La crisi tra la Russia e l’Ucraina fu prevista da un cable diplomatico dell’ambasciatore americano a Mosca nel 2008 pubblicato da Wikileaks.
Siamo nel febbraio del 2008, pochi mesi prima dello scoppio della guerra tra Georgia e Russia per il controllo delle zone indipendentiste filo-russe dell’Abkhazia ed Ossetia del Sud. Dall’ambasciata americana a Mosca parte una comunicazione confidenziale indirizzata allo Stato Maggiore Usa. In quel cable si portava all’attenzione statunitense la preoccupazione russa che riguardava gli effetti destabilizzanti che un’eventuale adesione dell’Ucraina e della Georgia alla Nato avrebbe potuto causare. Il cable, pubblicato da Wikileaks, era indirizzato al Segretario di Stato americano, ai paesi europei della Nato e al National Security Council. In questa comunicazione venivano riferite le forti preoccupazioni del Ministero degli Esteri russo – al cui vertice allora come oggi risiedeva Sergej Viktorovič Lavrov – e di altri funzionari per la sicurezza nazionale della Federazione Russa, riguardo al programma di allargamento della Nato, chiamato Membership Action Plan.
Ciò che stupisce leggendo l’informativa diplomatica è l’enfasi e l’attenzione che viene dedicata al caso ucraino. Serve però un passo indietro per capire il contesto. Siamo nel 2008, quattro anni prima le elezioni presidenziali che videro vincente la coalizione filo-russa di Yanukovich, vennero dichiarate “nulle” dalla Corte Suprema, anche in seguito a manifestazioni di piazza divenute note con il nome di “Rivoluzione Arancione”, guidate dal leader dell’opposizione filo-occidentale Viktor Yushenko. Le nuove elezioni furono vinte da quest’ultimo, che scelse come Primo Ministro la potente oligarca Julia Tymoshenko. Dopo molte traversie parlamentari, cambi di coalizione e personalismi tra i leader, nel 2007 grazie ad un accordo tra Yanukovich – allora leader di opposizione – e Yushenko, vennero indette nuove elezioni. Il primo partito risultò il partito filo-russo di Yanukovich, ma la coalizione filo-occidentale ottenne nel complesso più seggi, nonostante le sempre più palesi divisioni interne.
È su questo sfondo di incertezza politica che va letto questo cable. Nella nota si legge che Lavrov considera l’eventuale “allargamento della Nato, in particolare in Ucraina, un problema ‘emotivo e nevralgico’ per la Russia”, e sostiene che parlare di “sfere di influenza” risulterebbe anacronistico, nonostante sia evidente come ogni attore giochi sul piano di “legittimi interessi” regionali, e non si può far finta che ciò non valga per la Russia. A questo riguardo Lavrov sottolinea come dal punto di vista russo, l’ipotesi di allargamento Nato in Ucraina non corrisponda ad una effettiva “ragione di sicurezza” – motivo di esistenza della Nato -, ma piuttosto come ad una ricerca di “nuovi obiettivi”, quasi a dire non troppo velatamente che essendo crollato il Patto di Varsavia, sarebbe dovuto venir meno il Patto Atlantico. Visto che ciò non è accaduto la Nato, secondo Lavrov, si è dovuta inventare una nuova “mission”.
Un avvicinamento dell’Ucraina alla Nato vorrebbe dire una fine immediata al Trattato di Amicizia e Partenariato del 1997, che tra le altre cose definiva la posizione della Flotta russa del Mar Nero di stanza a Sebastopoli, in Crimea. Si fa anche accenno a un altro particolare quasi mai citato dai media, ma che ricopre un’importanza fondamentale per la sicurezza nazionale russa: l’Ucraina è uno dei più grandi produttori d’armi mondiali, e buona parte di queste armi vengono vendute alla Russia. Secondo il Royal United Services Institute, circa il 30% di queste esportazioni militari sono “uniche e non possono essere sostituite dalla produzione russa”. Secondo gli analisti di Geopoliticalcenter, alla Russia servirebbe qualche anno per rimpiazzare tecnologie e rifornimenti che fino ad ora provenivano dalla produzione ucraina. Basti pensare che l’80% dei missili armati su vettori russi, e alcuni sistemi guida montati su missili in forza alla difesa strategica missilistica, sono attualmente di produzione ucraina. È anche per questo che la rottura dell’alleanza con l’Ucraina viene vista dalla Russia come una minaccia alla sicurezza nazionale.
Nella nota si rendono evidenti le conseguenze sistemiche e destabilizzanti che un cambio di alleanza strategico-militare di questo tipo potrebbe causare, anche a causa della forte vicinanza culturale ed etnica che molti cittadini ucraini hanno nei confronti della Russia. Il rischio, dice Lavrov, è che le divisioni interne possano spaccare in due il paese, scatenando una guerra civile. Gli effetti a lungo termine sono descritti da Dmitriy Trenin, membro del Carnegie Moscow Center, e potrebbero riguardare la fine della cooperazione militare sul controllo degli armamenti, e il riacutizzarsi della competizione militare, anche con la rimessa in discussione dei trattati CFE e INF.
Isabelle Francois, che ai tempi ricopriva il ruolo di Direttore del Nato Information Office a Mosca, riferisce come diversamente dagli anni ’90, quando l’allargamento della Nato – nonostante l’impegno informale di non allargarsi a Est – dovette essere tacitamente accettato dalla Russia, durante gli anni ’00 la Russia avrebbe avuto la forza politica e materiale per reagire a favore della propria sicurezza. Pochi mesi dopo, come già accennato, la Russia reagì in Georgia.
Questo cable è quindi esemplificativo di come l’Occidente abbia apertamente ignorato le istanze di sicurezza russe, appoggiando un rovesciamento di governo – non è sbagliato parlare di colpo di Stato – dichiaratamente anti-russo e pro-Nato, contribuendo in maniera determinante a ciò che ne è seguito, e che era già stato immaginato dai funzionari russi: l’Ucraina è scivolata in una guerra civile che rischia di spaccare in due il paese. La Russia, sperando di ridurre il danno, ha annesso la Crimea senza colpo ferire, e parallelamente sta combattendo ed alimentando la guerra nell’Ucraina orientale, alle porte dell’Europa.
Lorenzo Carota