Anche nel racconto di fantasia più sfrenato e distopico le relazioni tra le entità politiche seguono le stesse modalità che hanno contraddistinto il corso della storia umana. Final Frontier è la rubrica che proverà a raccontare le relazioni internazionali attraverso le più conosciute storie di fantascienza. “Spazio, ultima frontiera”.
Dalla sovraffollata Terra al gelido spazio: cinema, romanzi, investimenti fanno tornare in auge un settore che, dopo la “corsa allo spazio” degli anni Sessanta, sembrava quasi scomparso.
Inutile negarlo: i viaggi stellari piacciono. Piacevano negli anni Cinquanta, creavano entusiasmo negli anni Sessanta e tornano ad appassionarci tutt’oggi. Come spiegare altrimenti il successo dell’ultima fatica di Ridley Scott, The Martian? Non è sufficiente come spiegazione l’indubbia abilità del regista di realizzare su pellicola, ad uso e consumo di un vasto pubblico, opere altrimenti riservate a una cerchia elitaria di lettori di romanzi. Non è sufficiente la nostra vicinanza emotiva al bravissimo Matt Damon, isolato e disperato nel suo tentativo di estrarre da un ambiente ostile le risorse di cui ha bisogno per sopravvivere in attesa di un salvataggio. Non è sufficiente la familiarità del tema del naufragio e dell’adattamento dell’uomo ad un ambiente ostile (un argomento intrigante dai tempi di Robinson Crousoe, arrivando a Cast Away).
Il fatto è che The Martian raduna in sé una miriade di suggestioni che rimandano a vecchie questioni della scienza e nuove frontiere del nostro tempo: il viaggio interplanetario e le risorse a nostra disposizione; il rapporto tra la fragilità dell’essere umano e la vastità delle distanze spaziali; la colonizzazione dei pianeti alieni.
Assistiamo in questi anni a un rinnovato interesse (non solo da parte dei Governi) per ciò che sta al di fuori dell’equilibratissimo ecosistema che ci ha consentito di nascere, vivere, prosperare e evolvere sul fortunatissimo pianeta Terra. Dai videogiochi (si veda l’ultimo capitolo di Sid Meier’s, Civilization), alla letteratura, passando per il cinema. La Terra ha dato: i nostri sogni tornano alle stelle. Come è stato possibile che queste tematiche – di moda nella fantascienza degli anni Quaranta, nella cronaca degli anni Sessanta, nella cinematografia degli anni Settanta – siano tornate sotto i riflettori? I motivi sono molteplici.
Innanzitutto precisiamo che, a livello letterario, questi temi con Isaac Asimov, Philip K. Dick, Frank Herbert e altri grandi autori della Golden Age della Science Fiction; erano – e rimangono – topoi propri del genere. L’uomo di Marte (libro di Andy Weir, del 2011, da cui è tratto il film di Ridley Scott) è solo un esempio. A livello cinematografico, un grande impulso lo ha dato la produzione di film sci-fi dell’inizio del nuovo millennio (dalla seconda trilogia di Star Wars, alla saga di Matrix, passando per Io Robot, alla Guerra dei Mondi), che hanno tenuto in vita il genere e aperto la strada ad Avatar: Hollywood è tornato ad interrogarsi sui pianeti alieni e sull’impatto della civiltà terrestre nel cosmo. In chiave ambientalista e fantasy, certamente; ma rimane il fatto che il tema è tornato in auge.
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Ciò che realmente ha riaperto la strada al ritorno del viaggio stellare e della colonizzazione umana nel discorso pubblico però è altro. Più precisamente, è la fortunata serie di rinnovati investimenti nella “corsa allo spazio”, da parte delle maggiori agenzie spaziali e delle nuove opportunità venutesi a creare. La concorrenza in ambito tra i vecchi attori (la NASA, l’Agenzia Spaziale Europea) e i nuovi arrivati (principalmente la Cina, ma anche attori privati come l’azienda SpaceX fondata da Elon Musk, o l’improbabile progetto di MarsOne) ha accelerato il processo di ricerca. Il colosso asiatico sta rapidamente colmando il divario che lo separa dall’Unione Europea e dagli Usa per numero di ricercatori e spesa destinata alla ricerca scientifica, apprestandosi ad essere un nuovo e potente attore della corsa allo spazio. Nel 2013 il primo rover lunare cinese, Yulu, ha toccato il suolo del nostro satellite, decretando l’entrata di Pechino tra i “grandi” dello spazio. La CNSA (China National Space Administration) ha a disposizione un budget di 2 miliardi di dollari annui (circa un sesto della Nasa; tuttavia, il budget della prima aumenta più rapidamente e con maggior decisione di quello della seconda).
L’ingombrante presenza cinese, orientata verso la Luna e il turismo spaziale, giunge mentre l’interesse statunitense si sposta su Marte (esperimenti di “terraformazione” compresi) e sui viaggi interstellari. Proprio su questo secondo aspetto, la decade corrente riserva incredibili sorprese: mentre Yulu eseguiva l’allunaggio, la NASA si concentrava sullo sviluppo del motore a propulsione ionica, la cui tecnologia è ormai matura per essere implementata a fini di esplorazione spaziale. Il vantaggio principale di questo tipo di propulsione è l’estrema ottimizzazione del carburante, che consente al razzo una autonomia di cinque anni e mezzo (quindi una considerevole compressione dei costi), compensando grandemente lo svantaggio della ridotta velocità. Le missioni quinquennali della Enterprise non sembrano così lontane, adesso.
È bene ricordare che l’attuale sviluppo tecnologico non consente ancora missioni di lunga durata equipaggiate con personale umano; né le attuali conoscenze scientifiche ci consentono di oltrepassare il limite della velocità della luce (insuperabile, secondo la fisica relativistica). Questo, però, non ci impedisce di supporre che una nuova corsa spaziale sia alle porte. La riduzione dei costi di missione sembra un segnale decisamente incoraggiante per perseguire progetti di esplorazione oltre il sistema solare. Forse il futuro non è la Terra, come si sarebbe potuto pensare dopo il 1972 (anno in cui Wernher Von Braun rassegnò le proprie dimissioni dalla NASA): forse il futuro della razza umana è proprio lo spazio.