Ampie distese di natura incontaminata, resti di misteriosi imperi, frutta esotica e caffè, terra di guerriglieri e rivoluzionari. Se si pensa all’America Latina, si ha la tendenza a sfogliare mentalmente una sorta di romantico album delle vacanze, nel quale la realtà possiede una purezza che non le appartiene, visto che sul continente, la disuguaglianza é a livello regionale, la più alta del mondo.
La nostra Rivista ha deciso di focalizzare la propria attenzione su alcune delle motivazioni profonde di questa apparentemente ineliminabile disuguaglianza, concentrandosi sulle differenti politiche di redistribuzione di reddito e risorse che le élite susseguitesi al potere hanno tentato di attuare, spesso ottenendo risultati poco soddisfacenti o semplicemente fallimentari; analizzando il cd modello “import susbstitution industrialization”, ovvero l’industrializzazione volta a sostituire le importazioni e gli effetti di lungo periodo che esso ha comportato (es. la crisi del debito degli anni ’80).
Nei nostri prossimi approfondimenti ci chiederemo se lo squilibrio sociale sia frutto di una mancata inclusione dettata da particolari politiche discriminatorie o se sia causata da diktat provenienti dall’esterno, valutando di conseguenza il ruolo giocato da eventuali ingerenze.
Inoltre, sarà dedicato spazio anche alle condizioni delle popolazioni “indigene”, comunità tra le più povere e marginalizzate del pianeta – sia politicamente che socialmente – al quale poco hanno giovato il riconoscimento – da parte degli Stati di origine e delle Nazioni Unite (Dichiarazione sui popoli indigeni, 2007) – di diritti specifici.
La scelta dei governi di alcuni stati sudamericani di favorire una crescita ad elevata intensità di capitale, alla quale non è stata accompagnata una politica di gestione delle migrazioni dalla campagna verso le città, ha portato ad enormi disparità salariali. Un altro elemento che forse è importante anticipare riguarda l’evidente sotto-tassazione alla quale è sottoposta una popolazione così numerosa e le conseguenze che ciò ha avuto e continua ad avere sulle effettive capacità redistributive delle entità statali.
Passi avanti verso una società più equa, dove redistribuzione e sviluppo riescono a coniugarsi in maniera efficace, sono stati fatti, soprattutto negli ultimi due decenni, periodo nel quale vittorie sia nella battaglia contro la povertà che in quella per una maggiore eguaglianza hanno permesso di ottenere dei miglioramenti significativi.
È innegabile però che rimangano ancora molte riforme da attuare perché quelle 80 milioni di persone che tutt’oggi vivono con un reddito giornaliero al di sotto della soglia di povertà ($2.50) possano vivere una vita dignitosa. Proprio per questo non verranno tralasciati dalla nostra analisi nuovi progetti di riforma e cooperazione che si pongono come obiettivo il livellamento delle disparità e la creazione di una società più equa.