Se a separare gli europei dal Nord Africa non ci fosse il Mar Mediterraneo, il continente verserebbe in un dramma regionale paragonabile a quello che in altre parti del globo coinvolge più stati e più popoli, costretti – loro malgrado – a ripartirsi gli oneri dell’accoglienza.
Enrico Calamai, ex viceconsole in Argentina ai tempi del regime di Videla, sui migranti forzati che muoiono nel Mediterraneo si è espresso così: “Sono i nuovi desaparecidos. E il riferimento non è retorico e nemmeno polemico, è tecnico e fattuale perché la desaparición è una modalità di sterminio di massa, gestita in modo che l’opinione pubblica non riesca a prenderne coscienza, o possa almeno dire di non sapere”.
In vent’anni quante persone hanno perso la vita nel Mediterraneo? Non si può sapere con certezza. Eppure questo non sembra suscitare la preoccupazione al contrario generata dal dovere di accogliere i sopravvissuti alla traversata.
I migranti forzati nel mondo (sfollati interni, rifugiati e richiedenti asilo) nel 2013 sono stati più di 51 milioni; il dato più alto da quando è possibile misurare questi fenomeni. (51 milioni di persone in fuga? “roba” da seconda guerra mondiale). Davvero crediamo che si trovino tutti in Europa?
L’opinione diffusa è che i migranti forzati siano diretti in massa verso i paesi del “Nord” del mondo. Eppure quanti tra coloro affetti da sindrome dell’invasione, sono consapevoli che gli stessi paesi (quelli del Nord) – sino ad ora – hanno avuto successo nell’imporre strategie di regionalizzazione del problema dei rifugiati e di contenimento degli arrivi alle loro frontiere?
La triste verità è che non solo il “Sud” del mondo è la zona da cui si originano i flussi di rifugiati, ma è anche il luogo di destinazione degli arrivi. E anche se si potrebbe obiettare, che data l’emergenza nel Mediterraneo questa affermazione sia quantomeno fuori luogo, aumenta la permanenza dei migranti nei dintorni delle guerre ivi comprese le “missioni di pace”. Se i rifugiati sono un fardello non sono i paesi più sviluppati a sopportarne il maggior peso.
Funziona così: pensate a una crisi internazionale qualunque e scoprirete che a pagare il prezzo della stessa (in termini di rifugiati) sono gli Stati confinanti. Un esempio? L’Afghanistan ovvero il paese dove nel 2013 si è originato il più alto numero di rifugiati. Il Pakistan e l’Iran nello stesso anno, si posizionano rispettivamente al primo (1.616.500) e al secondo (857.400) posto nella classifica dei principali paesi di accoglienza dei rifugiati.
Dante riteneva gli ignavi talmente indegni da non meritarsi neanche di varcare le porte dell’inferno. Gli stessi difettavano sia di volontà attiva che di forza spirituale «l’anime triste di coloro che visser sanza infamia e sanza lodo».
E proprio l’Antinferno sembra essere quello in cui viviamo. L’Europa appare come un insieme di Stati che convivono nel medesimo continente guidati da élite impegnate a millantare misure inefficaci e politicamente impraticabili. Il 9 maggio si celebra la pace e l’unità in Europa, ma chi scrive non riesce a capire che cosa ci sia da festeggiare.
In Italia sembrano saperlo i giornali che annunciano come una rivoluzione all’insegna della solidarietà la semplice proposta che Mercoledì 13 Maggio si discuterà in Commissione Europea. La misura, che prevede l’obbligo per tutti i paesi UE di farsi carico dei migranti già presenti sul territorio dell’Unione (principalmente in Grecia, in Italia e a Malta), ribalta anche la logica con cui è stato redatto Dublino III introducendo un Sistema d’Asilo Europeo che eliminerebbe l’impedimento per il migrante, di dover restare obbligatoriamente nel paese in cui è stato registrato. Se la stessa dovesse essere approvata, finirebbe poi sul tavolo del Consiglio Europeo (Capi di Stato e di Governo) e del Parlamento di Strasburgo, istituzioni comunitarie anch’esse chiamate a esprimersi in merito. Tutto molto bello, peccato che non vi sia alcun modo per imporre l’Asilo Europeo agli Stati Membri senza che gli stessi siano tutti d’accordo (28 sì). E infatti è bastata una semplice bozza circolata in questi giorni tra le capitali europee a far fioccare i primi no: Slovacchia, Ungheria, Repubblica Ceca e Gran Bretagna.
Quello che i giornali italiani non dicono è che il problema dei rifugiati è originato e gestito quasi interamente in quello che volgarmente è chiamato terzo mondo.
Perchè correre il rischio che sempre più persone si accorgano di “quale forza abbiano raggiunto i pregiudizi nella nostra epoca considerata dei lumi”, come scriveva Ernst Jünger nel Trattato del Ribelle.
Oggi fotografare la realtà significa catturare in un fermo immagine il tramonto di una grande civiltà, quella occidentale e nello specifico europea. Non si può fare a meno di notare che il principio di responsabilità internazionale condivisa, sancito a Ginevra, lungi dall’essere accolto dall’intera comunità mondiale, sia rispettato solamente a causa della vicinanza geografica.
Il famigerato Siraq [Siria-Iraq] costringe paesi come la Turchia, la Giordania e il Libano (quest’ultimo peraltro non presente a Ginevra) ad accogliere milioni di persone che raggiungono le frontiere a piedi. Il caos libico ne spinge altrettante a cercar fortuna in Tunisia e così via.
Se gli europei sono ancora nelle condizioni di potersi indignare di fronte al naufragio e alla morte di 900 persone, è solo perché a frenare l’esodo – per ora – è proprio quello specchio d’acqua che paradossalmente condanna quanti rischierebbero di perdere la vita se non tentassero di attraversarlo.
Per approfondire
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Leggi Libano: il rifugio infernale – In Libano un terzo dei quattro milioni di abitanti è siriano. Nel Gennaio 2015 il governo ha deciso di rinunciare ad una politica d’accoglienza dalle “porte aperte” – peraltro adottata senza essere vincolato da alcun trattato internazionale – per introdurre un regime di visti.
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Extra: guarda il fumetto di Makkox dedicato all’argomento.
Eliza Ungaro