Di Marina Roma
Le prospettive per una limitazione delle armi negli Stati Uniti vanno valutate in un quadro complesso, che prescinde dall’ondata di sdegno collettivo nei giorni immediatamente successivi a stragi e sparatorie: le grandi questioni sono una pace sociale difficile da siglare unitamente alla storica questione del diritto costituzionale, per i cittadini statunitensi, di possedere armi.
L’8 luglio scorso 5 agenti hanno perso la vita a Dallas in Texas sotto il fuoco di un cecchino che ha sparato nel corso di una manifestazione di protesta contro le recenti uccisioni di neri da parte delle forze dell’ordine in Louisiana e Minnesota.
Scorrendo le tabelle raccolte nel sito www.gunviolencearchive.org, (un’organizzazione no-profit che registra i dati relativi alla violenza con arma da fuoco negli Usa), ci si rende conto di quanto frequenti siano le morti o i ferimenti da arma da fuoco negli Stati Uniti. Come peraltro la cronaca di questi giorni sta evidenziando sempre di più: l’11 luglio si è sparato a Berrien County, in Michigan (2 ufficiali giudiziari uccisi), mentre il 17 luglio c’è stata una sparatoria a Baton Rouge, in Lousiana (3 poliziotti uccisi, diversi feriti).
“Essendo necessaria alla sicurezza di uno Stato libero una ben ordinata milizia, il diritto dei cittadini di tenere e portare armi non potrà essere violato”
così recita il II emendamento della Costituzione Usa.
Seppur con sfumature differenti, nella maggior parte degli Stati federati i maggiori di 21 anni possono acquistare una pistola, mentre per i fucili normali o a canna liscia sono sufficienti i 18 anni. Basta presentare un documento d’identità, in modo da associare all’arma i dati personali dell’acquirente al momento dell’acquisto. Fatte salve alcune restrizioni per i colpevoli di reati, i latitanti, gli immigrati clandestini, le persone soggette a ordinanze restrittive e chi fa uso di particolari medicinali o di sostanze stupefacenti, si può dire che per i cittadini statunitensi sia piuttosto facile procurarsi un’arma.
Il riparto di competenze tra Governo federale e singoli Stati sul tema complica ulteriormente la questione, poiché crea un sistema di regole disomogeneo, con regole talvolta più permissive, talvolta più severe. I tentativi di taluni Stati di imporre determinate restrizioni, d’altra parte, sono andati poi a scontrarsi con un’interpretazione via via più estensiva della Corte Suprema.
Emblematico è l’abbandono della tradizionale lettura pubblicistica del termine “militia”, che legava il possesso di armi alla presenza di una forza comune di difesa popolare (si veda ad esempio United States v. Jack Miller, et al. 1939). Il giudice delle leggi americano, chiamato a pronunciarsi sul diritto per una guardia giurata a tenere le armi anche nella vita privata per difendere la sua famiglia, ha dichiarato incostituzionale una legge del 1975 del District of Columbia, che rendeva pressoché impossibile per il singolo cittadino il possesso delle armi.
Da un’ottica esterna, si sbaglia, tuttavia, a considerare il II emendamento la semplice reviviscenza di un diritto costituzionale sopravvissuto alle ragioni storiche, individuabili nella resistenza all’amministrazione coloniale e nella necessità di autodifesa dal potere oppressivo britannico. Il diritto a possedere armi è qualcosa di estremamente radicato in una parte rilevante della società americana, e non solo sostenuto e difeso con forza da forze politiche conservatrici e dalle lobby dei produttori (la famigerata National Rifle Association).
Non mancano, allo stesso tempo, i movimenti di opposizione. Il Presidente Obama è sempre stato in prima linea nella battaglia per una regolamentazione più stringente.
“La lobby delle armi può forse tenere in ostaggio il Congresso, ma non può tenere in ostaggio l’America. Non possiamo accettare queste carneficine nelle nostre comunità”
Così aveva twittato in Gennaio Obama. Proprio all’inizio di quest’anno il Presidente, scavalcando il Congresso e facendo ricorso a quelle prerogative esecutive che la Costituzione gli garantisce, ha lanciato un programma in 10 punti: dalle licenze per i rivenditori di armi a maggiori controlli da parte dell’FBI, dalla generalizzazione dei controlli sulla storia giudiziaria e psichica degli acquirenti alle no-gun zones.
Le prossime elezioni presidenziali aprono lo sguardo ad uno scenario piuttosto chiaro sul tema. Da una parte la candidata democratica Hillary Clinton, che in più occasioni di dibattito ha affermato la necessità di una riforma del sistema vigente in senso restrittivo, dall’altra parte il candidato repubblicano Donald Trump, esplicitamente appoggiato dalla National Rifle Association che, in caso di elezione, ha già annunciato abrogherà le misure che impongono le blande restrizioni promosse da Obama.