L’elezione di Moon Jae-in alla presidenza della Corea del Sud pone diversi interrogativi sullo sviluppo della politica estera regionale. Quale atteggiamento assumerà con la Corea del Nord? Come regolerà i rapporti con la Cina? Riuscirà a sostenere la rinnovata intraprendenza americana nell’area?
La vittoria di Moon Jae-in alle elezioni presidenziali del 9 maggio rappresenta un evento importante per gli sviluppi geopolitici della regione sud orientale dell’Asia. L’affermazione di Moon Jae-in, che ha ottenuto il 41% dei voti, distanziando di oltre 17 punti il secondo classificato, Haong Joon-pyo, permette al partito liberale di ritornare a governare, dopo il decennio della sunshine policy (1998-2008), contrapponendosi allo strapotere dei conservatori che guidano il paese praticamente dalla sua indipendenza. La vittoria dei liberali era scontata, tenuto conto che il mandato della presidente Park Geun-hye, esponente del partito conservatore, era stato interrotto in anticipo a causa della procedura di impeachment a suo carico.
Nonostante ciò la campagna per il voto è stata accesa ed i temi di discussione molteplici: in primis, il probema delle forti differenze economiche nel paese e lo strapotere dei grandi conglomerati industriali, su base familiare, conosciuti con il nome di chaebol, che condizionano eccessivamente la vita economica e politica del paese.
I recenti sviluppi geopolitici, legati soprattutto all’elezione del nuovo presidente statunitense Donald Trump e all’intensificarsi dei test missilistici dei nord coreani, hanno rappresentato un altro tema di accese discussioni. Moon Jae-in, che è un avvocato per i diritti umani, figlio di genitori fuggiti proprio dalla Corea del Nord, nel corso della campagna elettorale ha confermato più volte la volontà di aprirsi al dialogo con i vicini.
La visione del neopresidente sudcoreano contrasta, in parte, con quella dell’importante alleato americano: l’arrivo di Donald Trump alla presidenza USA ha dato una forte accelerata alla politica statunitense nell’area, diventata più assertiva, anche a causa della decisione del leader nordcoreano Kim Jong-un di intensificare il numero dei test missilistici. Il 1 Maggio fonti ufficiali del governo statunitense hanno comunicato, con un certo anticipo sulla tabella di marcia, che il Terminal High Altitude Area Defense (THAAD) ha raggiunto la initial operational capapility (IOC), termine con il quale si indica il raggiungimento di una capacità operativa di base che consente al sistema di operare, benché non al completo, mentre il raggiungimento della full operational capability (FOC) è previsto per fine anno.
Il THAAD è un sistema missilistico difensivo, finalizzato a garantire la sicurezza della Corea del Sud da eventuali attacchi nucleari e balistici provenienti dalla Corea del Nord. Il sistema è dotato di un missile intercettore in grado di viaggiare ad una velocità superiore a Mach 8, sia all’interno che al di fuori dell’atmosfera terrestre, con un raggio di 200 km ed un’altezza massima raggiungibile di 150 km, capace di individuare e colpire i missili nella fase terminale, attraverso la tecnologia denominata “hit to kill”, ovvero la distruzione dell’obiettivo senza l’utilizzo di esplosivo, ma semplicemente attraverso il contatto. L’individuazione delle unità avversarie avviene tramite quello che è considerato il più avanzato radar mobile al mondo, ovvero l’X-Band che, nel corso delle sperimentazioni, ha dimostrato un’affidabilità del 100%.
Il dispiegamento del THAAD, che sembrava essere in una fase di stallo, è ripreso improvvisamente il 6 marzo scorso, con l’arrivo presso la base aerea di Osan a Pyeongtaek, 70 km a sud della capitale sudcoreana Seul, dei primi elementi della struttura, i due grandi lanciatori mobili. Il dispiegamento di questo sistema, frutto di un accordo strategico siglato l’anno scorso tra il presidente statunitense Obama e la presidentessa Park Geun Hye, sarebbe dovuto iniziare soltanto verso la fine dell’anno, ma il cambio politico e strategico dello scenario sud asiatico ha imposto un’accelerata.
Secondo diversi commentatori tale anticipo repentino dello schieramento del THAAD è stato motivato dal fatto che la possibile vittoria di un candidato liberale potesse condurre ad un atteggiamento più soft nei confronti della Corea del Nord, bloccando quello che è ritenuto un importante asset della strategia di difesa missilistica americana. Lo schieramento del sistema incontra soprattutto l’ostilità della Cina, convinta che il radar a supporto dei lanciatori mobili possa essere utilizzato per spiarli: il presidente Xi Jinping, nel congratularsi con Moon Jae-in per la vittoria, ha sottolineato questa inaccettabile intrusione degli statunitensi nella loro area di interesse. Il THAAD è guardato con diffidenza anche dalla popolazione locale, residente nelle aree dove verrà posizionato il sistema, convinte di diventare un facile bersaglio per eventuali rappresaglie da parte nordcoreana.
Il compito del nuovo presidente Moon Jae-in non sarà facile, così come in genere non lo è stato quello dei suoi predecessori: dovrà cercare di contemperare le diverse esigenze tra la vicina Corea del Nord sempre più aggressiva, la Cina in forte ascesa militare e gli Stati Uniti, sempre presenti, ma la cui politica estera è densa di contraddizioni.
Danilo Giordano