La regione artica negli ultimi decenni ha assunto un’importanza diversa rispetto a quella ricoperta in passato. Gli sconvolgimenti politici del post-bipolarismo e gli sconvolgimenti ambientali del riscaldamento climatico, hanno trasformato l’Artico da periferia globale – luogo dove le due grandi potenze si osservavano silenziosamente a vicenda tra i freddi ghiacci – a nodo strategico di importanza fondamentale per gli interessi economici, politici, energetici, di molti Stati.
L’Artide e i nuovi trend climatici
Convenzionalmente il nome Artide descrive tutte quelle terre, acque e ghiacci oltre la linea del Circolo Polare Artico, latitudine 66° 33′ 44″ Nord.
La regione artica, così come il resto del globo, è oggi sottoposta al fenomeno del surriscaldamento globale. Tuttavia nell’Artico l’incremento termico avanza a una velocità doppia rispetto alla media generale e le serie storiche ci dicono che in passato in estate sopravviveva il 30% della calotta artica, nel 2007 solo il 13%, il trend non si invertirà e le previsioni per i prossimi decenni parlano di 120 giorni di totale mancanza di ghiaccio lungo potenziali rotte artiche.
Dunque si va verso un’inesorabile e sempre più rapida diminuzione dello strato ed estensione della calotta artica e la prospettiva generale parrebbe essere la mancanza totale di ghiacci, almeno per la stagione estiva, nonché la presenza di una fascia sempre più estesa di mare e terra perennemente sgombra dai ghiacci artici.
Il cambiamento climatico apre a due prospettive: lo sfruttamento delle ingenti risorse naturali – finora prigioniere di un clima ostile – e lo sfruttamento delle nuove rotte di navigazione tra Nord-America ed Eurasia. Anche la navigazione invernale sarà meno problematica; la riduzione della calotta permetterà l’utilizzo di rompighiaccio di classe inferiore rispetto a quelle attualmente a disposizione dei vari paesi.
Nuove rotte e sfruttamento delle risorse sono variabili geopolitiche che si condizioneranno vicendevolmente, generando esternalità positive per il milieu artico e un volano economico complessivo riguardante sviluppo e rivitalizzazione delle città portuali artiche – come nuovi centri di interconnessione e trasporto intermodale – e degli insediamenti legati allo sfruttamento delle risorse naturali.
Rischi politici
I nuovi rapporti tra gli ordinamenti politici regionali, per la gestione e il controllo delle risorse artiche, potranno essere di tipo cooperativo o all’opposto di tipo conflittuale, generando un potenziale Arctic scramble, una corsa agli armamenti ed alle capability necessarie a presidiare l’area per difendere i vari interessi delle nazioni artiche (ma non solo).
La mancanza di una chiara delimitazione dei confini comporta la volontà di rimappare la sovranità di tutta la regione da parte degli attori coinvolti. La prospettiva delle Zone Economiche Esclusive, e l’utilizzo in chiave strategica del concetto di “piattaforma continentale” definito dal diritto marittimo internazionale, offriranno i principali strumenti di lotta; inoltre altre grandi polity – le istituzioni politiche – non prettamente artiche, potranno entrare in rotta di collisione con le pretese sovraniste degli attori regionali in ascesa, una su tutte la Repubblica Popolare Cinese.
Relativamente alle acque, stando alla Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare del 1982 – UNCLOS – le rotte artiche, ad eccezione delle ZEE, essendo acque internazionali non sarebbero soggette ad alcuna giurisdizione (gli USA non hanno ancora ratificato tale convenzione, nonostante talvolta ne richiamino i fondamenti).
Ad oggi non vi è accordo sulla giurisdizione artica, né sulla validità delle convenzioni internazionali che hanno tentato di dirimerne la questione, né sui criteri stessi di interpretazione e applicazione del diritto internazionale.
Il commercio mondiale è d’altronde una questione d’acqua: l’80% delle materie prime e dei prodotti transita via mare, e le nuove rotte artiche non faranno che aumentare questo trend, con un ritorno economico per tutti i settori correlati. Nel 2030 è stato stimato che il 2% del commercio marittimo mondiale passerà dall’Artico, percentuale destinata a salire al 5% nel 2050.
È un dato oggettivo l’interesse sempre più alto che i paesi dediti al commercio marittimo stanno dedicando all’Artico. La composizione degli stati osservatori in seno all’Arctic Council – tra gli altri, Cina, Giappone, Paesi Bassi e Singapore – ne è una prova.
I nuovi passaggi
ROTTA ROTTERDAM – YOKOHAMA: RISPARMIO DI 8.500 MIGLIA NAUTICHE
I nuovi passaggi dimezzeranno la lunghezza delle rotte e i costi, permetteranno di evitare le rotte dei pirati, ridurranno la dipendenza dai canali artificiali e da tutte le problematiche, politiche, economiche e logistiche, che essi implicano, tra cui una maggiore libertà di pescaggio per le future navi (oggi condizionate ai 17 m per Suez e 12 m per Panama).
Passaggio a nord-ovest: risparmio di 8.000 miglia nautiche rispetto alla rotta classica.
Va detto che il passaggio Nord-Ovest rispetto al passaggio Nord-Est presenta alcuni interrogativi, la rotta non è altrettanto lineare, è prevista una maggior persistenza dei ghiacci, vi è un maggior rischio d’instabilità politica (molte più policy regionali rispetto la rotta Nord-Est, che è appannaggio russo), inoltre altri fattori come l’allargamento di Panama, il dry canal sino-colombiano, il nuovo Canale del Nicaragua, potrebbero depotenziare implicitamente questa rotta.
Passaggio a nord-est: risparmio di 8.500 miglia nautiche rispetto la rotta classica.
La regione artica, in virtù della sua posizione pivotale boreale, può essere quindi compresa come uno dei corridoi fondamentali della nuova geografia nonché luogo di creazione di altrettanti nodi per le reti globali.
Non vanno tuttavia sottovalutati i potenziali rischi socio-ambientali, per la regione e le sue popolazioni, connessi all’incremento del trasporto artico; anche se ad oggi tali previsioni sono di difficile valutazione.
Di Marco Moggia