di Davide Vavassori
Come ha potuto un’alleanza figlia della Guerra Fredda sopravvivere al compimento del suo obiettivo alla caduta dell’URSS? La NATO ha provato a reinventarsi e, nonostante non ci sia riuscita, è rimasta in piedi, prigioniera delle stesse strutture che la rendono indispensabile per i suoi membri.
Da quando la Turchia ha richiesto l’intervento della NATO nella disputa divampata con la Russia sul confine con la Siria, e ancora più ora che la guerra per procura sulla Siria rischia di trasformarsi in un conflitto tradizionale tra grandi potenze, è necessario chiedersi quale sia oggi il ruolo dell’Alleanza Atlantica.
La NATO (North Atlantic Treaty Organization, o Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord, in italiano) nasce nel 1949 come l’unione dei paesi occidentali in funzione anti-sovietica. Da subito si stabilisce come la principale connessione politica tra gli Stati Uniti e il continente europeo, condizione dettata dal contesto bipolare dell’epoca, ma rimasta immutata fino a oggi.
L’Alleanza Atlantica non ha eguali nella storia per svariati motivi. Il tratto assolutamente eccezionale è che nasce come alleanza permanente e illimitata nel tempo: nessun’altra alleanza tra Stati è mai durata così a lungo. In virtù di questa singolare caratteristica, la NATO sviluppa una seconda eccezionalità nel grado di istituzionalizzazione della sua struttura organizzativa: i tre organi che compongono l’Alleanza Atlantica – il Consiglio, l’Assemblea Parlamentare e il Segretario – hanno dato vita a un sistema normativo molto complesso, tanto che chi oggi cerca informazioni sul funzionamento della NATO si perde in labirintiche procedure.
Un altra singolarità della NATO è che i paesi membri non hanno pari ruolo al suo interno, ma sono organizzati gerarchicamente in modo consapevole, ma non ufficiale, al di sotto degli Stati Uniti, veri leader indiscussi di un’alleanza ineguale.
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Tutte queste peculiarità fanno sì che anche dopo la fine della Guerra Fredda e l’implosione dell’Unione Sovietica, la NATO sia sopravvissuta, grazie anche all’alto grado di istituzionalizzazione organizzativa. Ciò non ha impedito all’Alleanza di entrare in crisi. Una crisi dettata anzitutto dal trovare uno scopo diverso da quello per cui era nata e che l’ha vista vincitrice nel 1989.
Un primo tentativo di risposta arriva dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, quando George Bush propone di dare uno scopo non più regionale ma globale alla NATO, elevandola a istituzione contro il terrorismo in Afghanistan e nel mondo; un ruolo confermato e reiterato dal discorso all’Assemblea Nazionale del Presidente francese François Holland, a seguito gli attentati di Parigi del 13 novembre 2015.
Ma ciò forse non basta a giustificare l’aumento dei “costi di partecipazione” all’Alleanza. Ai partner di secondaria importanza viene richiesto di partecipare alle iniziative sempre più temerarie degli Stati Uniti. Un esempio è l’adesione italiana al contingente NATO in Afghanistan: assolutamente non decisivi dal punto di vista tattico-militare, i soldati italiani servono anche a legittimare la presenza USA in territorio afghano come parte di un’iniziativa “multilaterale”.
Anche per gli Stati Uniti i costi di partecipazioni aumentano, ma in modo radicalmente diverso. Se lo scopo della NATO viene esteso geograficamente, significa che tutte le guerre regionali dei partner minori (nonostante l’art.5 del Patto Atlantico garantisca al Congresso americano la possibilità di defilarsi) mettono Washington nella posizione di dover intervenire ovunque a sue spese. Questo accadde in Serbia e Kosovo quando, suo malgrado, Bill Clinton fu costretto a entrare in guerra spendendo milioni di dollari dei contribuenti americani in un conflitto all’apparenza irrilevante per gli Stati Uniti.
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La nuova missione globale post 11 settembre 2001 ha quindi modificato la natura della NATO: da alleanza difensiva ad alleanza offensiva e, questo, fa emergere le differenze strategiche e d’interessi dei numerosi membri della NATO, 28 in totale, dal Canada alla Turchia.
Malgrado tutte le sue inefficienze, la NATO è ancora in piedi e la sua fine non sembra essere per nulla vicina. Anche perché, al netto della crisi di credibilità e dei confusionari obiettivi strategici, l’Alleanza Atlantica resta ancora utile, in modi diversi, a tutti i suoi membri.
La NATO è oggi vitale per i paesi europei, in quanto unica struttura politico-militare in grado di provvedere alla difesa del territorio europeo e alla stabilità delle regioni ad esso circostanti. In mancanza di una politica estera e di difesa europea, l’Alleanza Atlantica resta l’unico deterrente militare operativo in Europa, in cui gli Stati Uniti offrono – a caro prezzo – un contributo decisivo. A prova di questo basti notare come tutte le crisi recenti che hanno infiammato i paesi vicini all’Unione europea – come Serbia, Kosovo e Libia – siano state risolte (bene o male) con interventi americani a capo dell’Alleanza Atlantica.
D’altra parte, la NATO resta indispensabile agli Stati Uniti, che possono così redistribuire i costi economici e avere legittimità politica. In un contesto internazionale caratterizzato dal momento unipolare americano esiste un’enorme differenza tra invadere l’Afghanistan da soli o spalleggiati da una coalizione internazionale a cui affidare – seppur nel 2003, con due anni di ritardo – la gestione della missione militare.
La Nato potrà sciogliersi quando l’Unione europea potrà farne a meno per risolvere le crisi nel suo cortile di casa. Quando gli Stati Uniti non avranno più bisogno di dividere i costi della legittimità dei loro interventi in un contesto internazionale dominato da Washington, e quando le istituzioni NATO, che nel corso del tempo hanno sviluppato un sistema fortemente burocratizzato che si autotutela, decideranno di smantellarsi. Probabilmente mai.