Dal crollo dei prezzi del petrolio iniziato nel settembre 2015 la situazione del mercato petrolifero non è cambiata, ma qualcosa si è mosso. A Doha si sono incontrati i Ministri del petrolio dei più grandi Paesi produttori di greggio. Ne è nato un accordo, che non sarà facile da far rispettare.
Nell’ultimo anno gli Stati produttori di petrolio hanno continuato a mantenere alti i loro livelli di produzione, nonostante la saturazione del mercato petrolifero, portando il prezzo del barile ai minimi storici. È per questo che a Doha, capitale del Qatar, il 16 febbraio si sono riuniti i ministri del petrolio di Arabia Saudita, Russia, Qatar e Venezuela, per un incontro dal quale è emersa la volontà di “congelare” la produzione petrolifera ai limiti di gennaio, così da frenare, nelle intenzioni, la caduta dei prezzi. Il giorno dopo, a Teheran, si è svolto un successivo incontro tra i ministri del petrolio di Iran, Iraq, Venezuela e Qatar con lo stesso scopo. Quali sono le posizioni in gioco?
[ecko_alert color=”orange”] Le posizioni forti: Iran, Arabia Saudita e Russia [/ecko_alert]
L’Iran, da qualche mese, è potuta tornare a pieno regime nel mercato petrolifero: la fine delle sanzioni internazionali permetterà al paese di tornare ai livelli di produzione precedenti (intorno ai 4 milioni di barili al giorno). Per tale ragione, Teheran non sembra essere molto d’accordo con il congelamento della produzione, almeno fino a quando la propria capacità estrattiva non ritornerà ai livelli precedenti alle sanzioni, come affermato dal rappresentante iraniano in seno all’OPEC, Mahdi Asal. Per l’Iran, infatti, il congelamento della produzione degli altri competitor, comporterebbe un aumento delle proprie quote di greggio sul mercato globale: obiettivo ambito da Teheran.
Il ministro del Petrolio iraniano Bijan Zanganeh, interpellato prima degli incontri di Doha, ha dichiarato
“chiedere all’Iran di congelare i propri livelli di produzione è illogico, quando l’Iran era sotto sanzioni alcuni paesi hanno aumentato la propria produzione causando il crollo del barile: come possono ora chiedere all’Iran di pagare il prezzo di queste scelte?”.
Pochi giorni dopo ha rincarato la dose, affermando che l’accordo di “congelamento” della produzione raggiunto da alcuni Paesi – tra cui Russia e Arabia Saudita – “è uno scherzo”. Solo nel mese di gennaio, l’Iran ha prodotto 2,9 milioni di barili al giorno dando un chiaro segno di voler far sentire la propria voce nei negoziati sul petrolio. Il rischio è che la corsa dell’Iran verso i livelli di produzione precedenti all’embargo conduca ad un aggravamento dell’eccesso di offerta sul mercato mantenendo il livello dei prezzi del petrolio ad un livello inferiori ai 30 dollari al barile.
L’Arabia Saudita, secondo produttore di petrolio dopo gli Stati Uniti, non ha partecipato al secondo vertice a Teheran, ritenendo l’accordo con Russia, Qatar e Venezuela più che soddisfacente. Inoltre, l’assenza è dovuta a ragioni politiche più che da una scelta strategica: i due Stati costituiscono i poli opposti del mondo islamico ossia quello sunnita e sciita. Lo scontro tra le due parti non avviene solo in ambito economico, come nel caso del petrolio, ma si estende ad uno scenario geopolitico più ampio, coinvolgendo numerosi interessi che spesso sono sostenuti proprio dai ricavi ottenuti attraverso il petrolio, come le proxy war in Yemen e Siria.
La Russia, dal canto suo, ha partecipato all’incontro di Doha, ma non a quello di Teheran. Il grande orso bruno, a differenza degli altri paesi partecipanti all’incontro in Qatar non fa parte dell’OPEC ma è chiaro l’interesse russo sull’accordo, visto che il congelamento della produzione influirà anche sui prezzi del petrolio russo. Dmitri Peskov, portavoce del Presidente russo Vladimir Putin, ha dichiarato che il Cremlino non concluderà altri accordi sugli idrocarburi oltre quello con Arabia Saudita, Qatar e Venezuela.
[ecko_alert color=”orange”] Le posizioni minori: Iraq, Qatar e Venezuela [/ecko_alert]
L’Iraq sembra essere favorevole al congelamento. Nel mese di gennaio la produzione di greggio in Iraq ha superato i 4 milioni, un livello decisamente superiore alle media degli anni passati (meno di 3 milioni) dovuta alla necessità di restare al passo con la produzione degli altri competitor e al prezzo elevato del petrolio. L’Iraq ha pianificato di accrescere la propria produzione nei prossimi 5 anni fino a 7 milioni di barili al giorno, come ha affermato il ministro del petrolio Adel Abdel Mahdi.
Il Qatar ha una produzione di petrolio minore rispetto agli altri Paesi citati, dal momento che basa la propria economia energetica sul gas (ha le terze riserve al mondo dopo Russia e Iran). Negli ultimi anni la sua produzione di barili è comunque aumentata, ed ha raggiunto 2 milioni al giorno, comunque poco significante rispetto agli altri paesi dell’area, e non abbastanza per influire in maniera rilevante sull’offerta mondiale aggregata di greggio.
Il Venezuela, attore lontano dagli influssi politici della zona, dispone di una grande quantità di greggio derivante dalle sabbie bituminose del fiume Orinoco. Il congelamento della produzione potrebbe giovare agli introiti finanziari del Paese, che al momento si trova in una situazione economica disastrata.
[ecko_alert color=”orange”] Un accordo poco rilevante [/ecko_alert]
Si può ad ogni modo affermare che l’accordo raggiunto non ha per ora prodotto grandi risultati: Arabia Saudita, Russia e Iraq nel mese di gennaio hanno quasi raggiunto i loro livelli massimi di produzione. Il congelamento ai limiti di gennaio implica che la produzione di petrolio non aumenterà, ma allo stesso tempo non verrà neanche ridotta. Sebbene i mercati abbiano reagito positivamente alla notizia del 16 febbraio (solo per poche ore, in realtà), non bisogna aspettarsi un repentino aumento del prezzo del petrolio nel breve periodo.
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