Il polacco Donald Tusk è stato confermato, quasi all’unanimità, alla presidenza del Consiglio europeo. Lo scorso giovedì, ad opporsi alla rielezione dell’ex premier della Polonia, è stato proprio l’attuale primo ministro di Varsavia Beata Szydlo che non ha voluto confermare la fiducia nel suo predecessore.
Un risultato quasi scontato, quello che ha portato lo scorso giovedì alla riconferma di Donald Tusk alla presidenza del Consiglio europeo.
L’ex premier polacco, infatti, è stato rieletto dai leader dei 28 Stati membri con un risultato di 27 favorevoli e 1 solo contrario.
É stata proprio la Polonia, guidata dalla nazionalista Beata Szydlo, ad aver “voltato le spalle” a Tusk che è riuscito però a mantenere immutata la fiducia che in questi anni è riuscito a conquistarsi tra i Governi nazionali.
Sono davvero molto grato per la fiducia che mi è stata affidata, farò del mio meglio per rendere migliore l’intera Unione europea.
Questo è stato il primo commento che Tusk ha voluto rilasciare alla stampa nel pomeriggio di giovedì, dopo la votazione che l’ha nuovamente “incoronato” alla carica di “Presidente dell’Unione”.
Nessun Governo ha voluto seguire le indicazioni della Polonia che ha cercato in tutti i modi di convincere i colleghi del cosiddetto “Gruppo Visegrad“, senza però riuscire nell’intento di confermare una sfiducia all’ex Primo ministro. In quest’ottica desta qualche sospetto il tempismo scelto dalla magistratura polacca per convocare Tusk in qualità di testimone circa l’incidente aereo del 10 Aprile 2010 dove persero la vita 96 persone tra cui l’allora Presidente Lech Kaczynski. Ad accusare l’ex Premier fresco di rielezione alla Presidenza del Consiglio europeo è il gemello di Kaczynski, leader del partito nazional populista al potere in Polonia; secondo lui Tusk si sarebbe disinteressato della sicurezza del fratello e sarebbe colpevole di aver lasciato le indagini in merito all’accaduto, ai russi visto che il veivolo si schiantò in fase di atterraggio nei pressi della base aerea di Smolensk.
Il Governo nazionalista ungherese di Viktor Orbàn, esponente del partito “Fidesz” che fa parte del Partito popolare europeo, pur non avendo nascosto certe insofferenze nei confronti delle attuali politiche comunitarie, ha rispettato il volere della sua famiglia politica, garantendo il suo voto e il suo appoggio per la rielezione di Donald Tusk.
Non erano scontati però i voti favorevoli di tutti i Governi che fanno parte della cosiddetta “famiglia socialista”.
Il francese François Hollande, l’italiano Paolo Gentiloni e l’attuale Presidente del Consiglio dell’Unione europea, il maltese Joseph Muscat (insieme agli omologhi di Svezia, Portogallo, Austria, Slovacchia e Repubblica Ceca) avrebbero potuto far valere il principio di quella che è chiamata “staffetta”.
Infatti dopo l’elezione alla presidenza del Parlamento europeo di Antonio Tajani (anche lui membro del Partito popolare), arrivata dopo le dimissioni di Martin Schulz che ha lasciato il posto per correre contro Angela Merkel alle prossime elezioni federali tedesche, i Governi socialisti avrebbero potuto avanzare la richiesta di destinare il posto, che era del presidente Tusk, a un esponente del loro partito, ma così però non è stato.
Insomma, la crisi all’interno della “grosse koalition” che attualmente governa l’Unione europea per ora è scongiurata, ma non è detto che in futuro i membri del Partito socialista possano rivendicare una delle tre poltrone ai vertici dell’Ue.
Infatti i presidenti di Commissione, Consiglio e Parlamento, dopo la riconferma di Tusk, restano saldamente nelle mani dei popolari anche grazie all’appoggio degli esponenti socialisti che garantiscono, ad esempio, la fiducia al numero uno del Berlaymont, Jean-Claude Juncker.
di Omar Porro