La situazione siriana è un inferno. Capire cosa sta succedendo è doveroso in quanto esseri umani e indispensabile per la comprensione di quei fenomeni che travalicano i confini naturali di quella terra. Per questo motivo la nostra Rivista seguirà più da vicino la guerra siriana, che in realtà sono tante guerre diverse e sovrapposte, in modo da fornire un quadro sempre aggiornato e il più chiaro possibile.
Per evitare l’assedio totale di Aleppo-est e difendere l’ultima via di rifornimento, i ribelli che combattono l’YPG nel quartiere di Sheikh Maqsoud stanno commettendo crimini di guerra, tra cui, secondo Amnesty International, un presunto caso di utilizzo di agenti chimici. Questo è quello che sappiamo.
“Usando armi imprecise sui quartieri civili, le fazioni armate che attaccano Sheikh Maqsoud stanno palesemente violando il principio di distinzione tra obiettivi civili e militari, una regola fondamentale del diritto internazionale umanitario“, ha dichiarato Magdalena Mughrabi, Vicedirettore del Programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International.
Le fazioni armate in questione sono quelle che fanno parte di Fatah Halab, una coalizione militare che opera nell’area di Aleppo, e di cui fanno parte anche le islamiste Ahrar al-Sham e Jaish al-Islam. Il quartiere di Sheikh Maqsoud, a nord di Aleppo, è un quartiere a maggioranza curda da mesi al centro di feroci scontri tra il fronte ribelle e le milizie dell’YPG, che al momento lo controllano. Il motivo degli scontri è che l’YPG sta tentando di interrompere l’ultima linea di rifornimento a disposizione dei ribelli verso la parte est di Aleppo, da questi ultimi controllata. La Castello road (nota come “strada della morte” per via dei cecchini dell’YPG che sparano a chiunque la percorra) è l’ultima vitale via di rifornimento per ribelli e civili che ancora si trovano ad Aleppo est e che sono esposti ai bombardamenti indiscriminati sia dell’aviazione siriana che russa (che colpiscono anche gli ospedali). Riuscire nell’intento (di tagliare quella strada) significherebbe assedio totale per Aleppo est, una tragedia umanitaria senza precedenti per i 90.000 civili che rimarrebbero intrappolati senza cibo né medicine.
Per i ribelli è dunque imperativo impedire alle milizie dell’YPG (e di Assad) di porre Aleppo est sotto assedio; tuttavia i metodi adottati annoverano crimini di guerra secondo Amnesty, che li accusa di aver effettuato bombardamenti indiscriminati con razzi, mortai e hell cannon (un cannone artigianale i cui proiettili sono bombole di gas da cucina imbottite di esplosivo e dotate di alette) su Sheikh Maqsoud, dove vivono 30,000 civili e dove la situazione umanitaria è grave: secondo il rapporto, sono 83 i civili, tra cui 30 bambini, uccisi tra febbraio e aprile (mentre sarebbero 23 quelli uccisi nello stesso periodo dagli attacchi dell’YPG sulle zone in mano ai ribelli). Colti nel mezzo dei combattimenti con i ribelli a ovest, nord ed est, i civili potrebbero fuggire a sud, verso le aree controllate dal regime, ma le truppe siriane, sempre secondo il rapporto, non permettono ai civili di lasciare Sheikh Maqsoud, se non ai feriti gravi, e hanno anche posto restrizioni ai viveri che possono entrare nel quartiere, ossia solo pane e verdure. Secondo i residenti, le farmacie di Sheikh Maqsoud sono vuote, molte hanno chiuso.
Ad aggravare la situazione, ci sono le accuse dell’impiego di agenti chimici da parte di Jaish al-Islam, che secondo Amnesty il 7 aprile “potrebbe aver usato” razzi contenenti gas chimici contro Sheikh Maqsoud, intossicando 6 civili e 2 combattenti dell’YPG. La fonte è un medico che ha curato gli intossicati quel giorno, i quali sostengono di aver visto fumo giallo dopo il bombardamento, cosa che secondo un tossicologo consultato da Amnesty, che ha visionato un video, potrebbe essere dovuto al gas clorino; tuttavia in mancanza di rilievi o campioni non è possibile stabilirlo con certezza. La leadership di Jaish al-Islam ha condannato l’uso di “armi non autorizzate”, senza però specificare quali e senza menzionare agenti chimici. In questo comunicato del 7 aprile stesso sosteneva:
“Durante gli scontri, uno dei comandanti di Jaish al-Islam ha impiegato armi che non era autorizzato a usare [..] È stato deferito alla Corte Militare per ricevere un’adeguata pena secondo il Codice Penale Militare di Jaish al-Islam”.
In un’intervista di pochi giorni dopo l’accaduto, il leader di Jaish al-Islam, Mohammed Alloush, ha negato e il possesso e l’uso di gas chimici, precisando che le armi impiegate contro Sheikh Maqsoud erano missili Grad, armi convenzionali secondo il diritto internazionale.
Contraddizione? Non proprio, dato che i missili Grad 122 mm rientrano effettivamente nel novero delle armi convenzionali, solo che a non essere stato autorizzato da Jaish al-Islam è stato l’uso che se ne è fatto – come ha dichiarato il portavoce del gruppo – ossia per operazioni di guerriglia, che hanno provocato la morte di civili.
Per accertare l’uso di agenti chimici, bisognerebbe raccogliere prove o campioni, che finora mancano; inoltre, se Jaish al-Islam li avesse usati, resterebbe da chiarire come avrebbe fatto ad ottenerli. Le armi chimiche siriane sono state al centro di un processo di smantellamento da parte dell’ONU stabilito dopo l’attacco al sarin sul quartiere damasceno di Al-Ghouta il 21 agosto 2013, a seguito del quale, su proposta di Israele, la Russia evitò un (già allora improbabile) intervento militare americano contro il regime siriano, colpevole di aver oltrepassato la “linea rossa” sull’uso delle armi chimiche.
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Sebbene fino ad allora il regime siriano avesse negato di possedere armi chimiche, con quell’accordo fu costretto non solo ad ammettere di averle, ma anche a cederle per la distruzione. Tuttavia, il regime continuò a utilizzare gas chimici, principalmente gas clorino, sulle aree controllate dai ribelli, come molte inchieste dell’ONU e di varie associazioni umanitarie hanno ampiamente documentato. Anche se è stato dimostrato che il regime siriano non ha consegnato in realtà tutto il suo arsenale chimico, rimane da spiegare e dimostrare come avrebbero fatto i ribelli a mettere le mani su gas chimici.
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In ogni caso, a seguito delle accuse di Amnesty, il 15 maggio l’Operation Room di Fatah Halab ha diramato questo comunicato in cui si legge:
“Fatah Halab riafferma la sua piena aderenza al diritto internazionale umanitario e il suo massimo sforzo per tutelare i civili in ogni area, anche quelle fuori dal suo controllo. L’Opeartion Room prende nota delle dichiarazioni di alcune organizzazioni umanitarie riguardo presunte violazioni del diritto internazionale umanitario. Inchieste su queste accuse verranno iniziate immediatamente per accertarsi che tutti i combattenti abbiano agito secondo gli ordini di rispettare pienamente il diritto internazionale umanitario e per prevenirne le violazioni”.
Di certo, a pagare il prezzo più alto sono i civili presi in mezzo ai combattimenti intorno ad Aleppo, dove tutte le parti belligeranti commettono crimini di guerra, con mezzi e proporzioni diverse; è il regime siriano che mantiene il triste primato di vittime civili in tutto il Paese, anche impiegando armi non convenzionali e vietate, come il gas clorino, i barili bomba e le bombe a grappolo.
di Samantha Falciatori