Cosa sta succedendo al prezzo del petrolio

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Le più grandi aziende petrolifere del mondo, come Exxon e Chevron, hanno avvertito che il prezzo del barile rimarrà ai minimi anche nel 2016 e che potrebbe calare ancora. Per quanto la diminuzione del prezzo possa essere nel breve termine un fattore positivo per il consumatore finale, non lo è per quei Paesi che basano la loro economia sul settore energetico, come Arabia Saudita, Venezuela, o Qatar. La mancanza di introiti dovuti alla vendita del greggio potrebbe modificare gli scenari politici della regione mediorientale e del mondo intero.

[ecko_alert color=”orange”]Perché il prezzo del petrolio è così basso[/ecko_alert]

Dal 2014 il prezzo del petrolio è calato di oltre il 60%, da 110$ al barile fino a sotto i 40$. Un valore di solito ritenuto basso è inferiore ai 50$. Ma perché tale diminuzione, e quali sono gli effetti?



Il repentino calo del prezzo del petrolio degli ultimi mesi deriva principalmente dalla saturazione del mercato petrolifero. Il fenomeno si verifica quando la quantità domandata di un bene è totalmente soddisfatta dall’offerta dello stesso con la conseguenza che gli eccessi di produzione diventano riserve. Una delle cause dell’accantonamento di riserve consiste in una produzione non pianificata e slegata totalmente dalla considerazione dei consumi. In altri casi invece l’accantonamento può avvenire previa pianificazione, su prospettive di innalzamento o abbassamento dei prezzi futuri. I dati dell’Agenzia Internazionale per l’Energia confermano che, anche dopo un anno di prezzi bassi record (sotto i 50 dollari al barile), il mercato rimarrà saturo – non ci sarà cioè un aumento significativo della domanda di petrolio – e i paesi produttori  che non taglieranno la produzione accantoneranno maggiori quantità di riserve.

Record Inventories
Il grafico mostra come la quantità di petrolio prodotta sia dai governi che dalle industrie del settore sia aumentato negli anni, raggiungendo il livello critico di 3 miliardi di barili nel 2015.

La saturazione del mercato non è l’unica causa del crollo del prezzo del petrolio. La produzione nazionale degli Stati Uniti è quasi raddoppiata nel corso degli ultimi sei anni, portando il paese a diventare il maggior produttore di petrolio al mondo, rendendo meno strategiche le importazioni di greggio dal Medioriente. Il trend è confermato dalla decisione da parte del Congresso degli Stati Uniti di riaprire dopo 40 anni il mercato dell’esportazione di petrolio. Il greggio proveniente da Arabia Saudita, Nigeria e Algeria che prima trovava uno sbocco naturale nel mercato statunitense, ora sta cercando altri compratori, soprattutto in Asia, dove però, anche a causa della crisi cinese, non tutte le aspettative di crescita e fabbisogno energetico sono state rispettate. L’Arabia Saudita, nonostante il contesto, e per non perdere quote di mercato a favore di altri produttori come la Russia, ha deciso di non tagliare la produzione.

Inoltre – ragione ritenuta preminente da molti analisti – dietro questo calo di prezzo ci sarebbe anche la volontà dell’Arabia Saudita di rallentare la crescita dello “shale oil” statunitense. Riyad ha infatti deciso di aumentare la propria offerta tentando – senza molto successo, a dire il vero – di diminuire le possibilità di profitto e investimento sullo shale da parte degli investitori e delle compagnie Usa. Estrarre lo shale infatti è molto più costoso rispetto al greggio convenzionale. Come si può vedere dal seguente grafico, le stime nel 2013 dei costi di produzione di un barile di petrolio estratto tramite tecniche di fracking si aggiravano nel 2014 intorno ai 70$ al barile, mentre il costo di estrazione del petrolio saudita è considerevolmente più basso. Va segnalato, comunque, come nel 2015 questi calcoli siano in parte stati smentiti, e si sia capito come lo shale possa rimanere competitivo anche con il petrolio intorno al 60$.

Costo di produzione del greggio nelle diverse aree del globo / credits: U.S. Energy Information Administration
Costo di produzione del greggio nelle diverse aree del globo in stime per il 2014 / credits: U.S. Energy Information Administration

[ecko_alert color=”orange”]La decisione dell’OPEC[/ecko_alert]

L’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio (OPEC), nella riunione carica di aspettative del 4 dicembre, ha deciso di non diminuire la produzione di petrolio. Nonostante il segretario generale Abdallah Al Badri abbia ribadito la solidità dell’organizzazione, l’OPEC ha stabilito alcune nuove linee guida, che mettono in discussione la capacità dell’Organizzazione stessa di influire solidamente sul prezzo del petrolio globale. In particolare, l’OPEC ha stabilito che:

  • Non sarà previsto avere un obiettivo di prezzo del petrolio
  • Sono sospese le quote produttive dei singoli Paesi membri.
  • Non sarà applicato il tetto di produzione collettivo ai Paesi membri

La mancanza di imposizioni sui limiti di produzione ha portato alla diminuzione dei vincoli per gli Stati produttori di petrolio, che adesso si trovano in una situazione di concorrenza anziché di oligopolio.

The barrels OPEC holds back

[ecko_alert color=”orange”]Nessuno rinuncia alla propria quota[/ecko_alert]

Quando in futuro la domanda di petrolio tornerà a crescere più solidamente – e si alzerà il prezzo del barile – i Paesi che per paura di perdere quote non avranno rinunciato al proprio livello di produzione, potranno aumentare i propri profitti, dal momento che si troveranno in una posizione di mercato favorevole. In poche parole, chi tra i paesi produttori resisterà più a lungo senza diminuire la propria produzione e le proprie quote di mercato, sarà in una posizione di vantaggio quando il prezzo del petrolio tornerà a crescere: è una guerra di logoramento.

La mancanza di tetti massimi di produzione porta ad una situazione di stallo dove a nessuno conviene fare la prima mossa diminuendo la propria offerta, preferendo piuttosto sopportare costi derivanti dalle spese di magazzino e stoccaggio del petrolio, in previsione di futuri rialzi.

[ecko_alert color=”orange”]Come va per i paesi dipendenti dalla vendita di petrolio[/ecko_alert]

Per buona parte dei paesi mediorientali che basano la loro economia sul settore energetico, gli introiti derivati dal petrolio costituiscono la principale entrata economica, la primaria fonte di risorse finanziare. Se i ricavi diminuiscono a causa dei prezzi bassi, gli Stati subiranno forti perdite che potrebbero mettere in crisi i bilanci e le riserve di moneta estera, come ad esempio sta capitando proprio all’Arabia Saudita (che tra le altre cose si posiziona al quarto posto della classifica globale negli investimenti del settore difesa, investimenti resi possibili dai surplus di bilancio derivati dalla vendita di petrolio). Il basso prezzo del petrolio sta creando qualche problema anche fuori dal Medioriente. Basti pensare al crollo dell’economia russa e venezuelana, due paesi che basano grandi parti del proprio bilancio di Stato sulla vendita di petrolio. Alcuni paesi produttori, specialmente quelli del Golfo Persico, hanno però tentato negli ultimi anni di ottenere investimenti esteri anche in altri campi, come quello finanziario, creando legislazioni favorevoli al business.

Skyline of Doha with traditional arabic dhows. Qatar, Middle East. Source: philipus/Fotolia
Doha, Qatar / credits: Philipus, Fotolia

Come abbiamo visto, l’oscillazione del prezzo del petrolio dipende da molte varianti, e in particolare dal livello di competizione sul mercato, dalla situazione geopolitica internazionale e dalla saturazione dei livelli di produzione. Attraverso l’analisi di questi tre elementi, e considerando i rapporti politici tra i diversi Paesi, è possibile farsi qualche idea sul futuro del mercato del greggio, che secondo alcune stime tornerà ad un livello “normale” (intorno ai 70$ al barile) solo nel 2020. Addirittura, secondo l’FMI, esiste la possibilità di un ulteriore crollo del prezzo fino a 20$ prima che questo torni a salire. In linea di massima, e nel breve periodo, per i paesi importatori di petrolio (come i paesi europei e molti paesi asiatici), tale situazione porterà a vantaggi economici e a forti risparmi. Nel medio-lungo periodo, però, un prezzo eccessivamente basso del petrolio danneggerebbe l’economia reale, gli investimenti e la ricerca di fonti alternative di energia.