Come un indice alternativo al PIL potrebbe spiegarci meglio le relazioni di potere nella geopolitica mondiale. Il caso armeno.
L’autore del presente articolo ha elaborato uno strumento di analisi matematica della Geopolitica alternativo al PIL, che è chiamato indice STF (Secure Trust Factor).
Nel momento in cui si propone uno strumento di analisi dei rapporti delle nazioni alternativo al PIL ci si confronta con l’annoso compito di criticare tale artificio di analisi. Questo strumento è stato ideato da Adam Smith e per molto tempo si è rivelato apparentemente esaustivo nel descrivere la realtà. Prima di entrare nel lungo dibattito su di una possibile alternativa al PIL e sulla soluzione che in questa sede viene proposta è bene forse evidenziare cosa sia il Prodotto Interno Lordo esattamente e quale è la sua debolezza più palese.
Il PIL è un misuratore di ricchezza che tiene conto della Produzione, i Consumi e dei Redditi/Profitti. Da queste singole voci il PIL tenta di descrivere, attraverso l’uso esclusivo dell’economia, lo stato di benessere di una nazione. Una caratteristica interessante del PIL è quella di offrire una analisi che mal si adatta alle precedenti epoche e che sembra ugualmente gestire con difficoltà l’attualità, il che ci porta a dire che, se non altro, è stato uno strumento utile ma eccessivamente specializzato per l’epoca che lo ha prodotto. Come la fisica newtoniana si è rivelata insufficiente quando abbiamo spinto il nostro sguardo oltre la stratosfera, allo stesso modo è stato per il PIL.
L’algoritmo degli STF è uno strumento molto utile non solo per analizzare le grandi nazioni, ma anche e soprattutto per individuare ed anticipare le anomalie del mercato e degli andamenti geopolitici planetari. Da questo punto di vista è interessante osservare come gli STF non producano mai oscillazioni notevoli nel corso del loro rinnovo semestrale e quando ciò viene osservato le ragioni possono essere di due tipi: la prima è che i dati che confluiscono nel calcolo hanno in qualche modo subito una falsificazione (modifica delle metodologie, nuovo accesso a fonti di informazioni differenti, ecc ecc. ), la seconda è che qualcosa di strano stia avvenendo in quel paese.
Risulta interessante osservare come sia molto difficile discernere ad un primo sguardo fra le due possibili origini della anomalia in quanto riguarda, quando osservato, piccoli paesi. Se fino a questo momento l’autore ha realizzato dei contributi che solo in seconda battuta sono stati confrontati con i dati prodotti dagli STF, per la prima volta si partirà direttamente dagli STF per svolgere una interpretazione dello scenario geopolitico ed il nostro primo caso di studio è l’Anomalia dell’Armenia.
L’Armenia mostra una alterazione del punteggio STF notevole.
Primo Semestre 2018 | Secondo Semestre 2018 | Primo Semestre 2019 |
38,28 | 80,31 | 68,31 |
Naturalmente è chiaro che qualcosa di anomalo concorra in questi risultati falsificandoli in quanto, tenendo conto gli STF sia della distribuzione e qualità alimentare, che delle risorse energetiche e belliche, è impossibile che realmente questi dati siano mutati così eccessivamente in così poco tempo. Se trattassimo la curva risultante come il prodotto di una analisi per mezzo di uno oscilloscopio, non avremmo dubbi di trovarci innanzi ad uno picco che segnala un qualche tipo di fenomeno. Analizziamo quindi il paese in esame.
L’Armenia è una nazione piccola, affascinante ed estremamente complessa.
Quello che oggi è un piccolo paese non collegato al mare, affonda le sue radici in una comunità antichissima che, a fasi alterne, ha ottenuto e perso la sua indipendenza come stato, sempre schiacciato fra le grandi potenze degli imperi arabi, poi ottomani e infine russi.
In epoca moderna riemerge una nazione propriamente armena con la Repubblica Socialista Sovietica Armena nel 1936. Ancora sotto l’ombrello dell’Unione Sovietica iniziano le frizioni con l’Azerbaijan a causa della enclave armena della zona del Nagorno-Karabakh che sfociano nelle violente proteste del 1988. In realtà sono molte le comunità armene sparpagliate per il mondo a causa della sfortunata storia di questa comunità la cui diaspora ha portato alla situazione limite per cui 8 milioni di armeni vivono nel resto del mondo a fronte di una popolazione dello stato armeno di meno di 3 milioni di abitanti.
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La vicinanza però della comunità del Nagorno Karabakh ha sempre accesso sentimenti di annessione alla madrepatria. Con la caduta del muro di Berlino i due paesi confinanti entrano in un vero e proprio conflitto terminato ufficialmente nel 1994 ma che ha portato alla nascita di una repubblica non riconosciuta (se non dalla stessa Armenia) nota come Repubblica dell’Artsakh e che ancora nel 2016 riesplodeva nella cosiddetta “Guerra dei 4 Giorni” fra Armenia e Azerbaijan.
Per quanto certi mass media vogliano vedere in questo conflitto una possibile connessione con lo scandalo dei Panama Papers – addirittura sostenendo che l’Azerbaijan avrebbe fatto scoppiare il conflitto per coprire il suo coinvolgimento nello scandalo – in questa sede siamo portati a credere più semplicemente che la contesa fra i due paesi sia profonda e del tutto irrisolta.
Del resto la crisi fra le nazioni vicine continua ancora oggi, con il confine reso incandescente dalle continue reciproche violazioni. Va considerato inoltre che le responsabilità sono vicendevoli con l’Armenia ha violato 21 volte il cessate il fuoco con l’Azerbaijan, ricercando una recrudescenza del conflitto.
La crisi con la nazione vicina però non è l’unica anomalia dell’Armenia, la quale ha una posizione diplomatica ambivalente come dimostrato, non in ultimo, dall’aiuto dell’Armenia alla comunità Siriana ufficialmente per ripagare i debiti umanitari contratti durante il genocidio degli armeni durante il quale molti armeni trovarono rifugio in Siria, ma probabilmente tali soccorsi vanno inseriti nell’ambito di una manovra per riavvicinarsi alla Russia e riaccendere i riflettori sul conflitto ideologico, mai chiuso, con la Turchia. Tale cauto e mascherato ammiccamento al Cremlino è controbilanciato dall’avvicinamento dell’Armenia agli stati Uniti in funzione anti-russa (ma anche in questo caso probabilmente vissuta localmente in funzione anti Azerbaijan). Ugualmente però la NATO ha allentato i rapporti con l’Armenia individuando nella manovra in Siria una politica ambivalente e compiendo ostracismo riguardo un loro possibile supporto in Siria. Ciò nonostante sia l’Armenia che l’Azerbaijan risultano come aspiranti membri della NATO.
A voler rendere ancora più confuso e fosco il quadro del nostro oggetto di esame vi è il crollo delle esportazioni e del mercato estero dell’Armenia come prova di un fallimento delle riforme economiche attuate negli ultimi anni ma anche di un accerchiamento dei mercati esteri nei confronti della piccola nazione incapace di opporre una concreta resistenza.
A seguito di questa prima analisi si sollevano quindi numerosi dubbi e ci si chiede cosa possa aver provocato l’oscillazione osservata negli STF che ci ha condotto a questa analisi. Una prima spiegazione potrebbe legarsi al fatto che l’Armenia è un piccolo paese che non desta l’interesse dei grandi collettori di dati fintanto che non è coinvolta in qualche tipo di conflitto o crisi che la ponga in relazione con nazioni più grandi.
Di conseguenza si potrebbe supporre che la raccolta di informazioni su questo paese sia alquanto scarsa in certi periodi portando ad una falsificazione del dato. Esiste invece un’altra spiegazione, ovvero sia che gli STF abbiano registrato traffici ed investimenti non palesati in altre forme. Come abbiamo visto l’Armenia è un paese al centro di numerosi interessi e che si barcamena fra nazioni più potenti, perseguendo suoi scopi personali legati soprattutto alla protezione e alla riunificazione di un etnos così caratteristico.
Ci si chiede quindi, in via del tutto teorica e come spunto di riflessione, se tali dati non possano indicare un effettivo introito di nuove armi da paesi alleati, oppure se in qualche modo la politica energetica dell’Armenia abbia subito un drastico mutamento, o se, e sarebbe lo scenario peggiore, i mercati e i big data non stiano registrando una aggressione diplomatica/economica che preannuncia un suo ridimensionamento ulteriore nello scenario internazionale, magari a favore dell’Azerbaijan più chiaramente allineato alla Russia. In questa epoca di grandi mutamenti e di continui e imprevisti, ma non per questo meno incisivi, “sconfinamenti permanenti” (per non utilizzare il desueto e vituperato termine “invasione”) questo ultimo scenario porrebbe l’Armenia in un forte rischio.
I prossimi 6 mesi saranno fondamentali per suffragare tali dubbi e rappresenteranno un importante banco di prova per la solidità degli STF.
di Tanator Tenabaun