La situazione siriana è un inferno. Capire cosa sta succedendo è doveroso in quanto esseri umani e indispensabile per la comprensione di quei fenomeni che travalicano i confini naturali di quella terra. Per questo motivo la nostra Rivista seguirà più da vicino la guerra siriana, che in realtà sono tante guerre diverse e sovrapposte, in modo da fornire un quadro sempre aggiornato e il più chiaro possibile.
Transizione politica, nuova Costituzione ed elezioni, oltre a una lotta senza quartiere a gruppi terroristici ancora da definire. In che modo gli attacchi di Parigi hanno influito sui colloqui di Vienna.
Gli attacchi terroristici di Parigi hanno inevitabilmente monopolizzato la seconda tornata di colloqui tenutisi a Vienna il 14 novembre 2015, nel tentativo di trovare una soluzione al conflitto siriano. L’attenzione si è focalizzata sulla lotta al terrorismo e alla fine della giornata è stato pubblicato lo statement finale, frutto di un accordo unanime sulla necessità di avviare al più presto un cessate il fuoco nazionale in Siria. Lo stesso sarà supportato da una missione di monitoraggio ONU che il Consiglio di Sicurezza creerà (e che non riguarderà “ISIS, Al-Nusra e altri gruppi terroristici”) e accompagnato da un processo politico mediato sempre dall’ONU e essenzialmente basato sul Comunicato di Ginevra del giugno 2012, (che già allora prevedeva una transizione politica guidata dal governo siriano e dall’opposizione). Nello specifico, entro il 1 gennaio il governo siriano e l’opposizione non solo dovranno incontrarsi, ma dovranno dare vita a un governo di transizione che promuova una riforma costituzionale e nel giro di 18 mesi una nuova Costituzione, che sarà sottoposta a referendum popolare, prima che si arrivi a nuove elezioni. Il processo politico sarà assistito dall’International Syria Support Group composto da Russia, Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Cina, Arabia Saudita, Turchia, Iran, Egitto, Giordania, Oman, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Iraq, Libano, Germania, Italia, Nazioni Unite, Lega Araba e Unione Europea. Altri punti dell’accordo prevedono la fine di ogni finanziamento e sostegno ai belligeranti in Siria, la lotta per prevenire la distruzione e lo sciacallaggio del patrimonio culturale, l’accesso di aiuti umanitari in tutto il Paese, la risoluzione del problema dei rifugiati e l’impegno da parte dei partecipanti a porre fine all’uso di armi indiscriminate.
La proposta ha infuso nuova speranza per una risoluzione al conflitto siriano, soprattutto da parte dell’inviato speciale ONU per la Siria Staffan De Mistura che ha esortato a “non sprecare il nuovo impeto” che questi colloqui stanno portando.
A ben guardare, però, la dichiarazione finale appare incompleta. Il primo nodo cruciale è il silenzio sul futuro politico di Assad, anche se è implicito che resterà al potere almeno per i primi 6 mesi di transizione, scaduti i quali, secondo il Ministro degli Esteri turco, dovrebbe lasciare (ma non ci sono indicazioni a riguardo). È una questione di importanza cruciale se si considera non solo che l’87,5% dei civili uccisi nel conflitto è stato causato dalle truppe dell’esercito siriano e dalle milizie a esso affiancate (7 volte più di ISIS), ma anche che, come emerso dai sondaggi svolti tra i rifugiati siriani, la stragrande maggioranza di loro fugge dagli attacchi indiscriminati delle forze armate siriane e non intende tornare in Siria fino a quando il regime di Assad resterà al potere.
Comunque, è questa la direzione verso cui si sta andando e gli attacchi terroristici di Parigi, avvenuti la notte prima dei colloqui a Vienna, hanno rivestito un ruolo importante. Basta guardare come siano totalmente cambiate in pochi giorni le posizioni dei paesi notoriamente contrari ad Assad: quando a pochi giorni dai colloqui la Russia fece circolare la sua proposta (che è essenzialmente quella approvata) le opposizioni erano state immediate, sia da parte di Stati Uniti, Francia, Turchia e Paesi del Golfo sia dell’opposizione siriana, che aveva criticato e rigettato la proposta russa (in realtà non piaceva nemmeno ad alcuni membri del governo siriano, irritati dal vedersi imporre dall’esterno come e quando votare).
Ma i fatti di Parigi hanno cambiato le carte in tavola. Al G20 tenutosi in Turchia, Obama e Putin hanno avuto un incontro di 35 minuti, il primo da quando la Russia ha iniziato i bombardamenti in Siria, che solo qualche giorno fa erano considerati da Obama controproducenti perchè non diretti contro ISIS quanto alle forze di opposizione. Obama infatti pronunciava parole di condanna durissime:
“Siamo molto chiari [..] che il problema qui è Assad e la brutalità che ha inflitto al popolo siriano, brutalità che deve cessare [..] Non abbiamo intenzione di collaborare con una campagna russa che cerca semplicemente di distruggere chi è disgustato e stanco delle politiche di Assad.”
Dopo Vienna il tono è drasticamente cambiato e Obama ha sottolineato “l’importanza degli sforzi militari della Russia in Siria”. Cambio di rotta in tre giorni? Ovviamente no, se si considera che tutta la politica estera americana in Siria negli ultimi anni e la politica del disimpegno in Medio Oriente è compatibile con il mantenimento di Assad al potere. Resta però il fatto che in pochi giorni si è passati dal rifiuto diffuso (almeno a parole) della proposta russa alla sua unanime approvazione. Nel mezzo bruciano gli attacchi di Parigi e sarebbe riduttivo considerare mera coincidenza il tempismo di questi attacchi e gli effetti che hanno avuto sui colloqui a Vienna. È vero che nelle ultime settimane ISIS ha colpito anche in altri luoghi, come il Libano, la Turchia e l’Egitto (con l’abbattimento dell’aereo russo), ma se guardiamo alla Francia (che ha subito due grossi attentati in meno di un anno) si possono notare alcune cose. Ad esempio che uno dei terroristi ha urlato, prima di sparare, “questo è per la Siria”. Un’affermazione molto vaga (esclude l’Iraq e non parla di bombardamenti occidentali contro ISIS) che però suggerisce una vendetta rivolta contro la Francia, che però bombarda ISIS in Siria da appena fine settembre. Sappiamo che gli attacchi di Parigi hanno coinvolto 8 terroristi che hanno agito in 7 luoghi diversi quasi contemporaneamente, in una azione così sofisticata che, se le indagini dovessero scoprire essere interamente opera di ISIS, marcherebbe un salto di qualità non indifferente. Si può anche rilevare che a livello diplomatico e politico la Francia è il Paese europeo più ostile al regime siriano, quello che contrariamente a tutti gli altri non ha mai lasciato intendere la possibilità di un futuro politico in Siria per Assad. Anzi, recentemente il governo francese ha aperto un’inchiesta sui crimini contro l’umanità compiuti dal regime siriano. Si può notare infine che il regime siriano ha guadagnato con i colloqui di Vienna niente di meno che la sopravvivenza, non solo perchè anche se Bashar non si ricandidasse, lo faranno uomini a lui vicino, ma anche perchè le istituzioni statali rimarranno intatte. Notare queste cose non permette di avere risposte, però può stimolare una riflessione a più ampio raggio. Di certo, il regime siriano è l’attore che sta beneficiando maggiormente dagli attacchi di Parigi, a livello politico e mediatico.
Un altro nodo cruciale e per ora irrisolto è la definizione di “terroristi”: il Consiglio di Sicurezza dovrà approvare una risoluzione che identificherà i gruppi terroristici oltre a ISIS e Al-Nusra. Per il regime siriano tutti coloro che gli si oppongono (sia con le armi che non) sono “terroristi”. Ma avevamo visto in questa guida che la realtà è più complessa e che le fazioni dell’FSA non lo sono, tanto che Mosca sostiene di aver condotto diversi colloqui con esponenti dell’FSA e che addirittura le coordinate di alcune postazioni ISIS recentemente colpite dai caccia russi sarebbero state fornite dall’FSA. Rimane quindi aperta la questione di chi sarà riconosciuto come terrorista e non è affatto secondario, dato che il cessate il fuoco non si applicherà ai gruppi terroristici. La Russia ha già dichiarato che le milizie sciite di Hezbollah non sono un gruppo terrorista, sebbene siano ritenute tali nelle liste di UE e USA. Definire una lista comune non sarà certo facile.
I partecipanti si incontreranno di nuovo tra circa un mese al fine di esaminare i progressi compiuti verso l’attuazione di un cessate il fuoco e l’inizio del processo politico.
di Samantha Falciatori