Il Vaticano intende riconoscere i sette vescovi della Chiesa cinese nominati dal partito comunista al governo, confermando un accordo che mira a ripristinare i rapporti tra Cina e Vaticano, interrotti con la fondazione dello Stato comunista nel 1949. Un gruppo di influenti cattolici afferma però che potrebbe creare uno scisma nella Chiesa cinese.
Quindici esponenti cattolici, avvocati, accademici e attivisti per i diritti umani, la maggior parte residenti ad Hong Kong, hanno firmato una lettera aperta indirizzata ai vescovi di tutto il mondo esprimendo sgomento per un accordo che definiscono “un errore irreversibile”.
Due settimane fa il cardinale Joseph Zen, ex vescovo di Hong Kong, ha accusato il Vaticano di “aver venduto la Chiesa pur di concludere un accordo con il governo cinese.”
Infatti a gennaio il Vaticano ha chiesto a due vescovi che operano senza l’approvazione del governo cinese di rinunciare alle loro posizioni a favore delle loro controparti nominate dal governo, una delle quali è stata scomunicata da Roma nel 2011. I due, Guo Xijin e Zhuang Jianjian, sono sotto sorveglianza della polizia e Guo è stato ripetutamente detenuto per le sue attività religiose.
Si stima che siano circa 10-12 milioni i cattolici in Cina, di cui circa la metà opera clandestinamente perché il governo cinese esercita un rigido controllo sulle religioni e il 1 Febbraio sono entrate in vigore nuove norme che specificano i tipi di organizzazioni religiose che possono esistere, dove possono operare e quali attività possono organizzare, dopo un duro giro di vite sulle chiese evangeliche protestanti che ha portato al loro scioglimento e al bando delle croci cristiane.
Se da un lato l’avallo del Vaticano sui vescovi nominati da Pechino è un segnale di distensione, dall’altro le comunità cattoliche locali lo vedono come un tradimento, dal momento che denunciano che in Cina le persecuzioni contro i cattolici e le violazioni contro la libertà di culto da parte del governo non si sono mai fermate.
di Samantha Falciatori