La democrazia è tanto cara quanto fragile, e non passa giorno senza immaginare che una qualche catastrofe ce la porti via. Bisognerebbe però considerare anche un’altra eventualità: e se ci lasciasse semplicemente per via della vecchiaia?
Qual è la forza politica dominante in Occidente? La risposta è molto più semplice e soprattutto chiara di quanto potremo mai pensare. Non è di certo la socialdemocrazia e neanche le forze seppur crescenti definite come “anti-politiche” o populiste. A primeggiare piuttosto è l’a-politica o, per essere più diretti, il noto “partito degli astenuti”, che in molti paesi raggiunge stabilmente percentuali al di sopra del 50%: una maggioranza assoluta che potrebbe governare da sé (e molti dei suoi sostenitori sarebbero pronti a spergiurare di preferire il vuoto all’offerta politica esistente).
Molti politologi s’affrettano a rassicurarci sul fatto che uno dei segni per una democrazia matura e stabile sia proprio una decrescente affluenza alle urne. Non a caso oggi definiamo una percentuale di voto molto alta come “bulgara”, certi che se tutti stanno andando a votare è perché o costretti dal dittatore di casa (vedasi la Corea del Nord, con il suo 99,97% di affluenza) o perché facenti parte di una democrazia ancora giovane o instabile la cui esistenza dipende dal voto (come in Turchia, dove la sorprendentemente alta affluenza è spiegabile anche da un clima più equiparabile a “vuoi Erdogan come tuo legittimo autocrate finché morte non vi separi?”).
Tuttavia non sono solo le tornate elettorali ad aver un numero particolarmente basso di partecipanti. Il recente referendum greco sul’accettazione delle misure di austerity imposte dalla Troika ha raccolto poco meno del 70% di affluenza. Ciò significa che quasi un terzo degli elettori non si voluto pronunciare su una consultazione che avrebbe sancito il destino di tutta la nazione. Col senno di poi e l’accordo siglato da Tsipras che stride con il risultato del referendum verrebbe da pensare che forse avevano intuito che non era alle urne che si sarebbero decise le sorti del paese.
Esiste innegabilmente un diffuso clima di rassegnazione in Europa, ma anche negli Usa, dove le votazioni non sono un affare per alcune minoranze etniche, giovani e poveri, tutte categorie che perlopiù disertano le urne certi di non aver nei fatti voce in capitolo sulla direzione politica americana. Ed è altrettanto innegabile che è tale clima ad alimentare la crescita del popolo di “neet” politici (persone che non partecipano né attivamente né passivamente alla democrazia).
La rassegnazione è una sensazione più assimilabile all’anzianità che alla maturità. Possiamo allora dire che, in realtà le nostre democrazie non sono affatto mature bensì vecchie, se non addirittura morenti? In fondo la democrazia è un prodotto molto vecchio, concepito più di due millenni fa e riadattato più nelle modalità che nella sostanza. Anche la nostra attuale versione, rappresentativa e liberale, ha ormai diversi secoli alle spalle.
A furia di piccarci d’esportarla in giro per il mondo dimentichiamo spesso come la democrazia sia stata volutamente rigettata da grandi potenze o spesso scimmiottata per mezzo di vuoti rituali quali elezioni farsa o parlamenti a voce unica da parte di potenze più piccole che ancora cercano una briciola del prestigio occidentale.
Noi cittadini di un mondo dove miliardi di persone devono sapersi organizzare su spazi e risorse sempre più ristretti siamo assolutamente sicuri di non dover apportare dei dovuti aggiornamenti alla nostra macchina politica, che in realtà nacque come strumento concepito da un pugno di privilegiati di piccoli agglomerati urbani isolati per potersi accordare meglio tra loro per mezzo di riunioni sporadiche in un mondo dove i repentini sconvolgimenti erano quasi sempre opera di Madre Natura?
Certo gli occidentali stessi stanno complessivamente invecchiando, e una democrazia “di vecchi, per vecchi” sarebbe solo lo specchio della società attuale. Non fosse però che un disequilibrio ancora maggiore tra una classe dirigente sempre più anziana che risponde a un elettorato sempre più anziano rispetto alle generazioni più giovani – tenute ai margini – comporterebbe gravissimi problemi di sostenibilità in quanto gli “emarginati” sarebbero comunque tenuti a provvedere al mantenimento della popolazione non più attiva pur prendendo sempre meno parte alle decisioni sulle modalità e sulle strategie politiche. Un welfare immaginato su tali basi non potrebbe neanche essere concepito e a lungo andare, l’apparente silenziosità delle generazioni di giovani occidentali relegati a paaria politici potrebbe esplodere con una rabbia e una potenza tale da spezzare l’intero tessuto sociale delle nostre società, proprio come quando un anziano ci lascia di colpo per un infarto a causa del grasso sedimentatosi nelle arterie fino al punto di bloccare il vitale flusso di sangue nel corpo.
- Potrebbe interessarti anche: Dove sta andando la democrazia