La diffusione in rete di contenuti violenti è un problema di difficile soluzione. Vediamo perchè e chi sta tentando azioni congiunte per limitare i danni.
Internet, le nuove tecnologie e i social media hanno indubbiamente cambiato le nostre vite, ma hanno anche reso la propaganda terrorista molto più efficace con immagini, video e registrazioni vocali diffuse liberamente e velocemente worldwide. L’impatto di questa nuova propaganda multimediale è enorme e il sedicente Califfato Islamico, considerato ad oggi l’organizzazione terroristica con la migliore presenza sul web, grazie a queste nuove interconnessioni raggiunge un triplice obiettivo: ispira i lupi solitari sparsi in Occidente, aumenta il numero dei propri seguaci e spaventa il resto del mondo provocando una paura quasi irrazionale che va poi ad influenzare scelte politiche, comportamenti dei cittadini e quieto vivere delle società.
Ma come è possibile che i grandi social media, ampiamente sfruttati dai terroristi, lascino circolare in rete contenuti la cui pericolosità è elevata? Esistono almeno un paio di motivazioni.
La prima è che nonostante le regole già esistenti, analizzare continuamente centinaia di migliaia di utenti e di contenuti rimane una sfida difficile anche per colossi che fatturano decine di miliardi l’anno. Non per questo però si deve giustificare l’inadempienza delle società dei social network, rapidissime nel cancellare contenuti postati da cittadini “normali” (magari per violazione del Copyright) ma imperdonabilmente colpevoli di mantenere on-line decapitazioni e violenze perpetrate da criminali internazionali per mesi o addirittura anni. Svariate inchieste giornalistiche si sono concentrate su questo problema e più o meno tutte sono arrivate allo stesso punto morto: segnalazione diretta dei video e (solitamente) successiva rimozione del contenuto da parte del social network. Nessuna tuttavia è riuscita a risolvere il problema ex-ante, e gli appelli alla maggiore attenzione hanno finito per essere travolti dall’inerzia dei giganti del web. Il miglior modo per rimuovere un video o un contenuto pericoloso dalla rete resta, ad oggi, la segnalazione diretta da parte degli utenti (noi): un metodo né efficace né efficiente per contrastare adeguatamente il jihadismo “informatico” né, tantomeno, adeguato alle enormi potenzialità (e responsabilità) dei giganti della rete. I contenuti di matrice terrorista che restano in rete a lungo, tuttavia, offrono anche un inaspettato vantaggio: permettono, tramite geo-localizzazione ed hashtag, di scoprire alcuni nascondigli utilizzati dai jihadisti, di identificare cellule operative o dormienti e di delineare gli spostamenti di alcune unità nei teatri di guerra (qua alcune di queste dinamiche). Tutte attività per le quali, comunque, non serve che un contenuto resti on-line per mesi.
Qualcosa di più concreto sembra però finalmente muoversi. Facebook, Twitter, YouTube e Microsoft hanno recentemente creato il Global Internet Forum, un forum condiviso con lo scopo di identificare e rimuovere contenuti di stampo estremistico e terroristico. Uno degli obiettivi della nuova piattaforma è quello di creare un database comune di immagini e video ritenuti violenti e di matrice terroristica di modo che, una volta individuata una minaccia in un qualsiasi social network, questa venga immediatamente rilevata anche da tutti gli altri ed eliminata nel minor tempo possibile. Si tratta di un utile e concreto passo avanti ma, probabilmente, non sufficiente ad azzerare o comunque ridurre al minimo la presenza sul web di contenuti e profili attribuibili al terrorismo, in grado di fare visualizzazioni (e proseliti) di massa.
La seconda motivazione, non meno importante, è che i social network devono sforzarsi di mantenere una posizione globale (necessaria per il prosperare dei loro business) e rispettare i propri termini di servizio che non possono essere sempre stringenti quanto dovrebbero. Difatti l’adozione di procedure troppo estreme per la rimozione dei contenuti web, oltre che difficilmente concretizzabile, rischierebbe di sollevare problemi in ambito di censura delle informazioni e privacy (problematiche simili esistono nella lotta alle Fake News). Del resto il mercato di sbocco dei giganti del web è composto da decine di Paesi con leggi e libertà civili ben diverse tra loro e adottare linee guida globali, dettagliate ed approfondite, potrebbe porsi in contrasto con i vari sistemi giuridici nazionali.
In un mondo in cui servizi e connessioni fornite da internet e dalle ITC viaggiano tra le Nazioni più velocemente delle normative adatte a gestirli, è comunque l’armonizzazione globale di idonee norme giuridiche a restare una delle poche, utopiche, soluzioni. L’Unione Europea è uno dei pochi contesti nei quali si sta cercando di perseguire questa strada.
Enrico Giunta