Se ne parla da quasi settant’anni. Doveva essere il punto di partenza di una possibile Federazione europea ma invece, più di una volta, il progetto è miseramente naufragato. A questo giro però sembra che si sia fatto un passo in più, e la difesa unica europea è – quasi – realtà.
È servito oltre mezzo secolo prima di poter raggiungere il vero “traguardo” dell’integrazione europea: un’unica politica di difesa, comune a tutti gli Stati membri dell’Unione.
Una data storica, quella dello scorso 13 novembre, quando 23 stati dell’Unione europea si sono seduti attorno a un tavolo e hanno firmato il Pesco (Permanent Structured Cooperation). L’accordo, previsto tra l’altro dal Trattato di Lisbona, ha lo scopo di garantire una cooperazione strutturata in materia di difesa comune.
Un vero e proprio “Defense and security Act” con lo scopo di garantire una maggiore coesione tra le Forze armate; ma il vero punto cruciale resta quello di una maggiore collaborazione politica tra i Governi nazionali.
Difesa unica europea: chi è rimasto fuori?
Su 28 Stati membri (rappresentati dai ministri di Esteri e Difesa), in cinque hanno deciso (per i più svariati motivi) di restare fuori dal protocollo firmato a Bruxelles lo scorso lunedì.
Ovviamente il Regno Unito, complici le trattative sulla Brexit, si considera già fuori dall’Unione, e quindi dal Pesco. Gli altri Governi che non si sono seduti al tavolo delle trattative sono Irlanda, Danimarca, Portogallo e Malta (che in realtà ne farà indirettamente parte, per via degli Accordi di cooperazione e difesa instaurati con l’Italia fin dal 1973).
Portogallo e Irlanda, nonostante un primo “no”, con tutta probabilità ratificheranno l’accordo entro la fine dell’anno; mentre per la Danimarca l’iter dell’opt-out potrebbe rallentare il processo di adesione al nuovo documento in materia di difesa comune.
Pesco: cosa prevede l’accordo
Condivisione e rafforzamento della preparazione operativa delle Forze armate e, soprattutto, budget omogeneo in tema di difesa e armamenti con lo scopo di “ottimizzare le risorse e migliorare l’efficacia complessiva”.
Questi sono i punti chiave dell’accordo che, momentaneamente, è lontano dall’idea di un “esercito europeo” tanto caldamente auspicato dal presidente francese Emmanuel Macron.
Oggi è un giorno storico e si apre una nuova pagina della difesa europea; il rafforzamento della difesa dell’Unione permetterà alla Nato di fare maggiore affidamento sulle forze europee.
Così l’Alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini, a margine del Consiglio dei ministri europei degli Esteri e della Difesa. Una cooperazione reale, che metterà in rete gli Stati maggiori degli eserciti nazionali, per garantire una maggiore efficacia in tema di sicurezza dell’Unione europea.
Sempre sul fronte degli armamenti, nei mesi scorsi, era stato approvato un Fondo europeo per la difesa, con lo scopo di supportare la ricerca, lo sviluppo e una migliore gestione degli investimenti militari dei singoli Stati membri.
Difesa comune, quale obiettivo?
Russia da un lato, Stati Uniti dall’altro e l’Europa (inerme) in mezzo. Il vero scopo della difesa unica sarà anche quello di rendere attuale il processo di integrazione nelle politiche di difesa. Questo processo, fermato nel 1954 dalla Francia e poi ripetutamente osteggiato dal Regno Unito, che durante gli ultimi decenni ha posto diversi veti, andrebbe nell’ottica di una maggiore autonomia dell’Unione all’intero della Nato.
Gli stimoli che hanno permesso questo passo in avanti sono diversi: la caotica situazione internazionale, gli attentati che hanno colpito il vecchio continente, la Brexit avviata dal Governo di Londra e la postura degli Stati Uniti d’America, dovuta alla politica estera statunitense di Donald Trump, che più volte si è dichiarato scettico sulla Nato e più incline all’isolazionismo.
Tra gli scopi dell’accordo ci sarebbero anche progetti di addestramento comuni e partecipazioni congiunte a operazioni militari, che dovrebbero garantire un risparmio di almeno 25 miliardi di euro ogni anno. Il programma dovrà essere votato dal Consiglio europeo il prossimo 11 dicembre.
di Omar Porro