La decisione di Sua Maestà del Bahrein Hamad bin Isa Al Khalifah di revocare la cittadinanza al religioso sciita Sheikh Isa Qassim riaccende lo scontro politico tra Iran e Bahrein, ma rivela il quadro più generale della diatriba settaria in Medio Oriente.
Sono trascorsi più di cinque anni da quando, nel “giorno della collera“, la popolazione sciita del Bahrein (che conta circa il 70% della demografia del Paese, mentre la famiglia regnante è del ramo sunnita) diede inizio alle sommosse popolari che portarono a duri scontri con le forze di sicurezza locali. Mentre a Manama – la Capitale – e nelle altre città i ribelli furono schiacciati con il supporto delle forze speciali saudite, dall’Iran e dal Libano arrivarono aspre critiche nei confronti di Re al-Khalifah. Anche il Consiglio di Sicurezza dell’ONU riunitosi a New York espresse il suo disappunto nei confronti della vicenda etichettandola come l’ennesima violazione dei diritti umani da parte del piccolo Stato arabo.
Eppure nulla riuscì ad ammorbidire il rigido atteggiamento dell’ostinato monarca. Il bilancio fu di 50 morti e più di mille feriti tra i manifestanti. Ancora oggi, la questione è tutt’altro che risolta e il clima politico resta preoccupante.
A produrre l’ultimo assestamento tellurico nel contesto dello scontro settario che si sta consumando in Medio Oriente tra sciiti e sunniti, è stata la decisione di re Hamad di revocare la cittadinanza al religioso sciita Sheikh Isa Qassim, reo secondo l’accusa di incoraggiare i giovani a violare i principi della Costituzione sunnita-wahabita del Bahrain. Parallelamente è stata aperta un’indagine delle autorità bahreinite legate alla provenienza e all’uso di fondi (fino a 10 milioni di dollari) depositati su conti bancari intestati proprio a Qassim.
La reazione popolare è stata feroce e molti esponenti religiosi del Paese hanno protestato contro il tentativo di al-Khalifah di boicottare la raccolta di una tassa chiamata Khums, che è considerata un pilastro dAll’islam sciita. Inoltre, la mossa contro Qassim arriva a meno di una settimana dalla decisione del Ministero della giustizia di bandire al-Wefaq, principale gruppo d’opposizione di matrice sciita nel Paese, il cui leader, Ali Salman, è stato condannato nel 2015 a scontare nove anni di reclusione con l’accusa di fomentare disordini e avere legami con una potenza straniera (spoiler: l’Iran).
La risposta di Teheran non ha tardato ad arrivare. Così Qassem Soleimani, generale della brigata Quds dei Pasdaran iraniani, ha tuonato:
La decisione del regime di Manama contro l’Ayatollah Sheikh Issa Qassim, rappresenta una linea rossa la cui violazione potrà infiammare l’intera regione. Oltrepassare questa linea rossa non lascerà altra scelta al popolo del Bahrain che intraprendere la Resistenza armata. Il regime di al-Khalifah sta portando avanti una violenta repressione contro il popolo del Bahrain, mentre le Nazioni Unite, gli Stati Uniti e Paesi occidentali mantengono il loro silenzio complice e chiudono volontariamente i propri occhi sulle reiterate violazioni dei diritti umani in Bahrain, attuate da un regime despota e violento. Sicuramente, gli al-Khalifa pagheranno il prezzo di questo affronto
Al di là della retorica, ciò che colpisce è il tempismo (e la forza) delle dichiarazioni di Soleimani che, impegnato com’è a fronteggiare ISIS in Iraq e Siria, ha deciso di intervenire pubblicamente per reiterare ciò che in Iran pensano in molti, e cioè che la monarchia sunnita del Bahrain sia direttamente “coinvolta nella diffusione dell’estremismo” (si legga Daesh). Ciò avviene appunto nella stessa settimana in cui i media iraniani informano di aver sventato la minaccia di un pericoloso attentato terroristico che avrebbe dovuto colpire la capitale, Teheran.
Sembra dunque evidente che l’Iran considera le monarchie del Golfo i mandanti degli attentatori, così come è convinta che ci sia l’Arabia Saudita dietro i terroristi che le forze di sicurezza iraniane dicono di aver ucciso tra il 14 e il 15 giugno nel corso di due operazioni militari effettuate negli ultimi giorni in diverse regioni del Paese.
Non è difficile immaginare quale possa essere l’eco dell’“affaire Qassim” (e le sue ricadute) nell’equazione mediorientale. Lo sa bene anche l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, che ha avvertito che la repressione del regime “non eliminerà rimostranze della gente”.
Le deprecabili conseguenze di un incremento delle frizioni settarie in Bahrein si manifesterebbero nell’ennesimo scontro per procura tra i due “campioni” dell’Islam. Se Teheran infatti, come già visto in passato, non si tira indietro quando si tratta di fomentare e armare dissidenti alleati all’estero; Riyad sarà ben felice di mettere a disposizione i propri uomini e il proprio arsenale per garantire lunga vita il trono di al-Khalifah.