di Christian Piscopo
La Mesa de la unidad democrática (MUD) vince pacificamente le elezioni in Venezuela dopo 16 lunghi anni all’opposizione. Il presidente Nicolás Maduro, erede politico di Hugo Chávez, ha riconosciuto in diretta televisiva “la sconfitta elettorale”, attribuendola alla “crisi economica”. Con 112 deputati, il MUD si garantisce la maggioranza qualificata dei 2/3 dell’Assemblea Nazionale.
Mai prima d’ora. È la prima volta che l’opposizione venezuelana esce vittoriosa dalle elezioni parlamentari, sin da quando questo Parlamento fu istituito nel 2000 con l’approvazione della Costituzione Bolivariana, dopo la dissoluzione dell’antico Congresso. La partecipazione al voto è stata del 74,2%, un dato significativo, che attesta la polarizzazione della società venezuelana divisa tra i sostenitori del chavismo e i suoi avversari. È anche la prima volta che l’opposizione affronta una tornata elettorale con un’ampia coalizione che ha visto al suo interno un ventaglio eterogeneo di partiti che spaziano dai socialdemocratici ai liberali, fin’anche all’estrema destra. È la prima volta che l’opposizione controllerà l’Assemblea Nazionale, mentre il Presidente, Costituzione alla mano, rimarrà Nicolás Maduro.
Maggioranza semplice o qualificata. Con la maggioranza semplice di 99 deputati, annunciata subito dopo gli spogli elettorali, l’Assemblea potrà promuovere emendamenti da votare tramite referendum, voti di sfiducia nei confronti del vice Presidente e dei ministri, potrà autorizzare l’invalidità del mandato presidenziale e dei deputati, approvare lo stato di emergenza oltre alle riforme costituzionali. L’Assemblea avrà inoltre il potere di acconsentire un’amnistia per i prigionieri politici.
Tuttavia, con la maggioranza qualificata attualmente confermata, il Parlamento potrebbe, in aggiunta, approvare leggi sulla sicurezza nazionale, sull’economia e porre il veto sui decreti voluti dall’esecutivo, oltre che rimuovere membri del Consiglio Nazionale Elettorale e del Tribunale Superiore di Giustizia. Questa maggioranza qualificata potrebbe quindi costringere il Presidente Maduro a cedere ad alcune richieste dell’opposizione per garantire la stabilità del proprio Governo.
La sfida. Il nuovo parlamento avrà il compito di ridare voce al popolo e garantirle rappresentanza, ristabilendo l’indipendenza e l’autorità del potere legislativo, offuscata dall’eccessivo accentramento dei poteri nelle mani del Presidente della cosiddetta democrazia venezuelana. Ma è dal fronte economico che arrivano le sfide maggiori, basti pensare che il 95% degli introiti delle esportazioni dipendono dal petrolio, mentre l’apparato produttivo e il settore privato sono fermi. I proventi del petrolio fino ad ora sono stati destinati a “grandiosi” programmi sociali che ora lo Stato non è più in grado di garantire, se non grazie all’aiuto di onerosi prestiti internazionali. Inoltre, i fondi di risparmio non sono stati consolidati e l’economia non si è diversificata. A tutto questo si aggiunga la svalutazione della moneta nazionale, l’iperinflazione e la mancanza di generi di prima necessità (tra cui la carta igenica).
E gli alleati del Venezuela? Il risultato delle elezioni in Venezuela, sommate alle ultime elezioni presidenziali in Argentina (in cui ha prevalso la destra conservatrice neoliberale) e alla situazione del Brasile, in cui la Presidente Dilma Rousseff è alle prese con il processo di impeachment aperto dal Presidente della camera e avversario politico Eduardo Cunha, segnalano cambi considerevoli negli equilibri dell’America Latina. Il nuovo Presidente argentino Mauricio Macri, subito dopo la sua elezione, ha dichiarato di voler espellere il Venezuela dal Mercosur, invocando il Protocollo de Ushuaia sul compromesso democratico. Macri ha inoltre dichiarato prioritario un avvicinamento economico al Brasile. Ad ogni modo, l’asse Buenos Aires-Brasilia-Caracas si è spezzato. Dopo una decade in cui il brasiliano Lula, il venezuelano Chávez e l’argentina Kirchner, hanno portato avanti la linea di rottura con gli Stati Uniti, i due attuali governi di Brasile e Argentina, (nonostante i diversi colori politici), stanno cambiando orientamento, isolando il Venezuela di Maduro e avvicinandosi all’ingombrante vicino nordamericano. Cuba, altro alleato della sinistra latinoamericana, resta a guardare, ma il recente disgelo dei rapporti tra La Havana e Washington ha avuto il suo peso negli equilibri sudamericani.
Nuovi scenari in America Latina. Alcuni esperti credono che l’Argentina sia sempre stato un paese chiave per il progresso delle sinistre in Sud America, e hanno rilevato come i movimenti di sinistra sviluppatisi nell’ultimo decennio abbiano imitato in qualche modo il modello peronista. La vittoria di un centro-destra moderato in Argentina potrebbe annunciare un effetto domino anche su altri paesi dell’area. Nell’attuale mondo globalizzato, dove la crisi economica è un fenomeno che coinvolge tutti, indipendentemente dall’ideologia politica del Paese, questa successione di eventi forse non è sufficiente per immaginare uno scenario in cui l’Argentina diventa l’ esempio di governo da seguire per i paesi limitrofi, come ad esempio il Venezuela. Ma è il segno evidente di una tendenza in divenire.
Alcuni Stati assistono impotenti al rallentamento della propria crescita, altri subiscono recessioni. In questo contesto le etichette di partito perdono valore. Ogni Paese dovrà elaborare la propria ricetta per raggiungere l’obiettivo comune di un’America Latina prospera, e per riuscirci bisognerà probabilmente ragionare in termini di integrazione regionale.