Appena due giorni dopo la contestata apertura dell’ambasciata statunitense a Gerusalemme, che ha scatenato proteste e la conseguente dura reazione israeliana che ha portato alla morte di oltre 60 palestinesi, anche il Guatemala ha aperto la sua ambasciata a Gerusalemme.
Il presidente Jimmy Morales e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu hanno partecipato all’apertura dell’ambasciata mercoledì 16 maggio a Gerusalemme ovest, durante la quale Netanyahu ha dichiarato:
Non è un caso che il Guatemala stia aprendo la sua ambasciata a Gerusalemme, proprio tra i primi. È sempre stato tra i primi. È stato il secondo Paese a riconoscere lo Stato di Israele”.
La decisione del Guatemala di riconoscere Gerusalemme capitale di Israele e di trasferirvi l’ambasciata aggiunge ulteriori tensioni nella comunità internazionale, dopo la condanna per la medesima mossa americana. Il Marocco ad esempio ha già sospeso i piani per un gemellaggio con la capitale del Guatemala in segno di protesta.
Dopo il Guatemala, anche il Paraguay del Presidente Horacio Cartes è in procinto di aprire la sua ambasciata a Gerusalemme, con una cerimonia che si terrà domani, 22 maggio, a meno di due mesi dalla fine del suo mandato presidenziale. La questione rischia di diventare controversa in Paraguay dato che il Presidente Mario Abdo Benitez, che gli succederà, non sarebbe stato consultato.
A metà aprile, anche in Honduras il Congresso nazionale aveva approvato una mozione in favore del trasferimento dell’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme e in Repubblica Ceca il presidente Miloš Zeman aveva detto il mese scorso che avrebbe avviato le procedure per trasferire l’ambasciata a Gerusalemme.
Non passa dunque inosservato il fatto che si tratta per lo più di Paesi dell’America Centrale e Meridionale: secondo gli analisti il motivo di tali decisioni non è solo rafforzare i legami con un Paese alleato, ma anche “ingraziarsi” gli Stati Uniti di Trump. Guatemala, Paraguay e Honduras, oltre ad avere tutti problemi di politica interna, sono anche tutti dipendenti dai legami commerciali e politici con gli Stati Uniti e dai loro aiuti economici, senza contare che migliaia di loro cittadini vivono negli Stati Uniti e che recentemente Trump ha promosso espulsioni di massa di molti cittadini e lavoratori provenienti dall’America centrale e Latina. Si tratta dunque anche di mosse strategiche.
di Samantha Falciatori