Piccoli eventi circoscritti nella storia a volte possono dar vita a conseguenze enormi. Com’è iniziata la schiavitù in America? L’episodio scatenante, spesso viene trascurato dai libri di storia americani e non. Eppure sapere come tutto è cominciato ci aiuta a comprendere la natura di fenomeni che pensiamo di conoscere.
Gli Stati Uniti d’America iniziano a svilupparsi sulle sponde del fiume James, Virginia, quando nel 1607 alcuni coloni spediti da Londra fondano la prima colonia permanente nel nuovo mondo: Jamestown.
Il destino di quella che in principio era solo una piccola fortificazione sembrava molto incerto: due terzi della popolazione iniziale morirono entro il primo inverno e la situazione diventò estremamente critica negli anni 1609-1610 quando la colonia rischiò di estinguersi per mancanza di cibo.
In seguito i coloni, forti dell’acquisita conoscenza del luogo e di ulteriori risorse umane e materiali inviate dal vecchio mondo, riuscirono a trasformare Jamestown in un fiorente insediamento che si ingrandì ed arricchì notevolmente grazie alle piantagioni di tabacco e al commercio con alcuni gruppi di nativi.
La società si strutturò: una ridotta classe di gentlemen possedeva le piantagioni, dando lavoro ad una vasta platea di persone arrivate da tutta Europa per cercare un futuro migliore.
Nel 1619 furono trasportati a Jamestown i primi 20 africani di colore. In questo primo periodo tutte le persone rappresentanti la forza lavoro approdata nel nuovo mondo, africani compresi, venivano trattate come indentured servants sulla base del tipico contratto di lavoro che veniva loro offerto.
Questo prevedeva che lavorassero, solitamente nelle piantagioni, per un periodo di tempo definito dietro pagamento di un salario. Scaduto il termine venivano lasciati liberi da ogni vincolo, a volte con un appezzamento di terra dato loro in proprietà. Lungi dal dire che le condizioni di lavoro erano buone, il concetto di schiavitù però tendenzialmente ancora non esisteva. Soprattutto, le differenze di trattamento sulla base della razza erano assai minime.
Attorno al 1670 sbarca a Jamestown un giovane signore dell’alta borghesia inglese, Nathaniel Bacon. In buoni rapporti col governatore della colonia, Bacon acquista delle piantagioni sistemandosi però vicino al confine occidentale, essendo già occupati tutti i territori sul mare.
Tale area era vicina a numerosi insediamenti di nativi americani e con alcuni dei quali i rapporti erano molto tesi per via di episodi violenti accaduti precedentemente. Bacon, sentendosi in pericolo e probabilmente avendo mire nei confronti di quei territori, iniziò a esercitare pressioni nei confronti dell’élite che governava la colonia affinché dichiarassero guerra agli indiani e li allontanassero.
Tali pressioni, spesso accompagnate da pretestuosi episodi di violenza nei confronti dei nativi da parte di Bacon e dei suoi uomini, non vennero tuttavia accolte: gli interessi della classe dirigente erano quelli di stabilizzare i rapporti con i nativi, soprattutto per ragioni commerciali.
Fu allora che Bacon organizzò un proprio esercito riunendo dai 300 ai 500 uomini. Per perseguire i suoi propositi, esercitò un forte condizionamento nei confronti della classe povera della colonia che aizzò contro l’élite di proprietari terrieri al governo, criticando aspramente il governatore e chiedendo sicurezza contro i nativi. La società era divisa in classi: l’élite proprietaria in cima alla piramide era seguita dai freemen (lavoratori liberati e benestanti), dagli indentured servants e dai poveri bianchi e neri.
Le persone unitesi a Bacon appartenevano a tutte queste classi sociali inferiori, soprattutto le più povere, senza distinzione circa il colore della pelle. Tale esercito, dopo qualche azione violenta nei confronti di alcune tribù, mosse contro Jamestown per soverchiare il potere costituito nel settembre 1676.
Bacon ed i suoi riuscirono a bruciare gran parte della città e a far barricare il governatore e le sue forze oltre il fiume. La storia sarebbe potuta continuare con risvolti sconosciuti se Bacon non fosse morto nel mese di ottobre a causa di una malattia. Venuto a mancare il capo, la rivolta si sbriciolò e il governatore riprese il controllo della colonia.
La parte interessante però accade ora.
Poveri bianchi e neri, indifferentemente, si erano uniti ai ribelli della frontiera, e la visione di questa unità eterogenea allarmò la classe dominante, preoccupata di assicurare stabilità. Da qui l’idea di formalizzare la figura degli schiavi di colore per creare una divisione all’interno di tale unità.
La creazione di una classe sociale che avrebbe arginato il desiderio della classe povera di non essere l’ultima ruota del carro. Il governo della colonia in quegli anni emanò una serie di leggi che decretarono il passaggio da una società basata sulla differenza di classi ad una basata sulla differenza di razza.
Si formalizzò che i neri non potessero possedere armi, che non potessero imparare a leggere e scrivere e che il battesimo non avrebbe potuto cambiare la loro condizione e molto altro. Subito la classe povera ebbe interessi diretti nell’esistenza e nel mantenimento della schiavitù, e la classe dirigente se ne assicurò una relativa accondiscendenza.
Tale pratica si estese da Jamestown a tutte le altre colonie e diede vita ad uno dei fenomeni più vergognosi della storia moderna. L’istituto della schiavitù negli Stati Uniti finì formalmente nel 1964 grazie al Civil Rights Act quasi 300 anni dopo l’apparentemente insignificante evento che ne diede formalmente inizio.
Di Leonardo Stiz