Dopo aver inviato una lettera al leader nordcoreano annullando l’incontro in programma, nuove aperture al dialogo arrivano dal presidente Trump che conferma l’incontro del 12 giugno a Singapore.
Una settimana agitata su fronte nordcoreano. Quasi a ciel sereno, attraverso una lettera inviata a Kim Yong-un il 24 maggio, il presidente americano Donald Trump cancellava l’incontro a causa “dell’atteggiamento rabbioso e tremendamente ostile” tenuto dalle autorità di Pyongyang.
Si era assistito nelle ultime settimane al raffreddarsi dei rapporti tra le parti, in particolare in seguito alle dichiarazioni del Segretario di Stato Mike Pompeo che aveva fatto riferimento alla possibile applicazione del “modello libico” in relazione al disarmo nordcoreano; cioè un disarmo completo, immediato, e, attraverso ispezioni approfondite, completamente verificabile.
Le dichiarazioni di Pompeo, come avevamo già avuto modo di raccontare, avevano causato una dura reazione nordcoreana. Trump quindi, considerando inconciliabili le posizioni di partenza, avrebbe deciso di rimettere la palla alla controparte, che attraverso le parole del viceministro degli Esteri Kim Kye-gran, ha però dato un segnale di apertura, facendo sapere di avere ancora interesse per l’incontro programmato.
Il giorno successivo, il 26 maggio, il presidente sudcoreano Moon Jae-in ha preso l’iniziativa organizzando con una certa urgenza un secondo vertice intercoreano. L’incontro voleva ricomporre la frattura prima che diventasse tale da mettere a repentaglio il clima di distensione raggiunto tra i due paesi nell’ultimo periodo.
L’azione di Moon Jae-in deve aver avuto successo, dato che il giorno seguente si registra la presenza a Panmunjon di una delegazione statunitense guidata da Sung Kim – ambasciatore americano presso le filippine, ed ex rappresentante speciale degli Stati Uniti per la politica della Corea del Nord- impegnata in colloqui segreti con i rappresentanti nord coreani, guidati da Choe Son-Hui, importante volto della diplomazia del regime , a cui é affidato il dialogo con gli Stati Uniti.
Il giorno successivo, il 27 maggio, Trump ha confermato attraverso Twitter che il team di consiglieri era impegnato a negoziare le precondizioni per il faccia a faccia con Kim.
Our United States team has arrived in North Korea to make arrangements for the Summit between Kim Jong Un and myself. I truly believe North Korea has brilliant potential and will be a great economic and financial Nation one day. Kim Jong Un agrees with me on this. It will happen!
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 27 maggio 2018
Il giorno seguente, con un tweet (ormai sappiamo che Twitter è il principale mezzo diplomatico del presidente Usa) ha dato prova definitiva dell’avvenuto cambio di rotta, comunicando di credere fermamente nel brillante potenziale della Corea del Nord, in grado di renderla nel tempo una potenza sia economica che finanziaria.
Nonostante sia possibile che le mosse di Trump siano ascrivibili ad una precisa tattica negoziale finalizzata alla comprensione delle posizioni del regime, e nonostante la presenza al tavolo dei negoziati di un diplomatico con esperienza come Sung Kim, rimane il rischio che durante il faccia a faccia il presidente gestisca la trattativa in maniera troppo umorale ed erratica, scrive Vox elencando 4 scenari possibili.
Potremmo quindi assistere ad un mantenimento di posizioni massimaliste, e vedere quindi fallire il negoziato riducendo ulteriormente lo spazio di manovra della diplomazia. Oppure si potrebbero adottare decisioni che metterebbero in dubbio le garanzie di sicurezza statunitensi fornite agli alleati in tutta l’area del Pacifico, con tutte le conseguenze che questo comporterebbe, anche perché come scrive Politico, gli Stati Uniti non hanno un’idea precisa di cosa chiederanno nei negoziati.
Il regime nordcoreano infatti, nonostante le dichiarazioni dei media occidentali amplificate dalle dichiarazioni dell’amministrazione Usa, non ha mai dichiarato di voler cedere quella che considera la migliore assicurazione per la propria sopravvivenza. E un incontro basato su questi presupposti rischierebbe solamente di avviarsi al fallimento.
Sarebbe quindi auspicabile che le parti, più che cercare di adottare un approccio massimalista finalizzato alla risoluzione contemporanea dei dossier su cui esiste una maggiore distanza, cercassero, attraverso un approccio maggiormente incrementale, di stabilire delle misure di costruzione della fiducia volte ad una progressiva stabilizzazione dell’area.
Di Andrea Cerabolini