di Enrico Amarante
“I fisici hanno conosciuto il peccato e questa è una conoscenza che non potranno perdere.” Il commento di Julius Robert Oppenheimer pronunciato dopo aver assisitito alla prima detonazione nucleare a Los Alamos.
Sono più di 10.000 le testate nucleari presenti sulla Terra. Di queste, le stragrande maggioranza è detenuta dalle due grandi potenze che si fronteggiarono durante la guerra Fredda: Russia e Stati Uniti. Le restanti sette nazioni (Cina, Francia, Regno Unito, India, Israele, Pakistan, Corea del Nord) hanno a loro volta centinaia di testate, e più di trenta altri Stati hanno la capacità tecnologica di sviluppare armi nucleari. Ma sarebbe legale utilizzarle o minacciare di farlo?
Nel 1996, l’Assemblea Generale dell’ONU pose tale domanda alle Corte Internazionale di Giustizia. L’opinione del più alto organo giudiziario delle Nazioni Unite, avente carattere non vincolante ma agendo quale parere legale, fu per certi versi rivoluzionaria: essa stabilì che, generalmente, utilizzare armi nucleari in caso di conflitti armati sarebbe stato illegale secondo il diritto internazionale.
La Corte basò la sua opinione sulle norme di diritto umanitario e ambientale. Il primo, che si applica in casi di conflitti armati, vieta un’estrema discrezionalità nell’uso delle armi e obbliga a distinguere tra obiettivi civili e militari. È inoltre dovere delle parti evitare sofferenze non necessarie, al fine di rendere l’intera guerra meno disumana. Il secondo, invece, vieta l’alterazione sfrenata e non necessaria dell’ambiente, per proteggere l’ecosistema e le generazioni future. Ebbene, la Corte stabilì che per le caratteristiche proprie delle bombe nucleari, in nessun modo esse potevano ritenersi legali.
Tuttavia, un’importante questione fu lasciata irrisolta: l’autodifesa dello Stato. Nell’ultima parte della sua opinione, la Corte si spaccò a metà: in caso di suprema emergenza, dove è minacciata quindi la stessa sopravvivenza dello Stato, non vi è una risposta univoca sulla legalità o meno dell’utilizzo di armi nucleari.
La questione è di estrema importanza nel diritto internazionale. La Carta delle Nazioni Unite prevede la legittimità di una difesa collettiva o singola contro un attacco nemico. Alcuni elementi devono essere presenti in caso di minaccia nemica (ricordiamo a tal proposito la possibilità concreta a disposizione degli attori statuali d’inventare la minaccia): questa deve essere concreta, imminente ed inevitabile. Il concetto di imminenza in conflitti nucleari è però a dir poco volatile: aspettare finché non si concretizzi la minaccia o lo stesso attacco per poter rispondere significherebbe difendersi troppo tardi. Un altro principio dell’autodifesa è quello della proporzionalità. Data la potenza rilasciata, tali strumenti non sarebbero in grado di rispondere in modo adeguato ad una minaccia imminente, in quanto lo Stato difendente diventerebbe nei fatti quello attaccante.
Storicamente, sono stati vari i casi di autodifesa dove la minaccia nucleare era percepita come alta. Per due volte Israele ha bombardato centrali nucleari, in Iraq nel 1981 e in Siria nel 2007, per difendersi preventivamente dalle minacce di tali Stati. Inoltre, l’invasione dell’Iraq nel 2003 fu motivata dall’esigenza di prevenire l’acquisizione di armi di distruzione di massa da parte di Saddam Hussein. In tali casi si scelse di non rispondere a tali minacce con armi nucleari, ma solo prevenire il loro uso. Tuttavia, recentemente la Russia ha simulato un attacco nucleare alla Svezia, e il Pakistan si è detto pronto ad utilizzare bombe nucleari contro un’eventuale invasione indiana.
Una dichiarazione sulla totale illegalità delle armi nucleari, seppur contenuta in un’opinione legale e non in un giudizio vincolante, forse avrebbe potuto aumentare gli sforzi per un maggiore disarmo. Ancora oggi, l’effetto deterrente delle armi nucleari è strategicamente rilevante. Alcuni analisti considerano il rischio di uno scontro nucleare più alto oggi rispetto al periodo della Guerra Fredda. Inoltre, il progresso tecnologico e le nuove dottrine strategiche hanno portato a declinare la potenza nucleare in più piccole e versatili armi, come le testate nucleari tattiche.
[ecko_toggle style=”solid” state=”closed” title=”Le armi nucleari tattiche (NTW)”]Le armi nucleari tattiche sono ordigni nucleari specializzati per l’uso sul campo di battaglia, e hanno lo scopo di ricavare un vantaggio tattico, come ad esempio distruggere truppe nemiche. Hanno potere distruttivo ridotto rispetto alle bombe nucleari strategiche. Sono inoltre facilmente trasportabili e molto versatili. [/ecko_toggle]
Premesso quindi che non esiste un divieto di utilizzare le armi nucleari, ha senso parlare di legalità o meno delle armi nucleari? La questione è intrinsecamente legata allo sviluppo del diritto internazionale. Una pronuncia di illegalità implicherebbe (sulla carta) il divieto di sviluppo e possesso di tali armi. Sebbene manchino un potere giudiziario coercitivo e forze esecutive sovranazionali indipendenti, vi sono trattati internazionali che con successi altalenanti hanno provato a regolare la questione del nucleare. Tra questi vi è il Trattato sulla Non-Proliferazione delle Armi Nucleari, da cui nasce l’International Atomic Energy Agency, l’agenzia delle Nazioni Unite deputata a garantire lo sviluppo nucleare ai soli fini civili e disincentivarlo per scopi militari.
Il problema del funzionamento è però legato al fatto che eventuali violazioni nel processo di disarmo sono riportate al Consiglio di Sicurezza ONU, responsabile di attuare azioni per fermare la minaccia nucleare. Data la natura politica di tale organo, è inverosimile una supervisione imparziale su tutte le minacce nucleari. Ciò è accaduto per esempio nel 2010, quando Russia e Cina hanno con riluttanza deciso di implementare sanzioni più dure contro l’Iran. Perciò, un divieto a sviluppare armi nucleari avrebbe allo stato attuale un mero potere persuasivo e orientativo. La mancanza di supervisioni e sanzioni rigide e certe fanno sì che lo sviluppo di armi nucleari possa essere contrastato solo dalla forza della politica internazionale, lasciata alla discrezione degli Stati.