La Brexit, cioè l’uscita del Regno Unito all’Unione europea, alla fine è arrivata a destinazione. Londra dovrà dire addio all’unione doganale, al libero scambio di merci, addio al mercato unico e addio agli accordi internazionali siglati tra l’Europa e Paesi terzi. Stop anche al Programma Erasmus per gli studenti, alle normative sul roaming e alla libera circolazione di persone e capitali.
Sono passati ormai più di quattro anni da quel fatidico 23 giugno 2016 quando i cittadini di Regno Unito e Gibilterra votarono il referendum sulla Brexit per decidere se restare nell’Unione europea o intraprendere un “divorzio” (più o meno consensuale) tra Londra e Bruxelles.
E oggi, a più di quattro anni di distanza dalla tornata referendaria, si è arrivati al punto che si attendeva da tempo. Nel pomeriggio dello scorso 24 dicembre, giorno della Vigilia di Natale, il premier britannico Boris Johnson e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen hanno infatti confermato il raggiungimento di un accordo. Un accordo arrivato dopo tre anni di trattative serrate e con scadenza fissata per questo 31 dicembre.
Dal primo gennaio del prossimo anno, infatti, il Regno Unito sarà a tutti gli effetti un “Paese terzo” per l’Unione europea e – proprio come tale – i suoi cittadini, le sue imprese e le sue società non potranno più beneficiare di una serie di diritti e libertà che invece sono garantiti tra gli altri 27 Stati membri.
Ora spetterà al Parlamento britannico da un lato, al Consiglio europeo a al Parlamento europeo dall’altro, ratificare il nuovo accordo. Ma nel concreto questi accordi tra Ue e Uk che cosa prevedono? E quali saranno i principali pilastri sui quali di fondano le basi dell’uscita di Londra dall’Unione?
Brexit: ecco cosa cambia
I principali temi sui quali di fonda l’accordo punta a un nuovo partenariato economico, a una stretta collaborazione in materia di sicurezza e una politica comune in materia di governance e di tutela dei diritti di cittadini, imprese e consumatori soprattutto in questa prima fase.
L’accordo riguarda non solo gli scambi di merci e servizi ma anche i temi sugli investimenti, sulla concorrenza bilaterale, sugli aiuti di Stato e sulla trasparenza fiscale. Capitoli a parte riguardano poi i trasporti aerei e stradali, l’energia e la sostenibilità, il delicato settore della pesca, la legislazione in materia di protezione dei dati e il coordinamento in materia di sicurezza sociale.
I Governi di Bruxelles e Londra si sono impegnati anche a garantire una solida parità di trattamento ad esempio in tema di tutela dell’ambiente, di lotta ai cambiamenti climatici, di tutela dei diritti sociali. Il Regno Unito e l’Unione hanno trovato anche un accordo nella gestione delle risorse ittiche nelle acque territoriali.
Sul tema dei trasporti l’accordo prevede che le tratte aeree, stradali e ferroviarie e anche quelle marittime continueranno ad “esistere” senza particolari stravolgimenti, anche se l’accesso ai mercati – ovviamente – è presumibile che si ridurrà considerevolmente rispetto alle opportunità offerte dall’appartenenza a un mercato unico europeo. Nel testo è prevista anche la tutela dei diritti dei passeggeri e degli stessi lavoratori.
Obiettivo: sicurezza interna e governance
L’accordo siglato il 24 dicembre stabilisce anche un nuovo sistema bilaterale in materia di cooperazione nel contrasto alla criminalità. Viene difatti riconosciuta la necessità di una maggiore e stabile cooperazione tra le Forze di polizia nazionali.
Questa parte dell’accordo ha l’obiettivo di perseguire penalmente in maniera unitaria soprattutto i fenomeni di terrorismo transfrontaliero. Infatti il Regno Unito, essendo diventato a tutti gli effetti un Paese terzo al di fuori dell’area Schengen, non avrà più a disposizione le strutture su cui poteva contare in tema di cooperazione in materia di repressione della criminalità. Da qui è sorta l’esigenza di stendere nuove regole.
La cooperazione in materia di sicurezza potrà essere sospesa unilateralmente in caso di palesi violazioni da parte di Londra in materia di adesione alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Un altro passaggio importante è quello legato al tema della governance e della tutela dei diritti dei cittadini, delle imprese e dei consumatori. Bruxelles e Londra hanno infatti raggiunto un accordo che prevede una “concorrenza paritaria” escludendo quindi che – in ragione dell’autonomia di ciascuna parte – si possano effettuare “agevolazioni finanziarie” sleali che possano mettere in discussione la libera concorrenza.
Relazioni internazionali: Londra farà da sé
Londra ha voluto tenere fuori dalle trattative alcuni temi importanti come quello della diplomazia, della politica estera e della difesa comune. Per questo, dal prossimo primo gennaio, non sarà previsto alcun quadro concordato tra l’Unione e il Regno Unito per elaborare strategie comuni in relazione alle sfide internazionali di politica estera.
Uscendo dall’Ue, la Gran Bretagna non potrà più trarre vantaggi dagli accordi internazionali e dalle politiche di vicinato che Bruxelles ha in essere con Paesi terzi. Londra sarà così costretta, nei fatti, a dover riscrivere nuovi trattati bilaterali ad esempio con la Cina, col Giappone o con il Canada, trattati che – anche in suo nome – erano stati siglati in passato dall’Unione.
Irlanda del Nord e la questione di Gibilterra
Se da un lato gli accordi di recesso sono stati stesi in maniera molto puntigliosa, alcuni temi di attualità e di centrale importanza sono ancora in discussione.
Primo fra tutti il tema legato alla mobilità da e verso Gibilterra. Il territorio britannico a sud della Spagna, infatti, non rientra nell’accordo siglato la Vigilia di Natale da Ursula von der Leyen e Boris Johnson. Una scelta richiesta proprio dal Governo di Madrid alla luce dell’importanza strategica che il porto all’imbocco del Mediterraneo ha sull’economia spagnola.
In questo caso la palla è nelle mani di Arancha Gonzalez Laya, ministro degli Esteri spagnolo, e del premier Pedro Sanchez che ora dovranno trattare (possibilmente entro il 31 dicembre) con il Governo di sua maestà britannica per evitare una “hard Brexit” al confine con la ex colonia inglese. Sono infatti oltre 10mila gli spagnoli che, ogni giorno, varcano il confine (oggi praticamente inesistente) per recarsi al lavoro. Scontato ricordare come nel 2016 oltre il 95% dei gibilterrini votò per il remain, chiedendo quindi di restare nell’Unione europea.
Ma c’è un altro nodo da sbrogliare. La questione legata all’Irlanda del Nord e al confine con la Repubblica d’Irlanda. Durante le trattative, portate avanti dal capo negoziatore Michel Barnier, il nodo principale era legato appunto alla questione delle “due Irlande”.
Lo scorso febbraio era stato firmato il Withdrawal Agreement, un trattato che regola in maniera puntuale lo status dell’Irlanda del Nord (nazione costitutiva del Regno Unito) che comunque godrà di un protocollo speciale per i rapporti con l’Ue.
Tra l’altro Londra, probabilmente senza nemmeno pensarci troppo, ha di fatto voluto dire addio pure al Programma Erasmus di mobilità degli studenti europei. E proprio da questa decisione, quasi per miracolo, Irlanda e Irlanda del Nord hanno trovato una inattesa intesa. Il Governo di Dublino ha infatti fatto sapere che sarà lui stesso a finanziare le borse di studio per gli studenti nord-irlandesi che – tecnicamente – non potrebbero altrimenti accedere al programma europeo.
La Scozia “europea”
L’ultima spina nel fianco del premier Boris Johnson è legata alla questione scozzese. La first minister Nicola Sturgeon ha infatti ribadito la sua totale contrarietà all’accordo sulla Brexit siglato tra Londra e Bruxelles.
The Brexit deal will pass regardless of how @theSNP votes. Scotland’s voice & interests are unimportant to the Westminster establishment. Far better then for our MPs to cast a principled vote against Brexit, as we get on with winning the positive case for independence.
— Nicola Sturgeon (@NicolaSturgeon) December 27, 2020
Nel 2016, infatti, il 62% degli scozzesi votò (come successo anche a Gibilterra) per il remain e quindi per far restare il Regno Unito all’interno dell’Unione europea. Un voto che, però, non poté escludere l’avvio delle trattative che hanno portato all’accordo di recesso firmato il 24 dicembre scorso e che porteranno all’uscita definitiva del prossimo primo gennaio 2021.
Sturgeon, come successo pure in Irlanda del Nord, ha anche fortemente criticato la scelta di “uscire” dal Programma Erasmus, impedendo quindi la mobilità degli studenti scozzesi verso le università del vecchio continente.
Le reazioni
Da Bruxelles, nonostante gli incessanti dibattiti e le lunghe trattative col Downing Street, le reazioni per il raggiungimento dell’accorso sono state positive.
Siamo giunti al termine di quattro anni molto intensi, in particolare per quanto riguarda gli ultimi nove mesi durante i quali abbiamo negoziato il recesso ordinato del Regno Unito dall’UE e un partenariato completamente nuovo, che abbiamo finalmente concordato oggi. La protezione dei nostri interessi è stata la nostra preoccupazione principale durante tutti questi negoziati e sono lieto di quanto abbiamo conseguito. Spetta ora al Parlamento europeo e al Consiglio pronunciarsi su questo accordo.
Questo è stato il primissimo commento di Michel Barnier, capo negoziatore per conto dell’Unione europea nel difficile dialogo con Londra.
Alle sue parole hanno fatto eco quelle della presidente della Commissione Von der Leyen che ha puntato l’attenzione sulla necessità di tutelare gli interessi degli europei.
È stato lavoro ben speso lottare per questa intesa, perché ora abbiamo un accordo equo ed equilibrato con il Regno Unito, che proteggerà gli interessi europei, garantirà una concorrenza leale e assicurerà la necessaria prevedibilità alle comunità della pesca. Possiamo finalmente lasciarci alle spalle la Brexit e volgere lo sguardo al futuro. L’Europa prosegue il suo cammino.
Anche il primo ministro inglese Boris Johnson, nonostante l’euforia iniziale, a bocce ferme ha confermato che l’accorso è comunque un buon compromesso che garantirà un futuro di “amicizia” tra Regno Unito e Unione.
Ora la Commissione europea dovrà presentare (e in maniera abbastanza veloce) delle proposte di decisioni da presentare al Consiglio in relazione alla firma e all’applicazione provvisoria per la conclusione dell’accordo. Poi spetterà al Consiglio europeo, ovviamente all’unanimità, autorizzare la ratifica dell’accordo e la sua applicazione provvisoria dal primo gennaio 2021.
Solo dopo questi passaggi l’accordo sulla Brexit potrà essere firmato. Anche il Parlamento europeo sarà, in questa fase dei lavori, invitato a pronunciarsi sull’approvazione della ratifica dell’accordo. Ma il presidente David Sassoli non è però convinto di riuscire a calendarizzare il dibattito nel breve periodo, rimandando quindi la discussione a gennaio.
Volge quindi al termine una vicenda lunga e non senza ostacoli. La Brexit, soprattutto per il Regno Unito, sarà certamente un salto nel buio che stravolgerà sia l’economia (per come è stata fino ad oggi) che le abitudini dei cittadini britannici. Certo è che l’addio di Londra, per l’intera Unione europea, sarà una grande perdita. Ma come ogni perdita, forse, potrebbe avere anche i suoi risvolti positivi. Risvolti che si potranno analizzare, però, solo nel lungo periodo.
(immagine in copertina © European Union, 2017 – EC – Audiovisual Service)
di Omar Porro