La guerra è diventata un gioco da ragazzi, letteralmente. L’impiego di armi leggere lowcost e bambini soldato costituisce le fondamenta dei conflitti armati della contemporaneità.
C’era una volta la legge degli innocenti, una solida consuetudine morale che per millenni ha tenuto i soggetti più vulnerabili della società lontano dalla guerra. Impiegare donne, vecchi e bambini come soggetti attivi della violenza organizzata, oltre che eticamente disdicevole, era anche considerata cosa poco saggia per la progettazione strategica e tattica della guerra.
C’erano una volta armi e armature di fattura pregevolissima, estremamente onerose in termini di danaro, tanto che in epoca medievale solo la grande aristocrazia poteva generalmente permettersi d’intentare battaglia in nome del re. A tutelare gli investimenti di quei soggetti che potevano permettersi di fare la guerra c’erano codici cavallereschi, prassi d’onore, formulari normativi e consuetudini morali. L’avvento delle armi da fuoco e della guerra di popolo ha abbassato le “barriere d’ingresso” alla guerra democratizzandone la funzione, ma per secoli fu comunque lo stato l’unico soggetto con risorse sufficienti a detenerne il monopolio.
Oggi, come appare evidente, i conflitti bellici hanno assunto una forma ben diversa. Nel caos prodotto dall’avvento delle nuove guerre, senza fine, asimmetriche, di quarta generazione, la legge degli innocenti è stata ricacciata nell’oblio. Chiunque può farsi vittima o carnefice dell’odierna violenza (non)organizzata. Stessa sorte per i codici cavallereschi e tutte quelle consuetudini morali che nei secoli avevano costituito ciò che noi conosciamo come “tattiche regolari”. Oggi di regolare rimane ben poco. Guerra e moralità corrono ormai su binari perfettamente paralleli. Guerriglia e terrore, d’altro canto, viaggiano sulla stessa carrozza.
Una delle risultanze più macabre della conflittualità moderna è rappresentata dal ruolo dei bambini soldato, adolescenti strappati alla loro vita, psichicamente desensibilizzati e armati di vecchi fucili d’assalto arrugginiti.
È Peter W. Singer a dirci che i bambini soldato sono oggi presenti in quasi ogni conflitto armato. “L’uso di bambini soldato è assai più diffuso della scarsa attenzione che il fenomeno generalmente suscita. Oggi un numero rilevante di bambini è direttamente coinvolto in oltre tre quarti dei conflitti armati nel mondo. Non si tratta solo di giovani alle soglie dell’età adulta, ma anche di bambini di sei anni.” (P.W. Singer, I Signori delle Mosche. L’uso militare dei bambini nei conflitti contemporanei, Feltrinelli Editore, Milano, 2006).
Alcuni casi sono più emblematici di altri: In Sierra Leone, piccolo paese dell’Africa occidentale passato attraverso una lunga guerra civile negli anni Novanta, l’80% dei combattenti del RUF (Revolutionary United Front) non arrivava a quattordici anni di età. Stessa storia per il LRA (Lord’s Resistence Army) guidato in Uganda da Joseph Kony.
I bambini soldato sono asset a costo zero. Sia che si offrano volontari o che vengano rapiti, di rado vengono pagati o addestrati. Armati di Ak-47 comprati in stock a qualche decina di dollari al pezzo, schierare unità militari di questo tipo è estremamente vantaggioso in termini economici, tanto che chiunque, se disposto ad agire oltre i confini della legalità, potrebbe oggi permettersi un piccolo esercito privato.
L’eclissi del bipolarismo, la conseguente crisi istituzionale nei paesi del blocco occidentale e del “terzo mondo”, l’erosione della sovranità nazionale, la liquidazione illegale dell’immenso arsenale sovietico perpetrata dai signori della guerra nei primi anni Novanta, l’avanzamento tecnologico, l’abbassamento dei costi marginali e la scomparsa dei codici militari tradizionali hanno reso possibile una sostanziale privatizzazione del fenomeno guerra. Non più troppo costosa per essere combattuta. Non più combattuta nel rispetto di regole non scritte come la legge degli innocenti.
I compagni dell’Unità di Protezione Popolare curda (YPG – Yekîneyên Parastina Gel) e del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK – Partîya Karkerén Kurdîstan) schierano adolescenti nelle seconde linee addette al rifornimento; il sedicente Stato Islamico recluta e addestra bambini soldato per gli scopi più vari, utilizzandoli come scudi umani negli scontri ravvicinati, impiegandoli attivamente in prima linea o riprendendoli con i telefonini mentre decapitano soldati regolari per scopi propagandistici; l’esercito iracheno, stante la giovane età della popolazione e l’esigenza di fare numero, accetta anche ragazzi al di sotto dei diciotto anni, e lo stesso vale per tutte le altre forze armate irregolari che operano nel paese. L’irriverenza nei confronti del concetto di maggiore età sancito dal diritto internazionale è forse l’unica cosa che accomuna tutti i soggetti belligeranti. Insieme, ovviamente, all’intramontabile Kalashnikov.
Certo, non è infrequente imbattersi in fucili come il Mosint-Nagant o il Dragunov, anch’essi di fattura sovietica e riciclati dagli arsenali del blocco orientale dopo la caduta della confederazione, o in fucili di produzione americana come l’M-16, forniti prima all’esercito regolare iracheno e ora anche alle milizie curde, ma questi non rappresentano che dei complementi di poco conto alla grande armeria della guerra civile irachena.
L’Ak-47 è protagonista indiscusso della scena. Procurarsi armi di questo genere in Medio Oriente o in altre aree di crisi è facile. Al ruolo d’intermediazione dei signori della guerra si è aggiunto il mercato nero del darkweb, nel quale, previa conoscenza del giusto dominio internet, acquistare armi di piccolo calibro è come comprare libri su Amazon . L’Ak-47 costituisce il grosso degli arsenali bellici di tutte le parti belligeranti nel conflitto iracheno. È probabile che persino i fornitori siano gli stessi. Le stesse persone che vendono quando si aprono le ostilità e ricomprano quando queste cessano, in barba ai meccanismi di disarmo e smobilitazione. Molti dei fucili d’assalto in mano ai miliziani del sedicente Stato Islamico, ai combattenti curdi o ai soldati governativi hanno attraversato larga parte dei conflitti dell’ultimo mezzo secolo, viaggiando dal Vietnam alle sabbie dell’Afghanistan, dalle montagne innevate della Cecenia alle giungle del Ruanda. Economici, affidabili e pratici. Esattamente come i bambini soldato.
Le stime, queste ultime molto meno affidabili dei fucili sovietici, parlano di 500 milioni di pezzi disponibili sul mercato globale, nonché di circa 300.000 bambini soldato attivamente impiegati nei conflitti armati in corso. Basare eventuali tecniche di risoluzione dei conflitti sull’abbassamento di queste cifre potrebbe rivelarsi utile allo scopo. Il sostegno della comunità internazionale in questo senso è determinante. Nel 2003 l’OSCE ha dato alle stampe un manuale inerente le migliori prassi sulla gestione delle eccedenze di armi di piccolo calibro, descrivendo le tecniche di marchiatura e rintracciabilità, il controllo nazionale delle attività di intermediazione e di esportazione, e definendo le migliori tecniche di distruzione. Un’adozione estesa di queste prassi favorirebbe la diminuzione degli arsenali militari attualmente disponibili sul mercato, e dunque minori possibilità da parte di gruppi insurrezionali o organizzazioni terroristiche di acquistare armi di piccolo calibro a prezzi fin troppo accessibili.
Allo stesso modo, supportare e rafforzare i processi di disarmo, smobilitazione e reinserimento (DD&R) dei bambini soldato dispiegati nelle aree di crisi comprometterebbe in modo decisivo il potenziale militare di tutti quei gruppi armati che ne fanno uso, riducendo il rischio di nuovi conflitti e aumentando le possibilità d’intesa in quelli esistenti.
Child Soldiers International, formata da un pool eterogeneo di ONG come Save the Children, Human Rights Watch e Amnesty International, ha un’esperienza pluridecennale in materia. Supportarne e finanziarne l’operato garantirebbe risultati celeri e mirati.
In conclusione, garantire buone prassi per la gestione degli arsenali militari in vista di una loro possibile distruzione unitamente alla reintegrazione dei bambini soldato nelle comunità di appartenenza al termine di un conflitto, (avviando dunque processi a lungo termine di disarmo, smobilitazione e reinserimento DD&R), permetterebbe un più rapido riassorbimento dei conflitti esistenti e minori possibilità di una loro nuova accensione. Rimuovere dall’equazione kalashnikov e bambini è come accorgersi del problema: hai già fatto metà del lavoro.
Francesco Balucani