di Danilo Giordano
Le economie sub-sahariane hanno bisogno di più innovazione e diversificazione per poter crescere e distribuire ricchezza tra la sempre più numerosa popolazione africana. È quello che emerge dalla lettura di diversi report internazionali, che certificano come vi sia qualche problema nel modello di sviluppo africano.
Insieme alla persistente instabilità, ai conflitti e alle carestie, il continente africano si è caratterizzato, fin dall’inizio del terzo millennio, anche per ritmi di crescita economica elevati, costantemente attorno al 7% nel quinquennio 2003-2008. La crisi economica globale che imperversa dal 2008 ha causato, inevitabilmente, un rallentamento dei ritmi di crescita africani, che attualmente procedono a velocità “occidentali”, come confermano periodicamente i report prodotti dalle istituzioni finanziarie internazionali.
Nel suo recente Africa’s Pulse, la Banca Mondiale ha dovuto rivedere al ribasso le precedenti previsioni di crescita dell’Africa sub-sahariana, formulate soltanto ad ottobre: secondo le proiezioni il PIL del 2015 dovrebbe raggiungere un poco entusiasmante +3%, lontano dal +4,5% del 2014. L’organismo capeggiato dallo statunitense Jim Yong Kim prevede una crescita del 3,3% nel 2016, facendo balenare la possibilità di tassi di crescita più alti soltanto nel biennio 2017-2018, al di sotto dei tassi di crescita “cinesi” registrati nel quinquennio pre-crisi.
Le analisi dell’istituzione di Bretton Woods attribuiscono la scarsa crescita al rallentamento dell’economia globale, alla diminuzione dei prezzi delle commodities e alla volatilità dei mercati finanziari.
Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) nel suo ultimo report sulle Prospettive dell’economia mondiale prevede una crescita del 3% nell’Africa sub-sahariana per il 2016, cambiando il giudizio emesso lo scorso gennaio che prevedeva una crescita dell’area attorno al 4%. Secondo l’organizzazione presieduta dalla francese Christine Lagarde, la causa di questo risultato negativo è da ricercare, anche in questo caso, in alcune condizioni esterne sfavorevoli: i paesi ricchi di risorse naturali soffrono il calo dei prezzi, mentre gli altri soffrono il peggioramento delle condizioni di finanziamento sul mercato internazionale. Analogamente alla Banca Mondiale, il FMI prevede prospettive migliori soltanto a partire dal 2017 con una crescita attesa superiore al 4%.
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In linea generale, l’andamento negativo della regione è da attribuire innanzitutto alle disastrose performance economiche delle prime due economie del continente: Sud Africa e Nigeria. Il paese arcobaleno è bloccato dai guai del presidente Jacob Zuma, ed i nigeriani atterriti dalla minaccia terroristica di Boko Haram.
La caduta dei prezzi delle materie prime, inoltre, ha condizionato negativamente tutta la regione, dato che carburanti, minerali e materie prime rappresentano circa il 60% delle esportazioni dell’area sub-sahariana, colpendo particolarmente Nigeria, Congo e Guinea Equatoriale, le cui performance economiche sono passate dal +5,4% del 2014 al +2,9% previsto nel 2015. In alcuni casi, il rallentamento economico è stato favorito anche dal persistere di alcune problematiche “locali”, quali l’inefficienza del sistema di gestione dell’elettricità, la corruzione e il nepotismo largamente diffusi in politica, la siccità causata da El Niño in Africa meridionale ed orientale e l’epidemia di Ebola, che ha avuto effetti su turismo e spostamenti.
I dati economici segnalano l’urgente necessità per i paesi dell’Africa sub-sahariana di diversificare le proprie economie, puntando allo sviluppo del settore terziario e dei consumi interni. Antoinette Sayeh, direttrice del dipartimento africano del FMI ha osservato che “la maggior parte dei paesi importatori di petrolio e a basso reddito se la cavano meglio, con una crescita addirittura superiore al 6% in Costa d’Avorio, Kenya, e Senegal”. La ragione di tale crescita sta nei continui sforzi di investimento in infrastrutture, dall’aumento dei consumi privati e, diversamente dai paesi esportatori, dall’abbassamento del prezzo del petrolio.
Le prospettive di crescita del Senegal vedono per il 2016 una crescita attesa al 6,6%, basata sul miglioramento della produttività del settore agricolo e sul dinamismo del settore privato. In Kenya, dopo una crescita del 4-6% annuo dal 2009 al 2015 (con un picco dell’8% nel 2010), si prevede un aumento del PIL del 6,8% nel 2016, grazie allo sviluppo del settore bancario e delle telecomunicazioni, ma anche al corposo incremento degli investimenti infrastrutturali. Discorso diverso meritano i paesi colpiti dal virus ebola, ovvero Guinea, Liberia e Sierra Leone, che a partire dal 2016 dovrebbero iniziare una lenta risalita che gli permetterà di recuperare gli oltre 20 punti percentuali persi nel corso del 2015.