Le difficoltà di un paese che non riesce a fare i conti con le zone d’ombra della sua storia.
La campagna contro i campi polacchi
C’è un enfant prodige della nuova storiografia polacca, i cui popolari libri restano per ora esclusivamente confinati nella Polonia governata dalla destra euroscettica del PiS. Il suo nome è Piotr Zychowicz, autore appena quarantenne ma con già alle spalle una corposa produzione, collaboratore storico dell’organo della destra clericale Rzeczpospolita e redattore di riviste di estrema destra, come Do Rzeczy, di cui è vicedirettore.
Zychowicz, in quanto giornalista di Rzeczpospolita fu il principale promotore, nel 2005, della campagna “contro i campi polacchi”. Questa iniziativa avrebbe portato poi, nel 2018, alla controversa legge che punisce chiunque definisca “polacchi” i campi di sterminio sorti in Polonia durante la seconda guerra mondiale o affermi la partecipazione, in qualsiasi forma, della Polonia occupata dai nazisti, all’Olocausto.
Tale provvedimento, denominato Legge sull’Istituto della memoria nazionale (Nowelizacja ustawy o Instytucie Pamięci Narodowej) approvato dal Sejm polacco su proposta del Partito Diritto e Giustizia al governo (PiS), sembra apparentemente porsi nel positivo solco di simili iniziative dei paesi postcomunisti dirette a recuperare la verità storica sul travagliato periodo che va dall’inizio della Seconda Guerra Mondiale al crollo del Muro di Berlino.
Ma le criticità connesse alla libera manifestazione del pensiero che emergono dalle pesanti sanzioni di tipo civile e penale irrogate a chi lede il “buon nome” della Polonia, sollevarono al tempo vibrate proteste in tutto il mondo, in specie da parte di Israele e dello stesso Yad Vashem, tanto da costringere il governo polacco, pochi mesi dopo, ad una parziale marcia indietro eliminando le sanzioni di tipo penale e mantenendo tuttavia inalterato l’impianto della legge e la sua filosofia di fondo.
Questo background ha permesso in questi anni a Zychowicz di diventare la star di numerose manifestazioni e convegni organizzati dall’estrema destra polacca e di raccogliere decine di migliaia di visualizzazioni su Youtube oltre ai commenti entusiasti di coloro che, sostenitori del nuovo corso polacco, non esitano a dichiararsi ammiratori dei governi antisemiti della Polonia di Pilsudski se non addirittura dello stesso Hitler.
Il leitmotiv di questa nuova storiografia di cui Zychowicz è la principale anche se non l’unica espressione, può essere così riassunto: cari compatrioti, è ora di mettere fine al senso di colpa (l’Olocausto), che tutti i polacchi sono stati chiamati ingiustamente a caricarsi sulle spalle quanto e forse più dei tedeschi. La Polonia, in quanto storico baluardo al bolscevismo, deve scrollarsi i complessi che la storia del Novecento le ha lasciato in eredità, in primo luogo verso gli ebrei, accomunati sovente ai comunisti sovietici, quando non ai nazisti stessi, nella loro veste di attivi collaboratori nell’organizzazione del proprio auto-sterminio.
Il sempreverde pregiudizio antisemita dello Zydokomuna
Su questa linea, i libri di Zychowicz hanno titoli essenziali, diretti a definire una storiografia che non abdica a sfumature, dubbi o distinguo, ma che individua evangelicamente il nemico o l’amico della nuova Polonia contemporanea. In Zydzi e Zydzi 2 (“Ebrei”), quando non riesce a negare o a formulare dubbi sulla fondatezza dei numerosi episodi che determinarono la fattiva collaborazione di una larga fetta del popolo polacco al genocidio ebraico (le stime più ottimistiche parlano di un numero che va da 100.000 a 200.000 vittime per mano polacca) Zychowicz non esita a ricorrere, sia pure in modo sofisticato e mai diretto, ad alcuni dei sempreverdi argomenti tipici dell’antisemitismo.
E se la liquidazione degli ebrei del ghetto di Varsavia sarebbe avvenuta principalmente a causa dell’attiva collaborazione da parte dalla polizia ebraica dello Judenrat, anche i pogrom commessi da polacchi, quando risultino inoppugnabili, vengono giustificati ricorrendo al pregiudizio antisemita dello Zydokomuna secondo cui agli ebrei sarebbe stato assegnato un ruolo importante nella creazione e nella divulgazione dell’ideologia comunista e nell’attuazione dei suoi misfatti.
E anche se è vero, come scrive Zychowicz, che “gli ebrei non hanno creato il comunismo” è indubbio che “essi abbiano contribuito a rafforzarlo”. Come dimostrerebbero le uccisioni di esponenti delle istituzioni polacche del regime di Pilsudski proprio ad opera di ebrei comunisti e le manifestazioni di giubilo delle comunità ebraiche all’invasione della Polonia orientale da parte dell’Armata Rossa a seguito del Patto Molotov Ribbentropp.
Tutto ciò, ecco la giustificazione di fondo, non poteva non lasciare un motivato rancore in molti polacchi. Questo spiegherebbe anche certe azioni efferate, non solo quelle della prediletta (da Zychowicz) Brigata NSZ Świętokrzyska (Brigata Santacroce), protagonista della caccia all’ebreo per conto dei nazisti soprattutto in Polonia, Boemia e Moravia, ma anche gli eccidi commessi dall’Armjia Krajova, agli ordini del governo polacco in esilio a Londra , come nell’episodio della strage della foresta di Siekierzynski, quando nell’agosto 1944 vennero uccisi 60 ebrei inermi, tra donne uomini e ragazzi, fuggiti da un vicino campo di sterminio.
In questa sua personale ricostruzione, Zychowicz si dimentica di molti particolari fra i quali, a proposito del filosovietismo del ’39 degli ebrei di Volinia e Ucraina occidentale, la sanguinosa successione dei pogrom antiebraici messi in atto dall’esercito regolare polacco da Leopoli a Vilnius a seguito del disfacimento dell’Impero asburgico e quelli perpetrati durante la successiva Guerra Polacco – Sovietica scatenata dalla Polonia nel 1919-21.
Neighbors, di Jan Tomasz Gross, bestia nera dei nuovi revisionisti polacchi
Zychowicz, come altri new historians del nuovo mainstream polacco, non disdegna in Zydzi neppure le interviste a storici discussi e già condannati per negazionismo come l’inglese David Irving, vecchia conoscenza di Zychowicz e il ricorso un po’ vigliacco ai classici metodi di una certa discutibile retorica: se devo accusare gli ebrei, cosa c’è di meglio che intervistare un qualche risentito ebreo “dissidente”? E Zychowicz trova subito chi fa al caso suo: Norman Finkelstein, storico statunitense con dottorato a Princeton, autore del discusso L’industria dell’Olocausto: Lo sfruttamento della sofferenza degli ebrei.
Vellicato da Zychowicz, Finkelstein si scaglia con estrema durezza contro la “bestia nera” dell’estremismo di destra polacco di oggi: quel Jan Tomasz Gross, storico polacco dissidente ed esule negli USA nel 1968, autore di varie pubblicazioni sulla persecuzione ebraica, tra i quali il celebre Neighbors, sull’atroce pogrom contro circa 400 ebrei di Jebeldne, attribuito per 70 anni alla Gestapo e invece compiuto dagli abitanti polacchi della cittadina su ordine del Sindaco. Per Finkelstein, intervistato da un soddisfatto Zychowicz, Gross, oltre ad attingere all’inesauribile miniera d’oro dell’Olocausto per i soliti venali motivi, avrebbe fatto tutto principalmente per garantirsi un posto al sole a Princeton.
Se la Polonia si fosse alleata con Hitler… L’improbabile ucronia di Piotr Zychowicz
Zychowicz riesce a raggiungere più audaci vette nel suo radicale revisionismo che con indubbia maestria contrabbanda, vestendo talora i panni di improbabile vittima, come impavida sfida agli odiosi tabù del, parole sue, “politicamente corretto”.
Già nel Pakt Beck Ribbentropp, e nei successivi Niemcy (Tedeschi) e Sowieci (Sovietici) egli si esercita infatti in improbabili ucronie aventi ad oggetto ipotizzati scenari alternativi di alleanze con il Terzo Reich in funzione antibolscevica. Tanto da immaginare, dopo l’annientamento dell’Unione Sovietica, una successiva invasione polacca della Germania in supporto a Francia e Inghilterra, ed una Yalta con il Primo ministro polacco al posto di uno Stalin sconfitto dall’alleanza tra Polonia e Terzo Reich. Hitler poi, se vogliamo dirla tutta, afferma Zychowicz, nient’altro era che il capo di un partito di sinistra, non sicuramente di destra e semmai assimilabile al sovietismo stalinista.
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In questa sua foga robesperriana, Zychowicz talvolta eccede, giungendo pericolosamente ad accusare prima Pilsudski di aver preferito scendere a patti con Lenin alla fine della guerra polacco-sovietica e poi la stessa Armjia Krajova, colpevole di aver dato il via all’inutile e sanguinosa operazione Tempest (la rivolta di Varsavia) contro l’occupante tedesco e di aver lasciato i polacchi della Volinia alla mercè dell’UPA dell’anticomunista ucraino Bandera, man mano che i nazisti, sotto l’incalzare dell’Armata Rossa, si ritiravano.
Posizioni queste che nell’ottobre 2019, hanno messo in imbarazzo gli organizzatori del concorso di Libro storico dell’anno, organizzato dalla televisione e dalla radio polacche, che, tra polemiche enormi, hanno deciso di mettere fuori gara il libro di Zychowicz Wolyn zdradzony (Volinia tradita) che era in testa alle preferenze dei lettori.
La glorificazione di un antisemita
Per niente intimorito da questa parziale sconfitta che ne ha accresciuto semmai la popolarità, Zychowicz, nella sua ultima opera (Germanofil), celebra uno dei peggiori antisemiti della Seconda Rzeczpospolita polacca, quel Władysław Studnicki, definito “il grande profeta polacco”, strenuo sostenitore dell’alleanza con Hitler, noto in particolare per il suo libello antisemita Sprawa polsko-zydowska, secondo cui gli ebrei nient’altro erano che “parassiti sul sano ramo dell’albero polacco”, e la Polonia una nazione da degiudaizzare completamente.
Possiamo infine solo ricordare le parole di Adam Michnik, fondatore del quotidiano della sinistra liberale Gazeta Wiborcza, che un paio di anni fa, nel cinquantennale dell’epurazione antiebraica nella Polonia comunista di Gomulka, tristemente affermava: Oggi non sento parlare nessuno di quelli che allora ci insultavano come cattivi polacchi o falsi polacchi. Sono scomparsi. Mezzo secolo dopo spero che finirà così anche con chi oggi usa linguaggi antisemiti. Allora era un linguaggio disgustoso, ma allora nessuno parlava dei campi né usava il termine “feccia” come invece si fa oggi. Stereotipi stabili si sono radicati.
Di Spartaco Sottili