28 marzo, ore 12:10, Salonicco
«Raduna la squadra, non scrivere su Whatsapp, usa solo Telegram» disse il capitano.
«Imposto il timer a 1 minuto?» rispose Makarios.
«Trenta secondi, non più di trenta secondi. Sempre» fece Ares, «quando leggi il messaggio aspetta che svanisca allora accendi tutto, ok?»
«Sì, chi chiama i coglioni del Makedonia, dobbiamo farlo noi o tuo fratello?» rispose Maka.
«Lo fa Nico, li chiama da Atene» disse Ares.
«Ok, è tutto?»
«Sì, andiamocene, tu vai verso il centro io passo a fare un giro al porto, nessuna comunicazione fino a domani sera, chiaro?»
«Chiarissimo, Capitano.» Rispose ironicamente Makarios.
I due ragazzi si salutarono stringendosi l’avambraccio, Makarios mise la mano sinistra sulla spalla destra di Ares, ma questo se la scrollò di dosso con uno strattone.
L’incontro dei corsari era finito, ognuno andava per la sua strada.
Atene, casa di Nico.
«Non lo so ancora cosa voto te l’ho già detto, non me lo chiedere un’altra volta»
«Ma come fai a rispondere così!? Sei pazzo spero! Non ci voglio credere che hai dei dubbi…»
«Credici, perché è così» disse Nico osservando la schiena nuda di Eleni, era buttata nel letto, puzzava un po’ e non voleva uscire da lì, intanto Nico si allacciava la divisa da cameriere appena stirata facendo attenzione a non muovere eccessivamente la testa per non spettinarsi.
«Non ci credo che voterai per il No! Sei troppo intelligente per fare una cosa così scriteriata Cristo!» esclamò Eleni girandosi e guardandolo negli occhi.
Nico rimase stupito non l’aveva mai sentita bestemmiare, prese la sua maglietta appoggiata sullo schienale della vecchia sedia di legno che aveva in camera e gliela gettò in testa. «Copriti che sei nuda…» disse il ragazzo, poi prese l’orologio elegante che gli avevano dato all’Hotel per lavorare e si avviò verso la porta di casa.
«A che ora torni scemo?» fece Eleni
«Il solito, ti trovo sveglia?»
«Non lo so, forse dopo esco» rispose Eleni. «Mi devo vedere con il mio relatore, per il progetto sai…»
«Ah, ok, pensavo c’avessi rinunciato…»
«Io non rinuncio mai.» rispose fredda Eleni.
Nico aprì la porta di casa, era vecchia e faceva rumore.
Mentre stava uscendo sul pianerottolo le ragazza gli urlò contro. «Non voglio morire russa! Non voglio diventare una comunista del cazzo!» Nico chiuse la porta in fretta ridendo fra sé e sé.
«Che c’è ma’? Sei preoccupata?» Disse Vassy osservando la madre mentre stirava di fronte alla tv
«Sì, sì che sono preoccupata. Questo referendum è una cazzata, nessuno ci aiuterè senza avere nulla in cambio, e poi il rischio è che tutto crolli, io lo so perché tua zia che viveva a Cordoba me l’ha raccontato cosa succede in questi casi.»
«Chi? Quale zia?» fece Vassy
«La sorella di tuo padre quella che vive in Argentina» rispose la madre.
«Non la conosco, non l’ho neanche mai vista»
«Ora vivono negli Stati Uniti, lì si sono sistemati bene» fece la madre.
«Cosa fanno?»
«Ma non lo sai? Dai Vassy ma ne parliamo spesso con papà, ti ricordi c’è stato un periodo in cui volevamo andare a vivere lì, negli anni ‘90…»
«Non mi ricordo nulla, non ci parlo con papà, allora cosa fanno?»
«Hanno una azienda di pulizie, lavano la moquette» rispose la madre.
“…come tutti gli immigrati greci del cazzo…” pensò Vassy senza dire nulla. Guardò l’orologio. Era ora, andò in camera sua e prese lo zaino nero.
«Dove vai?» gli urlò la madre dal piccolo soggiorno.
«Mangio da Nico stasera»
«Aspetta portagli qualcosa!» rispose la madre.
«No! Mangiamo fuori un panino, vado!»
La madre sentì la porta sbattere, tornò ad ascoltare il suo talk show, non si parlava d’altro, accettare o meno le proposte dell’Europa. Le proposte di Berlino.
Atene, Syngrou Avenue, sede di Libertà Greca.
«Gufo Grigio, hai detto che gli stavate addosso, che li avevate presi, adesso mi vieni a dire che non sapete ancora nulla, che cazzo fate tutto il giorno! Voglio una risposta!» Disse il Ministro degli Interni Noikos.
«Lo so Lupo Nero, forse era ancora presto per cantar vittoria. Sappiamo che sono dei ragazzi ed abbiamo trovato delle scritte inneggianti ai Cani di Ares nella zona dello stadio» rispose Papagos.
«Ma che cazzo me ne frega! Atene è già piena di questo genere di scritte del cazzo! Io voglio risposte!» Il ministro aveva già perso la pazienza.
«Non c’è bisogno di scaldarsi Lupo, le daremo le risposte che vuole, e che noi vogliamo» disse il colonnello Papagos.
«Noi chi?» rispose a muso duro Noikos «il Noi non esiste, i servizi lavorano per il governo, chiaro? Io posso usare il noi…solo io».
«Certo Gufo Grigio, la prego di non fare riferimenti inopportuni al telefono sulla nostra identità ne sui nostri dipartimenti… chiaramente noi siamo al servizio della Grecia, e di nessun altro. Crediamo di avere una pista. C’è un bravo ispettore qui a Salonnico, migliore certamente di tutti i suoi colleghi e di quel pallone gonfiato di Zaimis, il capo della polizia è un soggetto inutile per quello che posso vedere io. Tuttavia le dicevo c’è questo bravo poliziotto, ispettore Theodorou …»
«Non me ne frega un cazzo di questo, vai al punto Gufo Grigio!» lo interruppè brusco il Ministro.
«Dicevo l’ispettore Theodorou crede che dagli atteggiamenti e dall’organizzazione, questi Cani di Ares, possano essere elementi riconducibili agli ambienti dell’hooliganismo militante»
«Oh Cristo, ci mancava. Non possiamo usare una banda di delinquenti di quella specie, soprattutto ora che abbiamo deciso di sospendere il campionato per motivi di pubblica sicurezza. Va bene allora ad ogni modo facciamo così colonnello…»
«La prego Lupo Nero, la prego…» il colonnello intervenne subito nella discussione.
«Volevo dire Gufo Grigio, allora facciamo così, arruolate questo Theodorou, o come cazzo si chiama lui, e cercate di venirne a capo, scandagliate le curve, cercate ovunque ma trovate questi cazzo di pirati, li voglio, abbiamo bisogno di loro» il Ministro Noikos buttò giù.
Niko si stava avvicinando al Grande Bretagne, era in anticipo, di circa 20 minuti, guardò l’orologio d’ordinanza che indossava sempre per lavorare, estrasse il telefono e controllò Telegram, sudava freddo, come sempre in queste circostanze, avrebbe dovuto lavorarci un po’ su, questa storia del sudore lo faceva sentire una merda. Non voleva puzzare durante le rapine o altro.
Il messaggio arrivò, puntuale come la morte, «procedere». Attese i trenta secondi, il messaggio di telegram svanì.
Salonicco, sede del quotidiano Makedonia.
«Pronto?» rispose Dimitris, poi si ricordò che doveva dire il nome del giornale.
«Pronto, redazione del Makedonia, chi parla?»
«Buonasera cittadino» disse il corsaro greco.
Il sangue gli si gelò nelle vene, Dimitris riconobbe subito quella parola d’ordine.
«Pro-pronto? C-hi, Chi parla?» rispose balbettando.
«Volevamo solo dare un consiglio elettorale» disse Nico, «ognuno faccia le sue scelta, come vuole la democrazia che in fin dei conti noi greci abbiamo inventato, però ci tenevamo a dire la nostra. Dalla Torre Bianca la nostra opinione si vede bene, Lungavita ai Cani! Lungavita al Capitano Ares!»
28 marzo, 21:30, Salonicco, molo della Torre Bianca.
Vassy e Maka accesero le micce, era stato relativamente facile, nessuno aveva visto quelle assi scure nell’acqua nera della notte.
Le avevano messe di giorno, con una barchetta spacciandosi per dipendenti comunali che stavano ripulendo le mura dalle alghe primaverili. Improvvisamente la pece prese fuoco, il mare era piatto come una tavola in quella notte senza vento, e le fiamme si alzarono enormi. Forse il gioco questa volta era stato troppo pericoloso.
I due pirati si allontanarono correndo verso le moto nere che li stavano aspettando.
Alle loro spalle il mare sembrava aver preso fuoco. Lingue rosse si alzavano incredibilmente dall’acqua. Solo dai condomini borghesi che si affacciavano sul mare si poteva distinguere il senso di quel fuoco.
Dall’alto compariva, chiara ed enorme, una sola parola fiammeggiante…