La situazione siriana è un inferno. Capire cosa sta succedendo è doveroso in quanto esseri umani e indispensabile per la comprensione di quei fenomeni che travalicano i confini naturali di quella terra. Per questo motivo la nostra Rivista seguirà più da vicino la guerra siriana, che in realtà sono tante guerre diverse e sovrapposte, in modo da fornire un quadro sempre aggiornato e il più chiaro possibile.
Aleppo è la cartina tornasole del conflitto siriano, delle sue divisioni etniche, della brutalità della strategia militare russo-siriana e dei vani tentativi di porvi fine. Ecco cosa dobbiamo aspettarci.
Dopo l’ennesimo fallimento dei negoziati, le aviazioni siriane e russe hanno intensificato i bombardamenti sulla parte est di Aleppo, assediata e in mano ai ribelli. Le riprese dall’alto di un piccolo drone mostrano il livello della distruzione. Come spiegheremo più avanti, alcuni fanno notare come la Russia stia applicando la stessa strategia di guerra utilizzata in Cecenia nel 2000, in particolare nella capitale Grozny, dichiarata in quel periodo dall’Onu “la città più distrutta al mondo“. È una strategia che fa terra bruciata del luogo che si vuole conquistare, e che mira a distruggere ogni struttura capace di far sopravvivere città e cittadini che ancora non sono riusciti a scappare.
Ad Aleppo, oltre alle ormai “usuali” bombe incendiarie, al fosforo e al napalm, al cloro, a grappolo, e ai barili bomba (armi proibite dal diritto internazionale), da alcuni giorni i civili fanno anche i conti con le bombe bunker buster, ideate per distruggere bunker sotterranei. In una città dove da anni per sfuggire ai bombardamenti aerei indiscriminati i civili hanno trasferito sottoterra ospedali di fortuna e scuole, i danni sono incalcolabili. Intere famiglie sono già state uccise da queste bombe mentre cercavano riparo in cantine sotterranee e anche alcuni ospedali sono stati distrutti in questo modo.
Nell’ultimo comunicato stampa dell’Organizzazione mondiale della sanità, si legge che a fronte di 270.000 civili intrappolati ad Aleppo est ci sono meno di 30 dottori e solo 6 punti medici parzialmente operanti, dato che gli ultimi due ospedali sono stati bombardati e messi fuori uso questa settimana, così come è stata bombardata (di nuovo) la sede dei soccorritori della Protezione Civile Siriana e l’ultimo centro di maternità operativo. In queste due settimane di bombardamenti sono state accertate 338 vittime, di cui 106 bambini. Dal 7 luglio non arrivano aiuti umanitari e da agosto 2 milioni di persone ad Aleppo vivono senza acqua corrente.
Nonostante ciò, la Russia ha annunciato che invierà altri caccia per intensificare la campagna aerea, che mira a spianare la strada a una offensiva di terra che le truppe siriane, di Hezbollah e iraniane, coadiuvate da quelle pakistane e afghane al soldo dell’Iran, stanno preparando per riconquistare tutta la città. In parte, sono già avanzati. Bombardare indiscriminatamente aree residenziali fa parte di quel “modello Grozny” che mira a fare terra bruciata e massimizzare il numero delle vittime civili. Si vuole costringere alla resa chi è rimasto, che o si arrende o muore.
Charles Lister, del Middle East Institute, ha parlato su Foreign Policy di una strategia shock and awe (“colpisci e terrorizza”), volta
“in primo luogo a distruggere il morale dell’opposizione all’interno della città e in secondo luogo a costringere la popolazione civile ad accettare un’eventuale offerta di evacuazione [..]. È tutto basato su una consolidata strategia di assedio, che sia la Russia che il regime di Assad hanno precedentemente adottato con successo, sia in Siria che in luoghi come Grozny”.
In Siria infatti ha già dato i sui frutti, nei sobborghi damasceni di Ghouta, Daraya e Moadamiya e nella città di Homs, totalmente distrutta e trasformata in una città fantasma: stremate da anni di assedio, queste zone si sono arrese al regime e la popolazione civile sopravvissuta è stata evacuata, e molti di loro arrestati dalle truppe governative.
È una strategia per riprendere il pieno controllo della città, che il fronte governativo si auspica funzioni anche ad Aleppo. Da un lato infatti una vittoria militare rafforzerebbe il regime che siede al tavolo dei negoziati politici e, dall’altra, costituirebbe una garanzia sul controllo di un’area etnicamente omogenea e ad esso fedele (seppur geograficamente limitata) abitata da alawiti, sciiti e cristiani.
Il regime siriano controlla attualmente meno di un terzo del paese, dove si concentrano le menzionate minoranze etnico-religiose che sostengono il governo. Aleppo è una città divisa, la parte est a maggioranza sunnita retta dai ribelli e la parte ovest a maggioranza alawita, sciita e cristiana retta dal regime. Due mondi paralleli dove la vita scorre scandita dai bombardamenti russo-siriani a est e dai colpi di mortaio ribelli a ovest, che causano anch’essi vittime civili. I ribelli però non hanno aviazione, quindi ad Aleppo ovest non si registrano nè bombardamenti a tappeto nè gli stessi numeri di morti che si contano nella parte est. Ad Aleppo ovest la vita scorre, gli abitanti vanno a lavorare, a fare spesa, a scuola e sono frequentati anche locali, bar e ristoranti. Il video sottostante mostra immagini di Aleppo ovest (a sinistra) ed est (a destra) a confronto.
Perché Aleppo?
Avevamo analizzato qui la possibilità di una partizione della Siria su basi etnico-religiose, e la conquista di Aleppo rientra in questo progetto. Non è un caso che dopo la resa dei sobborghi ribelli di Damasco i civili (sunniti) siano stati trasferiti con i ribelli a Idlib, unica provincia interamente in mano ai ribelli e a maggioranza sunnita, così come non è un caso che nei sobborghi, un tempo sunniti, riconquistati dal regime vi si siano insediati gli iraniani (sciiti). Per questo è vitale anche per i ribelli mantenere il controllo della parte est: è in atto una ricomposizione demografica della Siria che riguarda anche Aleppo, pur in maniera diversa.
Aleppo est infatti non è un sobborgo dove i civili ostili al regime possono essere trasferiti altrove, qui la soluzione è più drastica: annientare la popolazione, liquidare fisicamente i ribelli e i civili che li sostengono, bombardare indiscriminatamente fino alla resa. O forse fino all’ultimo uomo, dato che a causa dell’assedio l’esodo di massa dei profughi si è interrotto e non ci sono vie di fuga. Questa strategia, secondo l’Economist, non farà che aumentare il settarismo, anche religioso.
Non ci si deve nemmeno aspettare un’azione concreta per fermare il bagno di sangue nell’immediato futuro. Secondo la registrazione audio di un incontro tra il Segretario di Stato USA John Kerry e alcune organizzazioni umanitarie e della società civile siriana, Kerry ha espresso la sua frustrazione per la rigida posizione dell’amministrazione Obama nel non intervenire in Siria, ammettendo di aver sostenuto l’uso della forza ma di “aver perso la discussione”.
È lecito al contrario aspettarsi un’escalation di brutalità senza precedenti, la stessa che sta già rendendo Aleppo il simbolo del fallimento del diritto internazionale e dell’Onu. L’inviato Speciale Onu de Mistura ha parlato di “bombardamenti inumani e barbari”, il Segretario Generale dell’Onu Ban Ki-Moon ha detto che Aleppo est “è peggio di un mattatoio”, il Coordinatore degli aiuti umanitari Onu Stephen O’Brien ha parlato di “bombardamenti scioccanti” e di “un livello di ferocia che nessun essere umano dovrebbe mai sopportare”.
Russia e Siria sono accusate di crimini di guerra ma negano (anche negare è una strategia) o addirittura ridono delle accuse, come ha fatto l’ambasciatore siriano all’Onu Bashar Jaafari che alla domanda di un giornalista circa il bombardamento degli ospedali gli ha riso in faccia senza nemmeno fermarsi.
È un fatto però che le uniche aviazioni in volo sopra Aleppo siano russe e siriane e i fatti, al di là della retorica politica, dimostrano che ad Aleppo si stanno commettendo aberranti crimini di guerra, gli stessi definiti dall’art. 8 dello Statuto della Corte Penale Internazionale, gli stessi che la Commissione Internazionale Indipendente d’Inchiesta sulla Siria ha accertato in innumerevoli rapporti, gli stessi che lo scorso marzo hanno portato alla condanna di Radovan Karadzic, l’ex presidente serbo-bosniaco condannato per 11 accuse di crimini di guerra, tra cui il bombardamento indiscriminato di Sarajevo.
di Samantha Falciatori