Di Beatrice Pavan
All’epoca del califfato ottomano le donne erano subordinate all’uomo e le libertà a loro concesse limitate. Fu Mustafa Kemal, fondatore della Repubblica turca, ispirato dalle civiltà nazionali europee, a dare un decisivo impulso all’emancipazione femminile, anticipando anche molti paesi occidentali.
In Anatolia (così come nel resto del mondo) uomini e donne (cristiani, musulmani o ebrei che fossero) ricoprivano ruoli distinti all’interno della società. Una separazione di genere che si rifletteva in ogni ambito della vita umana, dalla divisione del lavoro, a quella degli spazi, sia pubblici (riservati agli uomini) che privati, e che rispondeva a diverse tradizioni culturali tuttavia accomunate da una subordinazione di genere già contemplata all’interno di una struttura sociale di tipo patriarcale.
Per i fedeli dell’Islam, la responsabilità del marito era quella di proteggere e provvedere al sostentamento della famiglia; la moglie, dal canto suo, si prendeva cura dei figli e si occupava della loro educazione. Il Corano non implica alcuna distinzione ontologica tra maschio e femmina ma, anzi, doveri e meriti sono equiparati. Tuttavia non mancano espressioni che riflettono la mentalità patriarcale del tempo.
A partire dal quindicesimo secolo si diffuse tra la popolazione urbana femminile la pratica di indossare abiti lunghi che nascondessero le forme, mentre nelle zone rurali, a quanto pare, le donne erano solite coprirsi il capo con un fazzoletto per ripararsi dal sole e dalla polvere e non in osservanza ai principi della legge islamica. Le donne avevano spazi a loro riservati come l’Harem – letteralmente il “settore delle donne” – separato dal Selamlik, il “settore degli uomini”. La parola “harem” deriva dalla stessa radice araba di haram, che significa “proibito”. Precisamente, il termine designa i locali di una casa o di un palazzo, il cui accesso era vietato a uomini non appartenenti alla famiglia.
Iniziative per dare impulso all’emancipazione femminile ottomana vennero promosse a partire dal XIX secolo. Chi era favorevole a una radicale trasformazione del decadente Impero sui vincenti modelli europei chiese l’introduzione della monogamia, la non interferenza della polizia nella vita privata delle donne, la libertà di scelta in materia di matrimonio e in generale una maggiore considerazione per le donne. Anche i dottori della legge musulmani erano disposti a concedere alle donne il diritto di camminare sole per le strade e di frequentare la scuola primaria e secondaria. Nel 1863 il Sultano ottomano Abdul-Aziz (grande estimatore dell’Europa) ordinò l’apertura di un collegio per ragazze. Tuttavia, bisogna precisare come questo provvedimento interessasse solo parte della piccola borghesia ottomana del tempo. Solamente le ragazze cresciute in famiglie benestanti iniziarono a godere di una maggiore libertà e autonomia, anche grazie allo studio della letteratura francese e inglese.
Nel 1912, alcune donne ottomane che non indossavano l’Hijab presero parte ad un incontro presso l’Ambasciata Americana; durante gli anni della Guerra nei Balcani, alcune donne iniziarono a essere formate come infermiere. Le cose iniziarono a cambiare con la Prima Guerra mondiale; molte occupazioni in fabbrica vennero affidate alle donne che contemporaneamente vennero impiegate anche in banca, alle poste, e nei centri amministrativi e municipali.
Il collasso dell’Impero Ottomano rallentò solo in parte la lotta per l’emancipazione. Nel 1918 il Ministro dell’Educazione, Ali Kemal, aprì anche alle donne i corsi della Facoltà di Filosofia di Istanbul. Nel 1919 l’occupazione di Istanbul da parte delle truppe inglesi seguite da quelle francesi e italiane, provocò molte polemiche e le donne iniziarono a reclamare il diritto di esprimere la propria opinione e di partecipare alla vita politica del paese. Non mancarono donne che si arruolarono insieme all’esercito di Mustafa Kemal in Anatolia, dove la Guerra di Indipendenza stava per avere inizio.
La condizione delle donne in Anatolia cambiò radicalmente con il successo nazionale di Mustafa Kemal, fondatore della Repubblica turca, detto “Atatürk”, letteralmente il padre dei turchi. Uno dei suoi obiettivi era quello di modificare completamente lo status della donna in Turchia.
Egli rappresentò le donne come il gruppo più visibilmente oppresso dall’ancient regime e l’ideologia repubblicana, diversamente dalla maggior parte delle dottrine rivoluzionarie che si fondavano sull’uomo nuovo, creò il mito delle figlie della Repubblica, le donne nuove la cui visibilità sancita dalla fine dell’occultamento fisico e della segregazione sociale, testimoniava il passaggio alla civilizzazione occidentale. (Bottoni, Il principio di laicità in Turchia, p. 138)
Nel 1924, Atatürk promulgò la “Legge per l’Unificazione dell’Istruzione” che estese l’accesso all’educazione a entrambi i sessi. L’adozione di un nuovo Codice Civile, mutuato interamente da quello svizzero, dichiarò illegale la poligamia e diede pari diritto a uomini e donne di divorziare. La custodia dei figli, al contrario di quanto accadeva in passato, venne concessa ad entrambi i genitori (Art.262). Le nozze, per essere considerate valide, si sarebbero dovute tenere obbligatoriamente in presenza della moglie, così da abolire il matrimonio per procura.
la riforma del diritto di famiglia, che comportò l’abrogazione di una serie d’istituti del diritto islamico come la poligamia e il ripudio, da un lato emancipò la Turchia agli occhi del mondo occidentale dall’immagine di una nazione barbara e retrograda, dall’altro diede un grande impulso alla trasformazione della società promuovendo il ruolo della donna nella trasmissione dei valori repubblicani nazionali e secolari alle giovani generazioni. (Bottoni, p. 130)
Atatürk non militarizzò mai la società e non nutrì mai alcuna simpatia per qualsiasi tipo di movimento fascista del tempo; dichiarò durante un’intervista che ”rivoluzione e dittatura, anche se necessari, possono essere validi solo per un breve periodo di tempo” (Mary R. Beard, Woman as Force in History, London, Collier-MacMillan, 1946). E per dimostrare la sua fede in un sistema democratico estese il diritto di voto alle donne, prima a livello municipale nel 1930 e, successivamente, a livello nazionale nel 1934. Mustafa Kemal ribadì più volte nel corso dei suoi comizi, l’importanza cruciale che le donne avrebbero dovuto esercitare nella costruzione dello Stato, tant’è che le donne turche potevano considerarsi perfino all’avanguardia rispetto alle donne europee dell’epoca in materia di diritti politici; per esempio in Francia le donne ottennero il diritto di voto nel 1944 e in Italia nel 1946, mentre già nel 1935 18 donne turche vennero elette in Parlamento.
Simbolo della Turchia moderna e dei traguardi raggiunti da Mustafa Kemal, è la pilota Sabiha Gökçen, prima donna turca ad aver ottenuto una licenza di volo e prima donna pilota combattente al mondo. Sabiha venne adottata dal Primo presidente della Repubblica di Turchia Mustafa Kemal e a lei è dedicato l’aeroporto asiatico di Istanbul.