Cerchiamo di ricostruire i fattori culturali, tralasciando quelli prettamente politici, che hanno contribuito ad attivare iniziative di aiuto umanitario da parte del governo albanese nei confronti di quello italiano nelle prime settimane della crisi da Covid-19.
“Laggiù ormai è casa nostra da quando l’Italia, le nostre sorelle e i fratelli italiani ci hanno salvato, ospitato e adottato in casa loro quando l’Albania bruciava di dolori immensi. L’ Italia la deve vincere questa guerra, e la vincerà, anche per noi, anche per l’Europa e per il mondo intero”.
Queste sono solo alcune delle parole pronunciate dal Primo Ministro albanese Edi Rama in un breve discorso tenuto a fine marzo e rivolto, con ottima padronanza della lingua, al popolo italiano. Parole che hanno commosso, e dato una lezione di fratellanza e solidarietà a tutta quella ala europea della Destra “sovranista” e rigorista, accusata di miopia dalle forze europeiste del continente, nel fronteggiare l’emergenza Coronavirus con soluzioni concrete ed efficaci.
Le parole del premier Edi hanno ricevuto i complimenti e i consensi da gran parte dell’arco politico per la bocca, anzi, per la tastiera, di chi nel 2014 pregava che il paese delle Aquile potesse rimanere fuori dall’Unione europea, mettendo il “veto” ad una “Europa Supermercato”.
Sicuramente tra le parole di Rama possiamo riscontrare delle mire squisitamente politiche, che combaciano perfettamente con l’inizio delle negoziazioni per l’ entrata dell’Albania nell’Unione ruropea.
Non è certo il caso di svilire, come fatto da alcuni, pochissimi, media e giornali italiani e albanesi, un gesto nobile che merita rispetto, tra l’altro, ripetutosi in questi giorni con l’invio di altri 60 infermieri albanesi che si vanno a sommare ai già 30 medici partiti circa due settimane fa.
Ma qual sono i fattori culturali alla base di questo solidale gesto? Si, perché al contrario di come molti pensano, il vinciglio che lega gli albanesi al nostro Paese non è solo da ricercare in una giornata calda di Agosto, nell’ormai lontano 1991, quando più di 20mila albanesi, in preda alla fame e alla sete, sbarcarono sulle coste pugliesi, accolti a braccia aperte da un’Italia molto diversa da quella attuale. Scene ripetutesi anche nel 1997, con la fuga di molti cittadini e militari verso le coste italiane con ogni mezzo disponibile – tra cui un MIG dell’aviazione albanese, i cui piloti, disertando, hanno fatto rotta sull’aeroporto di Lecce per chiedere asilo, dopo aver rifiutato il comando di bombardare una colonna di civili.
Per più di quarant’anni, sotto il regime dittatoriale di Enver Hoxha, a stampo marxista-leninista, il popolo albanese ha vissuto sotto un giogo autoritario e in povertà, e le coste italiane a pochi km di distanza hanno simboleggiato un eden culturale a cui il popolo albanese guardava con la speranza di potercisi rifugiare.
A quel tempo il regime albanese vietava di sintonizzarsi sui media italiani, in quanto i suoi cittadini si sarebbero accorti del benessere che gli era stato sottratto per anni. E cosi Celentano, Mina, la Nazionale di Calcio italiana, il cinema italiano e Sanremo diventarono alcuni dei simboli culturali, per molti versi “clandestini”, che iniziarono a far amare agli albanesi il nostro Paese.
Ed è proprio la passione per la televisione italiana che ha reso l’Albania una delle nazioni più italofone al mondo: secondo uno studio sarebbero circa 1.200.000-1.600.000 (72%) i cittadini albanesi in grado di parlare e comprendere la lingua italiana. Non è un caso infatti che quando vi mettete in contatto con un operatore telefonico la chiamata viene spesso indirizzata a un call center di Tirana.
L’intreccio storico che lega l’Albania e l’Italia è in realtà ancora più antico. Non è esagerato, ad esempio, partire dalla Battaglia di Eraclea, passata alla storia e sopravvissuta nella nostra cultura fino ai giorni nostri (si pensi all’espressione gergale “vittoria di Pirro“). Passando dall’invasione ottomana dei Balcani nel XV secolo, che vide la fuga di molti albanesi verso il Meridione italico, con la nascita di una nuova minoranza etnico-linguistica, chiamata Arbëreshë che ha dato le origini anche a due importanti personalità storiche dell’Italia moderna: Francesco Crispi e Antonio Gramsci (che nacque in Sardegna da padre di origine albanese).
O, ancora, con l’ occupazione fascista del territorio albanese, che instaurò il Protettorato Italiano del Regno d’Albania. Il Duce fu forse il primo a dare un governo, pur fantoccio, agli albanesi, e il suo intuito fu quello di fondare l’AIPA (Azienda Italiana Petroli Albanesi) nel 1925, interamente gestita dalle Ferrovie dello Stato, per sfruttarne le risorse petrolifere. Nel 1935, fu costruito un oleodotto di circa 80 km che mise in collegamento Kucova al porto di Valona e nel 1939: l’ultimo anno prima della guerra, la produzione raggiunse le 200.000 tonnellate.
Il settore petrolchimico albanese fa gola ancora a molti colossi petroliferi, tra cui quello anglo-olandese Shell, che l’anno scorso ha annunciato la significativa scoperta di greggio in un giacimento a Shpirag, nell’Albania centrale, prevedendo l’esistenza di altri giacimenti nella zona Meridionale, a pochi km di mare dalla Puglia, la regione i cui abitanti spesso si riferiscono all’Albania come la “ventunesima regione italiana”.
di Kristian Cuci