietre da parte degli attivisti, ha occupato in diverse occasioni il sito e fatto irruzione all’interno della Moschea di Al-Aqsa, infiammando ancor di più gli animi. Dietro le quinte a gettare benzina sul fuoco, diversi gruppi ultra conservatori israeliani che propongo di risolvere una volta per tutte la questione abbattendo il sito islamico e dando via alla riedificazione del “Terzo Tempio Giudaico”, la cui costruzione è prevista, secondo la tradizione ebraica, con l’avvento dell’epoca messianica, dove grazie al Messia ci sarà finalmente un tempo di pace e prosperità per il popolo ebraico.
Un proposito, quello di riedificare il Tempio, che ha una sua crudele ironia, considerato che da uno scenario del genere tutto si potrebbe ottenere fuorché la pace. Da quando infatti, nel 1967, Israele sottrasse alla Giordania il controllo sulla parte araba di Gerusalemme, tra cui la vecchia città, per i palestinesi e per il mondo islamico in generale le sorti del Monte Majid e l’eventuale distruzione delle due moschee a favore del terzo tempio sono diventate una vera e propria ossessione. Basti pensare che fu la visita al sito da parte di Ariel Sharon, allora capo del Likud, a dare inizio alla Seconda Intifada palestinese nel 2000.
Da circa sette secoli, un “Waqf” musulmano controlla ininterrottamente il sito, sancendo quindi il dominio musulmano sulla spianata iniziato col Settimo Secolo dopo Cristo. Nel 1757 una prima forma di “status quo” venne istituita, garantendo la possibilità di pregare a ebrei e cristiani a patto di non interferire col culto islamico. A seguito della caduta dell’Impero Ottomano, il mandato britannico lasciò comunque la gestione del sito in mano musulmana, che continuò sotto il governo giordano fino al 1967. Moshe Dayan ha garantito che il controllo “religioso” del sito resta al Waqf, mentre politicamente il territorio appartiene a Israele. Lo status quo attualmente vigente non è troppo diverso nella forma da quello del 1757 e garantisce agli ebrei il diritto di pregare nel rispetto dei riti musulmani. La relativa stabilità che ne seguì fece sì che il sito fu accessibile ai turisti fino al 2000, quando, con lo scoppio della seconda intifada, fu chiuso al pubblico, misura ancora oggi in vigore.
Oggi la tensione è tornata alta. Una tensione palpabile, che coinvolge persino team di archeologi israeliani e palestinesi i quali si accusano a vicenda di “sabotare” reperti musulmani o giudaici, e che oggi sta raggiungendo il suo punto di non ritorno. Netanyahu si è dichiarato pronto a cambiare le regole d’ingaggio della polizia, ritenendo insufficienti le misure finora adottate per salvaguardare i fedeli che si recano al Muro dal lancio di pietre. Per il mondo arabo tale prospettiva è vista come l’inizio di quanto temuto da quasi cinquant’anni ovvero la rottura dello status quo e la distruzione della spianata delle moschee. Il governo giordano ha fatto sapere che è pronto, anche se a “malincuore”, a intervenire nella questione mentre il Re Saudita ha chiamato Hollande e Putin lamentando le violazioni israeliane e invocando l’intervento dell’Onu.
Intanto, dopo l’irruzione di alcuni coloni nel sito avvenuta l’otto di Settembre, alcuni attivisti israeliani a favore della riedificazione del terzo tempio si è detta pronta a manifestare sotto il Muro del Pianto, col rischio di confrontarsi direttamente con gli attivisti palestinesi di Murabitun, contrari alla presenza di fedeli di altre religioni nel terzo luogo sacro per l’Islam. La partita sembra appena cominciata e lo status quo sembra piacere a sempre meno persone. La posta in gioco è alta: per quanto sembra improbabile che Netanyahu possa accogliere le proposte degli zeloti israeliani sul Terzo Tempio, potrebbe comunque strizzar loro l’occhio proponendo un cambiamento definitivo e unilaterale della situazione attuale. Una misura sufficiente a scatenare una terza intifada, compromettendo forse l’unico settore medio orientale non ancora sconvolto da un conflitto aperto che potrebbe addirittura assumere i toni di una guerra regionale tra Israele e i propri vicini, qualcosa che non accadeva da decenni e che, certamente, la comunità internazionale non può certo permettersi in un Medio Oriente già ora sulla soglia del precipizio.