Dopo 27 anni ininterrotti di regno “discreto” l’imperatore del Giappone Heisei ha fatto intendere, con un abilissimo gioco di parole, di non avere più le forze fisiche per guidare l’Impero del Sol Levante. L’abdicazione non è prevista dalla Costituzione e quindi ora spetterà al governo di Shinzo Abe trovare un escamotage istituzionale per permettere al Tennō di “andare in pensione” cedendo lo scettro all’erede Naruhito.
La notizia circolava da mesi e, nelle ultime settimane, l’idea dell’abdicazione di Akihito si è fatta sempre più concreta. Dopo 27 anni sul Trono del Crisantemo nell’epoca Heisei (nome che dal 1989 rappresenta il periodo del suo Regno) ha parlato per la seconda volta alla Nazione attraverso un messaggio televisivo ad hoc senza precedenti.
Sono preoccupato per la difficoltà di esercitare le mie funzioni come simbolo del Giappone, ruolo che ho svolto fino ad ora. Spero nella vostra grande comprensione
Non una volta, durante il breve discorso trasmesso da tutte le emittenti televisive, è stata pronunciata la parola “abdicazione”; un motivo sostanziale e formale, c’è.
Nella Costituzione del 1946, e nelle leggi successive che regolano la vita della Casa Imperiale, non è previsto infatti che l’imperatore possa abbandonare il trono, lasciando quindi la guida al legittimo erede.
La decisione del sovrano 82enne, succeduto al padre Hirohito nel 1989, ha di fatto spiazzato tutti, in primis il Governo liberaldemocratico di Shinzo Abe che, ora, sarà chiamato a trovare una soluzione per rispondere alla volontà dell’imperatore di farsi da parte.
Si, sarà proprio l’Esecutivo a dover intraprendere un lungo iter di riforma costituzionale per garantire l’effettivo passaggio di consegne tra Akihito e il principe ereditario, il 56enne Naruhito.
L’anziano Tennō ha sottolineato che, non tanto le condizioni di salute che restano buone, quanto l’anzianità, non possono impedire a un Capo di Stato di limitare i suoi compiti e di impedire l’effettivo svolgimento delle sue funzioni, seppur formali e in gran parte simboliche.
In molti, soprattutto analisti e studiosi del diritto e della politica nipponica, hanno invece sospettato che il “passo indietro” dell’imperatore sia legato alle decisioni del Governo di Tokyo di “ricostruire” un vero e proprio esercito a difesa sia dell’arcipelago giapponese che utile nelle missioni militari all’estero, abbandonando perciò lo spirito pacifista della Nazione, da 27 anni garantito da un “arbitro” istituzionale come Akihito.
L’anziano sovrano, che per legge non può parlare o assumere posizioni anche lontanamente di natura politica (e questo lo dimostrano gli scarsi discorsi pubblici in quasi trent’anni di Regno), sembra aver voluto anche mettere in luce come il Governo si sia mobilitato per il ripristino delle Forze armate, mentre non abbia mai accolto la richiesta della Casa Imperiale di modificare la legge di successione.
In Giappone infatti, secondo quanto previsto dalla Carta costituzionale “imposta” dagli Stati Uniti nel 1946, vige la legge salica che permette ai soli membri maschi della famiglia reale di salire al trono.
L’attuale erede, il principe Naruhito, con la principessa Masaki, non hanno un figlio maschio ma una femmina: Aiko.
Ciò bloccherebbe la diretta discendenza per primogenitura di Akihito che, più di una volta, aveva auspicato l’ipotesi di una modifica costituzionale (che deve però partire dal Governo e non dalla Casa Imperiale) per permettere alla nipote di diventare imperatrice alla morte, o alla rinuncia, del padre.
Un’impasse istituzionale che, con un sapiente e articolato gioco di parole, Akihito è riuscito a gestire, riportando all’attenzione tanto della classe politica quanto a quella del popolo giapponese, l’importanza di poter permettere anche alle donne di regnare sull’Impero.
“Riflettendo sull’attuale stato dei doveri pubblici dell’Imperatore, la sua età e il peso dei suoi impegni, dobbiamo considerare cosa è possibile fare. Ascoltiamo con attenzione le parole di sua maestà l’Imperatore, dobbiamo rifletterci profondamente”
Queste le poche parole che Abe ha rilasciato alla stampa nazionale nei minuti immediatamente successivi al discorso del sovrano, parole che pesano come macigni sulle scelte future della classe dirigente giapponese.
L’Impero, dal termine della Seconda guerra mondiale, si è contraddistinto nel panorama politico internazionale per la sua grande e proverbiale sobrietà, tanto nelle scelte dei Governi che si sono susseguiti, quanto per l’abile tela diplomatica che lo stesso Imperatore è riuscito a tessere in questi decenni, garantendosi l’amicizia e la stima dei più importanti partner politici e commerciali.
Ora bisogna solo attendere quanto tempo ci impiegherà l’Esecutivo di Tokyo a riformare la rigidissima Costituzione per concedere il meritato riposo all’ormai quasi ex Sovrano celeste.
di Omar Porro