La situazione in quella che era la Libia l’abbiamo già descritta come sempre peggiore e in qualche modo sempre uguale a sé stessa, col prolungarsi di una guerra civile sempre più sistematica. Ma negli ultimi tempi la situazione ha subito una notevole accelerazione. E da ormai un anno l’Italia è solo una comparsa.
La Libia, come già detto, non esiste più, ormai ridotta a un caso da manuale di Stato fallito. Da un lato il governo di Tobruk, con a capo il generale Khalifa Haftar, sostenuto da Egitto, Russia, Francia, Emirati, dall’altro il governo di Tripoli, in teoria riconosciuto come legittimo dalle Nazioni Unite, ma di fatto debole e isolato; interposte tra i due governi troviamo svariate milizie indipendenti e movimenti a varia intensità jihadista.
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Nelle ultime settimane gli eventi sono precipitati ulteriormente, con la volontà di Haftar di chiudere definitivamente lo scontro per Tripoli. In questo momento decisivo si fanno sempre più scoperti gli interventi di attori stranieri che rispecchiano i cambiamenti degli equilibri internazionali e lo stato fallito si mostra più chiaramente come un campo confuso ma fondamentale dove si svelano le molte tensioni dello scacchiere mediterraneo.
La Francia ha sempre tenuto una politica molto indipendente e disinvolta in Africa settentrionale (e non solo) e intervenendo in Libia sostenendo in maniera sempre meno ufficiosa Haftar nonostante il sostegno formale al governo di Tripoli da parte di Nazioni Unite e Unione Europea.
Nel contempo le dinamiche centripete della NATO sempre più debole e divisa permettono alla Turchia di giocare un ruolo sempre più autonomo, anche in contrapposizione agli altri interessi atlantici, come già si è visto in Medio Oriente. Erdogan ha infatti deciso di sostenere apertamente Sarraj, contribuendo con uomini e mezzi in cambio di accordi sullo sfruttamento delle risorse in zone di mare contese e che stanno attirando le ire della Grecia e il nervosismo della UE.
Altrettanto interessante è il rinnovato impegno della Russia a favore di Haftar, soprattutto se letto in rapporto alla Turchia – con cui la Russia ha diverse questioni aperte in Siria – e alle altre iniziative militari russe in Africa e in Medio Oriente.
Il complesso tiro alla fune tra Russia e Turchia sembra un gioco di rivalità e collaborazione che punta a ripetere quello che s’è rivelato per entrambi i paesi il grande successo diplomatico siriano, da cui entrambe le potenze sono riuscite a trarre vantaggi e a imporsi come arbitri anche grazie all’inerzia europea e dal disinteresse USA. Se le prospettive turche sembrano volte principalmente a rafforzare la posizione della Turchia nel Mediterraneo, il gioco dei russi sembra essere di più ampio respiro.
In tutto questo l’Italia, senza particolari incoraggiamenti dell’Unione europea, cerca di ritagliarsi un ruolo di mediatore, ma la competizione, davanti alla realpolitik muscolare russa e turca, sembra lasciare pochi margini di manovra. I recenti tentativi diplomatici italiani sembrano poco efficaci, per usare un eufenismo. E da un anno a questa parte l’Italia non tocca palla. Gli ultimi incontri del Ministro degli esteri italiano in Egitto e del presidente del Consiglio Conte con Haftar – che ha creato un incidente diplomatico con Serraj, tornato in Libia senza passare dall’Italia – non hanno ottenuto che dichiarazioni stizzite e di circostanza. In ogni caso l’ultima proposta di sospensione delle ostilità è venuta appunto da Erdogan e Putin, i nuovi arbitri della partita libica.
Federico De Salvo