All’alba del nuovo millennio il mondo pensava di essersi lasciato alle spalle la barbarie, eppure in tutto il pianeta milioni di persone soffrono le più crudeli persecuzioni e i crimini contro l’umanità si moltiplicano. Queste sono le loro storie.
Il 27 di gennaio tutto il mondo ricorda il genocidio del popolo ebraico perpetrato dalla Germania nazista durante la Seconda Guerra Mondiale. Si tratta di una delle pagine più oscure della storia dell’uomo e i pochi sopravvissuti a quella terribile esperienza hanno costantemente fatto appello alla memoria di quei tragici momenti, soprattutto per evitare che qualcosa di simile si ripeta.
Questi appelli sembrano però essere vani e sono rimasti lettera morta.
Come ha giustamente scritto Hobsbawm nell’introduzione al suo “Secolo breve”, una delle caratteristiche tipiche del Novecento è proprio la distruzione del passato, la mancanza di un rapporto organico con la storia. Al punto che alcune conquiste raggiunte nel corso del secolo precedente sono state totalmente dimenticate, o peggio: ignorate.
L’uomo, che si abitua a tutto, è stato in grado di adattarsi nuovamente alle peggiori brutalità. Così la tortura, bandita da un paese occidentale per la prima volta nel 1780, è prepotentemente tornata dopo il 1914. Così pure la guerra, che per convenzione doveva essere dichiarata esplicitamente e condotta contro un esercito regolare, oggi non rispetta più questi criteri. Gli attacchi non sono quasi mai preceduti da una dichiarazione e le vittime civili superano di gran lunga quelle militari. Per tacere del fatto che, sebbene i civili possano essere considerati da sempre un bersaglio, il miglioramento delle tecnologie militari li ha resi ancora più vulnerabili, contribuendo a determinare gli altissimi numeri di casualities che oggi siamo abituati a registrare.
Il Tribunale di Norimberga, che si occupò di giudicare e punire i tedeschi che si macchiarono dei peggiori crimini durante la Seconda Guerra Mondiale, codificò in maniera finalmente compiuta tre fattispecie di reato: i crimini di guerra, i crimini contro la pace ed i crimini contro l’umanità (tra i quali rientra a pieno titolo il genocidio).
Il diritto dei conflitti armati, altrimenti noto come jus in bello, è molto antico. Non tutte le violazioni di quest’ultimo sono però crimini di guerra. Soltanto le violazioni più gravi del diritto dei conflitti armati possono dar luogo alla responsabilità penale del soggetto che ha commesso il crimine. Alcune di queste violazioni sono espressamente codificate nelle Convenzioni internazionali, si pensi alle grave breaches contenute nelle Convenzioni di Ginevra del 1949.
Altre però non sono tipizzate in nessun testo, in quanto hanno la caratteristica di evolvere nel tempo, così come evolve il modo di combattere la guerra. Si tratta di gravi violazioni al diritto umanitario consuetudinario. L’attività del Tribunale Penale Internazionale per la ex Jugoslavia è stata fondamentale per tracciare i confini dei crimini appartenenti a questa categoria. È sempre il Tribunale dell’Aia, occupandosi del caso “Tadic” a ricomprendere nella categoria delle gravi violazioni del diritto umanitario consuetudinario anche i crimini commessi nell’ambito di conflitti armati non internazionali (guerre civili, guerre d’indipendenza, insurrezioni ecc).
All’interno di questa fattispecie criminosa rientrano anche tutte le atrocità che possono essere commesse nei confronti della popolazione civile durante un conflitto armato. Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, però, gli Alleati si resero conto che i crimini commessi dalla Germania nazista nei confronti dei propri cittadini (ebrei, omosessuali, disabili, oppositori politici di nazionalità tedesca) non sarebbero stati perseguiti in quanto i crimini di guerra si rifacevano a reati commessi nei confronti di militari o civili appartenenti a stati nemici. Per questo motivo fu introdotta la fattispecie dei crimini contro l’umanità.
Lo Statuto di Norimberga li definisce come “l’omicidio, lo sterminio, la riduzione in schiavitù, la deportazione ed altri atti inumani commessi contro una popolazione civile, prima o durante una guerra; o persecuzioni per ragioni politiche, razziali o religiose”. Dallo Statuto di Norimberga possiamo dedurre che i crimini contro l’umanità possono essere commessi, dunque, contro una popolazione civile ma non solo (quindi anche contro militari).
Inoltre non è necessario che l’atto sottostante il comportamento in esame sia a prima vista criminoso: si pensi all’imposizione dell’obbligo di portare un segno distintivo per tutti gli appartenenti ad una certa minoranza. È però necessaria la presenza di un elemento soggettivo particolare: la volontà di discriminare i soggetti contro cui vengono commessi gli atti illeciti.
I crimini contro l’umanità sono proibiti dal diritto internazionale consuetudinario sia in tempo di guerra che in tempo di pace.
Come abbiamo scritto, una forma particolarmente odiosa di crimine contro l’umanità è il genocidio. Questa parola è stata coniata nel 1944 dal giurista polacco Rafael Lemkin ma non venne inclusa nello Statuto di Norimberga. Il crimine di genocidio assunse autonomia come categoria criminosa grazie alla Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio, adottata nel 1948 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
In questo documento di fondamentale importanza il genocidio viene descritto come l’insieme degli “atti commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso”. Esistono alcune criticità rispetto a questo particolare tipo di crimine. Infatti si può notare come nella definizione che ne danno le Nazioni Unite non sia ricompresa la persecuzione di gruppi politici e nemmeno il genocidio culturale. Tuttavia queste fattispecie criminose possono essere perseguite come crimini contro l’umanità.
Più controversi sono i cosiddetti crimini contro la pace. Lo Statuto del Tribunale di Norimberga li definisce come gli atti volti alla “pianificazione, preparazione, inizio o scatenamento di una guerra di aggressione, o di una guerra in violazione di trattati internazionali; o la partecipazione in un piano comune o ad una certa cospirazione a tal fine”. Il fatto che ancora oggi non si sia riusciti a tratteggiare in modo sufficientemente preciso le caratteristiche dei crimini contro la pace come crimini individuali è la principale criticità di questo genere di reati. Persino lo Statuto della Corte Penale Internazionale prevede che, sebbene la Corte abbia competenza rispetto a questa fattispecie criminosa, essa potrà esprimersi in materia soltanto quando l’assemblea degli stati membri ne avrà dato una definizione completa.
Durante tutto il corso del XX secolo, in ogni angolo del pianeta, si sono verificati episodi che possono essere ricondotti a suddette fattispecie criminose: le deportazioni forzate di interi popoli e l’internamento di dissidenti o appartenenti ad alcune minoranze etniche operate dall’Urss, i crimini commessi dalle dittature militari in America Latina, il genocidio in Ruanda, gli efferati crimini perpetrati dai belligeranti e dalle formazioni paramilitari durante le guerre Jugoslave e via dicendo.
Sembra impossibile imparare dalle tragedie del passato ed il XXI secolo ne è l’ennesima dimostrazione, se mai ve ne fosse bisogno. Nel 2020 sono ancora tantissimi i popoli oppressi in tutto il mondo e appare piuttosto difficile pensare che in futuro si possa assistere ad un miglioramento significativo, soprattutto se consideriamo che nella maggior parte dei casi non siamo nemmeno al corrente di quanto stia succedendo.
Il lavoro proseguirà seguendo un criterio geografico, in quanto ci è sembrato essere il modo più semplice ed allo stesso tempo più efficace per riuscire a descrivere in modo organico situazioni tra loro molto differenti.
Nella seconda parte dell’approfondimento si proseguirà con una indagine sul concetto di oppressione. La terza parte affronterà le storie dei popoli oppressi in Asia Orientale. La quarta parte dell’elaborato racconterà la storia dei popoli oppressi nel Levante. La quinta parte verterà sulle storie dei popoli oppressi nel continente Africano, in particolare nell’Africa Subsahariana. La sesta parte si concentrerà sulla storia dei popoli oppressi nel Subcontinente Indiano. La settima parte dell’elaborato racconterà la storia dei popoli oppressi in Asia Centrale e nel Caucaso Meridionale. L’ottava parte si concentrerà sulla storia del popolo palestinese. La nona ed ultima parte del lavoro racconterà l’oppressione dei Cristiani in tutto il mondo.
di Riccardo Allegri