Anche il Montenegro si è detto pronto a chiudere le frontiere qualora altri Stati della penisola balcanica dovessero trovarsi nelle condizioni di bloccare gli accessi dei migranti. La Slovenia, nel frattempo, ha concesso poteri speciali ai militari schierati a difesa dei confini, mentre il cancelliere austriaco Faymann è intervenuto a difesa della Macedonia.
Nei giorni scorsi, il premier montenegrino Milo Djukanovic ha confermato all’agenzia britannica Reuters che se alcuni paesi balcanici (come hanno già annunciato Macedonia, Albania e Bosnia) chiuderanno le dogane, anche il piccolo Stato affacciato sull’Adriatico prenderà in considerazione un “innalzamento” delle barriere ai confini. “Una scelta obbligata dall’esigenza di evitare un ingresso incontrollato di migranti e rifugiati nel territorio del Montenegro” ha spiegato il premier, durante la sua visita a Trieste.
Una situazione ormai insostenibile per le “fragili democrazie” che si stanno facendo strada nella penisola balcanica, tanto che i paesi dell’Unione europea stanno cercando soluzioni e stipulando accordi per far fronte alle pressioni che i flussi migratori esercitano sui confini di queste piccole nazioni di frontiera. “La Macedonia non è, e non può diventare, il confine esterno (ed estremo, ndr) dell’Unione europea – ha chiosato il cancelliere austriaco Werner Faymann sul quotidiano Kurier – La Slovenia, la Croazia e la Serbia sono in difficoltà perché risentono della situazione, difficile, che c’è in Grecia”.
La questione balcanica costituisce una vera e propria emergenza, tanto che ogni Stato ha deciso di rispondere in maniera autonoma e indipendente. Il Parlamento sloveno, solo nei giorni scorsi, ha varato un nuovo regolamento che concede poteri di polizia alle forze militari presenti sul confine con gli altri stati extra-Ue, che s’impegneranno a prevenire l’immigrazione illegale. Spetta all’Europa trovare una soluzione alle criticità evidenziate dagli Stati, membri e aspiranti membri per fronteggiare quella che non solo è una crisi politica continentale, ma un’emergenza umanitaria.
di Omar Porro