La scoperta di giacimenti petroliferi sul territorio della Guyana ha inizialmente dato speranze di miglioramento della qualità della vita nel paese sudamericano. La pandemia ha però rovinato le prospettive di sfruttamento, ed ha generato conflitti interni.
La Repubblica Cooperativa di Guyana è un piccolo stato incastonato nella zona settentrionale dell’America del Sud, proprio sulle spalle del Brasile. Si tratta di una nazione piccola, con una popolazione di meno di 700mila abitanti e caratterizzata da un’attanagliante povertà. La tormentata storia politica della Guyana è stata rappresentata dalla forte ingerenza degli Stati Uniti d’America e dell’Inghilterra (facendo ancora parte del Commonwealth) e dal conflitto politico fra le varie comunità etniche presenti nel paese.
All’inizio dell’anno la notizia della scoperta di nuovi ingenti giacimenti petroliferi nel paese aveva scatenato un’ondata di entusiasmo, ed in questo clima si erano svolte le prime attività di estrazione della americana ExxonMobile, la quale avrebbe garantito alla povera nazione metà degli introiti di estrazione.
Anche considerando solo quel paventato 50% esso avrebbe rappresentato una svolta notevole per l’economia della Guyana ed i teorici delle proiezioni già si lanciavano in funambolici calcoli riguardo l’imminente crescita del Pil. Il governo della Repubblica Cooperativa, accusato spesso di corruzione, vedeva soprattutto in queste estrazioni la possibilità di liberarsi dei gravosi debiti contratti soprattutto con gli Stati Uniti.
In un contesto differente solleverebbe numerosi dubbi la possibilità che coloro che ti sono creditori, siano gli stessi che supporteranno la tua capacità di generare denaro, poiché ben sappiamo che il debito è controllo. A ciò si aggiungono le proteste dei coltivatori locali, preoccupati dalle attività estrattive.
In generale, pur considerando tutti questi aspetti, la notizia delle nuove attività estrattive faceva ben sperare. A febbraio è partito quindi il primo cargo di olio grezzo dalla Guyana diretto verso gli Stati Uniti ma… poco dopo il mondo è cambiato a causa della pandemia di COVID-19, e i sogni di ripresa del piccolo stato sono andati letteralmente in frantumi.
Con la pandemia e la conseguente crisi della domanda internazionale di combustibili fossili, a cui si è aggiunta la sempre presente guerra dei prezzi sul greggio, l’intera produzione si è arrestata sul nascere. Questa falsa partenza ha innescato quel fenomeno noto come “Maledizione delle Risorse” per cui un’abbondanza di risorse energetiche e ambientali non sfruttabili in un paese già in crisi, innesca una serie di meccanismi come la recrudescenza dei conflitti etnici e una maggiore corruzione della macchina governativa nonché la nascita di una economia eccessivamente dipendente da una singola risorsa.
Nel caso specifico è scoppiata la violenza fra la comunità di origine Indiana e quella di origine Sudafricana, che ha portato anche a brutali omicidi. Anche in questo contesto si è avuta la visita di Mark Pompeo il 17 settembre di questo anno, preoccupato, da una parte, per la fine temporanea di un nuovo sistema di giacimenti da poter sfruttare; ed in secondo luogo allarmato dalla situazione del confinante Venezuela, la cui attuale condizione denuncia non solo l’instabilità della regione ma anche il sempre più ridotto ruolo degli Stati Uniti nella politica del Sud America.
Ora in Guayana la tensione è alta, i debiti da pagare salati ed è ancora incerto il futuro delle estrazioni (che al momento sono fermi, e con loro si sono fermati i flussi di denaro dedicati ai fondi per creare nuove piattaforme estrattive.)
Il SARS-CoV2 ha gettato il mondo in un nuovo contesto di agitazione e crisi ma come sempre, se soffrono tutti, gli ultimi soffrono di più.
a cura di Tanator Tenabaun