Di Ilaria Rudisi
Il corridoio umanitario si prefigura come l’unico strumento a disposizione delle istituzioni europee per evitare a individui desiderosi di raggiungere l’Europa di affidarsi alla criminalità organizzata. Qual è il quadro normativo di riferimento?
L’Unione Europea attraverso la Direzione Generale Aiuti Umanitari e Protezione Civile DG ECHO definisce e implementa interventi di tipo umanitario come parte integrante della sua attività di politica di sicurezza e difesa comune (PESC). L’intervento umanitario dell’Unione Europea si basa sulla cooperazione tra gli Stati membri e sul coordinamento degli stessi, nel fronteggiare le crisi umanitarie con l’obiettivo ultimo di garantire il rispetto dei valori fondanti l’Unione Europea e caratterizzanti la PESC: la democrazia, lo Stato di diritto, l’indivisibilità e universalità dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.
Partendo dai principi generali contenuti nei Trattati consolidati (TUE e TFUE), nel corso degli anni – ancor prima dell’entrata in vigore del sistema Lisbona – le Istituzioni europee, allora comunitarie, avevano, di concerto con gli Stati, esteso la così detta azione umanitaria europea attraverso l’adozione da un lato del Regolamento 1257/96 – ad oggi unico strumento a disciplina dell’erogazione e del finanziamento degli aiuti umanitari -dall’altro del Consenso europeo sull’aiuto umanitario, concluso da Commissione, Consiglio e Parlamento nel 2007; scaduto nel 2013 e non ancora rinnovato (tale dichiarazione aveva l’obiettivo di migliorare la risposta alle crisi provocate dall’uomo (o naturali) attraverso il miglioramento della complementarità delle azioni dell’Unione europea, dei suoi Stati membri e dei suoi partner).
Contestualmente all’evoluzione del piano normativo l’Unione Europea ha costituito l’Ufficio per gli aiuti umanitari della Comunità Europea, oggi DG ECHO, il quale non agisce direttamente in vece dell’Unione, ma come connettore degli agenti coinvolti in una crisi umanitaria, quali organizzazioni internazionali, Nazioni Unite e Organizzazioni non governative e distribuisce le risorse finanziarie assegnate all’ECHO dal bilancio europeo. Per il triennio 2014-2016 il bilancio dell’Unione Europea attribuisce alla macroclasse “ Global Europe”26 miliardi di € di cui alla voce aiuti umanitari per il 2014 920,28 milioni ( pari all’11,05%), per il 2015 928,84 milioni ( pari al 10,6%) e per il 2016 1,108 miliardi ( pari al 12,1%); nel 2014 (ultimi dati disponibili) sono stati impiegati per l’azione umanitaria europea 1 273 miliardi così ripartiti: 48% ONG, 36% Nazioni Unite, 16% organizzazioni internazionali.
Con specifica del diritto europeo ai sensi dell’articolo 2 lettera B del regolamento 1257/96 uno degli obiettivi dell’aiuto umanitario si individua nel “portare l’assistenza e i soccorsi necessari alle popolazioni colpite da crisi di più lunga durata, causate segnatamente da conflitti o da guerre […]soprattutto qualora si constati che tali popolazioni non possono essere aiutate sufficientemente dalle loro autorità o in assenza di autorità competenti.”
Con tale disposizione il diritto europeo integra e richiama il diritto internazionale umanitario, ovvero quel ramo del diritto deputato alla protezione delle vittime della guerra, diretta promanazione delle Convenzioni di Ginevra. In particolare si fa riferimento alla IV Convenzione di Ginevra e al Protocollo II per cui l’accesso umanitario è quello strumento che permette di facilitare l’intervento umanitario esterno in una zona di conflitto – con l’accordo delle parti coinvolte (no-states actors) e con l’obbligo degli stati ( states actors) – assicurando così l’accesso delle organizzazioni internazionali e non governative ai civili bisognosi di protezione e di beni di prima necessita quali prodotti alimentari, medici e dispositivi igenici.
La considerazione dell’accesso umanitario come deux ex machina viene ribadita anche dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (A/RES/46/182) e statuisce che lo Stato la cui popolazione verte in condizioni di bisogno deve favorire l’accesso sul proprio territorio dei convogli e del personale umanitario.
Oggi tale concezione non funziona più, sopratutto alla luce della c.d crisi dei migranti che coinvolge l’Unione Europea. Allo stato attuale, l’Unione Europea non è più in grado di attuare programmi preventivi di aiuto umanitario finalizzati a tutelare le vittime di un conflitto nello Stato terzo o addirittura a limitare e a prevenire il conflitto stesso. Oggi assistiamo al processo contrario: l’incapacità dell’Istituzione – in questo caso l’Unione Europea – di creare un dialogo politico efficace che permetta di designare un programma di aiuti e di assitenza presso gli Stati terzi, per le vittime di un conflitto.
La crisi sociale e umana che coinvolge diverse aree del pianeta favorisce la considerazione che l’accesso umanitario quale strumento da attuare in loco presso le popolazioni colpite non può più funzionare, perché necessità di un adeguamento normativo alla realtà attuale dove parte delle popolazioni vittime di un conflitto scelgono di allontanarsi dalla madrepatria per intraprendere un lungo cammino verso la “vicina” Europa considerata tradizionalmente una terra di democrazia.
Quanto stabilito dai Trattati consolidati oggetto dell’azione esterna europea – nella quale rientra l’aiuto umanitario – ovvero la protezione dei diritti e delle liberta fondamentali, e più in generale dello Stato di diritto, viene meno nel percorso delle c.d rotte migratorie che espongono gli individui a tutti quei pericoli che l’aiuto umanitario vorrebbe limitare: protezione umanitaria, assenza di cibo, acqua, dispositivi igenici.
Il diritto europeo allo stato attuale non permette di considerare la possibilità di costituire un accesso umanitario non statico e localizzato, ad esempio un corridoio umanitario aereo, che permetta agli individui desiderosi di raggiungere l’Europa di non affidarsi alla criminalità organizzata internazionale ma di affidarsi alla stessa Unione Europea.
L’ipotesi plausibile, che necessita per la sua attuazione di una profonda riforma istituzionale sia interna che esterna all’Unione europea, così come di un’evoluzione del corpus normativo, dovrebbe prevedere la creazione dei c.d safe trip, verso Stati che mettono a disposizione un numero predeterminato annuale di visti (non umanitari) sulla base di alcuni parametri quali: tasso di disoccupazione interna, PIL, strutture ricettive, disponibilità di mediatori culturali, solidità del sistema scolastico, solidità del sistema sanitario, tasso di occupabilità. (Sono considerati vittime di guerra tutte le persone che non hanno mai partecipato ai combattimenti o che hanno cessato di parteciparvi. Le quattro Convenzioni di Ginevra individuano le seguenti categorie di soggetti come vittime: la popolazione civile;i feriti;i naufraghi;gli ammalati;i caduti;i prigionieri di guerra).
Stati membri che abbiano, in precedenza, adottato provedimenti interni finalizzati a favorire l’integrazione socio-culturale e lavorativa dei migranti nella società che li accoglie, ovvero a sostenere il flusso migratorio all’interno dei propri confini e di converso all’interno di quelli europei. Inoltre, le Istituzioni europee, dovrebbero di concerto con gli Stati terzi la cui popolazione può essere classificata come vittima di guerra avviare la creazione di punti europei ( o “ European Points”) presso le zone di accesso alle rotte migratorie. (Per la normativa italiana ai sensi dell’articolo 5 comma 6 del TU immigrazione si stabilisce la sussistenza del c.d motivo umanitario laddove il soggetto richiedente provenga da “[…] uno Stato in cui possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, sesso, lingua, cittadinanza, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali”).
Parimenti dovrebbe essere garantito un controllo rigido sulle attuali rotte migratorie al fine di rompere il legame migrazione/criminalità organizzata e favorire un accesso in sicurezza ai migranti all’interno dei confini europei.
In questo modo si otterrebbero i seguenti benefici:
- Riduzione delle morti tra i migranti che cercano di accedere all’Unione Europea;
- Riduzione dell’introito della criminalità organizzata internazionale;
- Esteriorizzazione dei valori dello Stato di diritto europeo come tutelati nei Trattati consolidati;
- Concretizzazione dell’azione esterna europea e dell’aiuto umanitario come previsto dai Trattati e dal diritto internazionale in particolare ai sensi della IV Convenzione di Ginevra;
- Garanzia del sistema Schengen e del sistema c.d delle frontiere aperte a fronte della garanzia fornita agli Stati membri di un’immigrazione extraeuropea contingentata ( c.d burden sharing).
Da quali strumenti normativi può partire l’Unione Europea per determinare la propria evoluzione e quella degli Stati membri e dove potrebbe/dovrebbe arrivare?
Una buona base per partire è contenuta nell’articolo. 24 del Regolamento (CE) n.810 / 2009 del 13 luglio 2009 (Codice comunitario dei visti) che prevede la possibilità di concedere visti con validità territoriale limitata (elemento che se valorizzato e specificato garantirebbe, a favore degli Stati membri, il controllo delusso migratorio all’interno dei confini europei) per motivi umanitari o di interesse nazionale o nel rispetto di obblighi internazionali.
Queste dinamiche non possono non essere supportate da un potenziamento (già prognosticato dal Consiglio nel Giugno 2014 all’interno del documento “ Orientamenti strategici all’interno dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia”) della cooperazione giudiziaria e di polizia – già disciplinata dai Trattati – sia in termini di elisione dei flussi migratori gestiti dalla criminalità organizzata che in termini di pattugliamento e messa in siccurezza delle rotte migratorie, con contestuale affidamento dei migranti alla DG ECHO per l’inserimento nel programma europeo “ Safe Trips”.