Al Centro di Memoria e Riconciliazione in Colombia, a Bogotá, nasce il progetto di carton-grafia, un esperimento artistico-culturale che riunisce le vittime del conflitto e aspira a creare nuovi percorsi per la costruzione di una memoria condivisa.
Dinanzi all’entusiasmo mediatico e all’ottimismo dimostrato da buona parte della classe politica e dell’opinione pubblica per l’evoluzione del processo di pace in corso all’Avana, restano alcune voci fuori campo che da molti anni non sono prese in considerazione: le vittime del conflitto colombiano. Sono i milioni di desplazados (almeno 5,6 milioni di abitanti), costretti a lasciare le proprie terre: le comunità delle popolazioni rurali, gli afro-colombiani e gli indigeni obbligati a spostarsi verso le città perché minacciati di morte; i familiari delle migliaia di desaparecidos; le vittime di tortura e di violenza sessuale, e molti altri. Le loro testimonianze circa la violenza del conflitto non paiono riscuotere altrettanta attenzione mediatica. In effetti, sia per il governo colombiano, che per le forze guerrigliere, si tratta di un argomento scottante; le responsabilità sono talvolta incrociate, molto spesso con la compartecipazione di forze paramilitari. Quindi perché parlarne?
Eppure, le vittime oggi sono consapevoli di non poter più tacere; da troppi anni la loro testimonianza di un conflitto – cui certamente non hanno scelto di aderire di proposito, ma in cui si sono incidentalmente imbattuti per pura prossimità geografica o semplicemente per aver avuto la sfortuna di essersi trovati nel posto sbagliato al momento sbagliato – rimane inascoltata.
Per far fronte all’indifferenza generale, al Centro per la Memoria e la Riconciliazione si riuniscono quotidianamente gruppi e rappresentanti delle vittime del confitto, con l’obiettivo di segnare uno spartiacque col passato e iniziare a raccontare pubblicamente le proprie storie. Esperienze tra loro molto diverse, ma accomunate dal desiderio di elaborazione comune della memoria. Visto lo scarso contributo statale destinato a finanziare progetti per la memoria (molto incline invece a promuovere iniziative che ledano in misura minore l’immagine del Paese), le associazioni di vittime hanno deciso di avviare un progetto totalmente auto-gestito e auto-finanziato, in grado di instaurare le basi per la costruzione di una memoria condivisa. L’auto-gestione e l’auto-finanziamento del progetto garantiscono indipendenza e autonomia da ogni tipo di potere politico e dalla memoria ‘istituzionale’; le storie ed i racconti delle vittime non vengono pertanto filtrate o utilizzate dai partiti politici a seconda degli interessi in gioco. Di conseguenza, gli autori, ed il collettivo stesso di cartongrafia, restano gli unici in grado di esprimersi a riguardo.
Mónica Alvarez, coordinatrice del progetto, sostiene che il diritto a raccontare sia un diritto politico, a tutti gli effetti; pubblicare le storie di quanti hanno sofferto per anni è per lei, addirittura un dovere civico. Il silenzio e la paura sono infatti al soldo del potere; e quello politico, in Colombia, teme che queste voci siano finalmente libere di esprimersi, svelando così i crimini perpetuati per conto dello Stato. La parola delle vittime diviene pertanto un’arma di denuncia della società civile per la violenza subita durante l’intero conflitto, contro il silenzio di Stato. Come strumento di diffusione della memoria, le vittime hanno deciso di costituire un laboratorio di carton-grafia che possa riportare le diverse esperienze, in poche righe, attraverso brevi racconti e illustrazioni grafiche. Il tutto con una rilegatura di semplice cartone, naturalmente riciclato. In questo modo si realizzano dei quaderni, delle vere e proprie opere d’arte, l’una diversa dall’altra. Tra le mura del Museo della Memoria e della Riconciliazione, è nata una vera e propria fabbrica di cartone animata, alimentata dall’entusiasmo mostrato ogni giorno dal collettivo di vittime che, a titolo volontario, prestano il proprio tempo e le proprie energie affinché le terribili esperienze di ognuno diventino di dominio pubblico.
L’idea della carton-grafia sociale in America Latina nasce e si diffonde in Argentina durante il tracollo finanziario dei primi anni 2000. In quegli anni si sviluppano i primi collettivi di cartoneros che, inizialmente, erano gruppi di indigenti che vagavano per le strade delle megalopoli in cerca di rifiuti riciclabili. Raccogliendo enormi quantitá di ‘scarti’, riuscivano a rivenderli per pochi pesos e, cosí facendo, si garantivano una qualche forma di sostentamento. Tuttavia, durante la crisi argentina, gli ‘scarti’ raccolti dai cartoneros iniziarono ad assumere una forma artistica, divenendo ben presto delle vere e proprie opere d’arte. Così si è pensato di trasformare il cartone in libri e i collettivi dei recicladores hanno iniziato a formare delle vere e proprie case editrici indipendenti con l’intento di raggiungere i lettori che le case editrici tradizionali e commerciali non si aggiudicano, con contenuti nuovi e senza ‘filtri’ commerciali e esenti dal rischio di censura. Dopo l’esperienza argentina, i collettivi di carton-grafia si diffondono in tutto il continente latinoamericano, rappresentando diverse voci, esigenze e obiettivi. Secondo il collettivo cileno della ‘Vieja Sapa Cartonera’, la carton-grafia e la realizzazione di prodotti editoriali indipendenti e autogestiti, deve avere come primo scopo la maggior diffusione possibile dei propri contenuti, per cui:
“Cualquier copia, reproducción o falsificación está plenamente permitida, incluso promovida por esta editorial. Es más, luego de ser leído, es recomendable dobla muy cuidadosamente este libro y hacer de él un avioneta de papel. Quizás, dandole alas, podrá volar hasta donde no hemos llegado aún. La propiedad es un robo.”
Facendo tesoro di altre esperienze nel continente, a Bogotà si è deciso invece di formare il primo collettivo cartonero dell’America Latina costituito principalmente dalle vittime. Per la prima volta saranno le vittime a raccontare in prima persona la loro visione del conflitto, sostituendosi agli storici, ai giornalisti ed agli scrittori. E’ la genesi di una nuova letteratura, che vuole essere semplice poiché scritta da gente semplice (la maggior parte delle persone proveniente da un contesto rurale e con un basso indice di scolarizzazione) che decide di rendere pubblico il proprio passato, di condividere i propri traumi e di esporre le proprie paure. Al tempo stesso vuole raggiungere un pubblico semplice; dato che il progetto si propone di diffondere i contenuti nelle scuole (pubbliche e private) di tutto il Paese, affinché le nuove generazioni crescano con la consapevolezza delle infinite sofferenze subite dal popolo colombiano. Così s’intende costruire un’alternativa all’industria editoriale tradizionale e commerciale, abbinando i racconti alla serigrafia ed al disegno; il tutto con l’obiettivo di pubblicare nuovi autori, con storie nuove, in grado di richiamare un nuovo pubblico di lettori. Le vittime solamente saranno in grado di trasmettere i loro sentimenti, descrivendo le terribili sofferenze del passato. Una forma, questa, di rimettere al centro della scena le vittime del conflitto e di definire nella società attuale il proprio ruolo di vittima al fine di giungere ad una vera riconciliazione. Oltretutto, per buona parte dei desplazados bogotani, il cartone rappresenta il primo ricordo nonché il simbolo del duro impatto con la capitale colombiana: per molti di loro, freddo, dopo la prima notte trascorsa in città.
Tra i racconti delle carton-grafie, uno ricorrente descrive l’arrivo a Bogotà di famiglie numerose provenienti da zone rurali remote; genitori stremati dal lunghissimo viaggio con bambini in spalla e in braccio; i bimbi, inquieti, che non riescono a prendere sonno a causa del freddo. I genitori, dinanzi alle lacrime dei figli, offrono loro delle grandi scatole di cartone – raccolte nei larghi viali della capitale – con cui coprirsi. Ma persino con queste ‘coperte’, la capitale colombiana continua ad accogliere i propri desplazados con un clima inospitale e spesso di pioggia battente. Con la carton-grafia le vittime desiderano cancellare quest’amaro ricordo iniziale della città, riscaldando gli animi dei loro nuovi lettori e al tempo stesso mettendo la parola fine, oppure semplicemente rielaborando forse per la prima volta le proprie sofferenze, nel tentativo di liberarsi, grazie a una potente valvola di sfogo, in parte dal peso del loro passato.
Per loro, la carton-grafia è anche un mezzo per raccontare i propri incubi quotidiani: un familiare desaparecido, uno stupro, una tortura, segni indelebili che resteranno per tutto il resto della vita. La violenza che rimane incisa sul corpo e nella mente, nella vita di ogni giorno, anche a distanza di molti anni. Certamente, per le vittime, l’arte, la parola e il disegno non saranno la soluzione a tutti i problemi, ma sicuramente potranno rappresentare un primo grande segnale di riconciliazione, un primo passo verso l’emancipazione sociale. Un urlo liberatorio, un grido, un avvertimento al resto della popolazione per interrompere il silenzio. La parola, la creatività e l’arte messe a disposizione da ciascuna delle vittime costituiranno un tesoro per il Paese che tornerà certamente utile a comprendere le ragioni delle vittime e costituirà un primo passo verso la pace; una pace che possa rendere almeno un po’ di giustizia a ognuno di loro.
Giacomo Finzi