La situazione siriana è un inferno. Capire cosa sta succedendo è doveroso in quanto esseri umani e indispensabile per la comprensione di quei fenomeni che travalicano i confini naturali di quella terra. Per questo motivo la nostra Rivista seguirà più da vicino la guerra siriana, che in realtà sono tante guerre diverse e sovrapposte, in modo da fornire un quadro sempre aggiornato e il più chiaro possibile.
Tra le proposte inascoltate di de Mistura, le proteste in piazza dei residenti di Idlib, lo spostamento di armi chimiche verso il fronte e il ruolo dei curdi nell’offensiva, cosa ne sarà di Idlib?
Con il fallimento dell’incontro trilaterale del 7 settembre 2018 a Teheran tra i presidenti di Russia, Iran e Turchia, l’offensiva su Idlib è iniziata con intensi bombardamenti aerei e di artiglieria – per ora nelle zone più periferiche – che hanno già causato una decina di vittime civili.
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Il presidente turco Erdogan aveva invocato un cessate il fuoco per evitare il “bagno di sangue” di civili sostenendo che sarebbe stato quello “il vero successo del vertice”, ma Russia e Iran si sono opposti, sostenendo la necessità di combattere le ultime sacche di estremisti presenti a Idlib, che l’Inviato ONU per la Siria Staffan de Mistura ha stimato essere circa 10.000.
Idlib infatti ospita 70.000 ribelli di cui 10.000 appartenenti al gruppo estremista HTS (ex Nusra) organizzati in due coalizioni: il Fronte di Liberazione Nazionale, sostenuto dalla Turchia e composto anche da fazioni islamiste, e HTS. Idlib però ospita soprattutto 3 milioni di civili, di cui 2 lì trasferiti dopo le “evacuazioni” degli ultimi anni.
Nonostante la dichiarazione finale del vertice di Teheran ripeta che “non c’è soluzione militare al conflitto ma solo politica“, l’annunciata offensiva su Idlib con cui il fronte governativo siriano intende riconquistare l’intera provincia è iniziata e anzi già nelle stesse ore del vertice le zone tra Hama e Idlib erano state bombardate. I bombardamenti hanno colpito diversi località del sud di Idlib e distrutto l’ospedale di Hass e il centro della Protezione Civile di Khan Sheykhun.
Staffan de Mistura aveva proposto corridoi umanitari per i civili, suggerendo un ultimatum agli estremisti di HTS (ex Nusra) affinché abbandonassero i centri urbani, ma le sue parole sono cadute nel vuoto.
L’offensiva su Idlib avrà conseguenze determinanti per tutte le parti. Per Ankara la posta in gioco è alta, dato che potrebbe verificarsi un nuovo esodo di rifugiati verso la Turchia – che ne ospita già 3.5 milioni – e che la zona cuscinetto creata lungo i suoi confini in chiave anti-ISIS e anti-YPG curdo potrebbe finire a rischio. Secondo stime ONU, nelle ultime ore sono già 30mila gli sfollati. Erdogan ha messo in guardia che se avrà luogo un massacro di civili la Turchia “non starà a guardare” e negli ultimi due giorni convogli militari carichi di equipaggiamento sono entrati a Idlib per rinforzare le postazioni turche lungo i confini della provincia come stabilite dagli accordi di Astana.
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Per i 3 milioni di civili di Idlib la posta è ancora più alta: i membri di HTS sono mischiati alla popolazione nei centri urbani che controllano e ciò significa che l’offensiva governativa si avvarrà, come in passato, di bombardamenti a tappeto che non risparmieranno i civili. Nonostante ciò, lo stesso giorno del vertice migliaia di siriani in varie località di Idlib sono scesi in piazza per protestare contro l’offensiva, intonando slogan anti-regime e anti-HTS e rivendicando le istanze di libertà e giustizia della rivoluzione.
Al contrario, per Russia e Iran il successo dell’offensiva su Idlib sarebbe la vittoria finale che giustificherebbe gli investimenti fatti per salvare il regime di Assad e gli consentirebbe di consolidare la propria influenza nel Paese negli anni a venire. Per il regime siriano sarebbe la fine della guerra, il colpo di grazia non solo ai ribelli ma anche alla popolazione civile che gli si oppone dal 2011. Infatti i civili di Idlib non saranno vittime collaterali, bensì – come accaduto negli ultimi sette anni – un bersaglio.
Come ha detto di recente il capo dell’intelligence aerea siriana, Jamil al-Hassan, – su cui pende un mandato di arresto internazionale per torture di massa e crimini contro l’umanità emesso dalla Procura tedesca – “una Siria con 10 milioni di persone fidate che obbediscono alla leadership è migliore di una Siria con 30 milioni di vandali.” Se la politica di liquidazione fisica di chiunque dissenta con il regime non fosse sufficientemente chiara, Hassan ha anche dichiarato che tre milioni di siriani sono sulla lista dei ricercati e che chiunque sia considerato un “ostacolo” al consolidamento del potere del regime sarà etichettato come “terrorista” e trattato di conseguenza, cioè ucciso.
Anche alla luce di ciò, l’Irish Times ha scritto che “raramente, se non mai, nella Storia un potenziale assalto stile genocidio contro una vasta popolazione civile è stato così ben pubblicizzato, accompagnato in modo allarmante dall’inazione internazionale nel fermarlo.”
La comunità internazionale infatti non sembra intenzionata a fermare l’offensiva. Il 6 settembre i 10 membri eletti del Consiglio di Sicurezza ONU hanno rilasciato una dichiarazione che invoca alla “moderazione”, ma appena due giorni prima l’ambasciatrice USA all’ONU Nikki Haley aveva detto che “se il regime siriano vuole continuare a riprendersi tutta la Siria, può farlo ma non con le armi chimiche”.
Una vera e propria luce verde all’offensiva che sottintende che se i massacri saranno compiuti con armi convenzionali allora saranno accettabili; un’infelice implicazione dimostrata dai fatti e dalla linea politica degli ultimi anni.
La minaccia di armi chimiche è reale, tant’è che i civili si sono preparati all’offensiva su Idlib non solo facendo scorte di cibo e scavando rifugi ma anche improvvisando maschere anti-gas utilizzando bicchieri di carta e plastica.
Come avevamo visto qui, i media russi hanno lanciato nelle scorse settimane una campagna mediatica avvalendosi di una fake news per incolpare preventivamente i ribelli di un attacco chimico che potrebbe realmente esserci, ma ad opera del regime.
Negli ultimi giorni infatti fonti locali e di intelligence hanno notato lo spostamento di mezzi del regime carichi probabilmente di armi chimiche da Damasco a nord di Hama.
Secondo Jim Jeffrey, Consigliere americano per la Siria, ci sono “molte prove” che il regime siriano stia preparando armi chimiche a Idlib, mentre il Segretario di Stato Matt Pompeo ha dichiarato che “c’è zero intelligence” che i ribelli possano anche solo avere capacità di produrre o maneggiare agenti chimici, aggiungendo che “se [la Russia] sostiene che i ribelli stanno architettando qualcosa dovrebbero produrre dati e prove a riguardo”. Prove che non siano però le foto di backstage di un film spacciate per vere.
Un elemento non secondario è la presenza di alcuni combattenti curdi dell’YPG tra le file del fronte governativo ammassate lungo i confini di Idlib.
Dopo la sconfitta subita ad Afrin, con la conseguente espulsione delle milizie curde da parte della Turchia e dei ribelli siriani, i curdi si sono avvicinati sempre più al regime siriano, tanto che sono da tempo in corso trattative sull’est del Paese secondo cui i curdi potrebbero cedere il territorio al regime in cambio dell’autonomia.
Partecipando all’offensiva su Idlib al fianco del regime i curdi sperano non solo di vendicare la perdita di Afrin ma di riconquistarla, come dichiarato dal leader curdo Aldar Khalili. Pur trattandosi per ora di pochi combattenti, i comandanti curdi non escludono l’invio di uomini a dar manforte al regime come parte della crescente partnership militare tra le due parti – sebbene negli ultimi giorni siano esplosi scontri tra YPG ed esercito siriano a Qamishli che hanno ucciso 11 soldati siriani.
Alla luce di ciò, è chiaro che l’offensiva su Idlib sarà l’ultima grande, sanguinosa battaglia del conflitto siriano.
di Samantha Falciatori