Netanyahu è finito al centro di un’indagine che lo vedrebbe destinatario di doni e favori da parte di uomini d’affari. C’è anche una registrazione che rivelerebbe il tentativo del Primo ministro di condizionare la stampa israeliana. Secondo il Procuratore generale potrebbe trattarsi di atti corruttivi.
Il 2 gennaio, con la visita alla casa del Primo ministro israeliano da parte di una squadra di investigatori dell’Unità anti-corruzione Lahav 433, è iniziata ufficialmente l’indagine contro Benjamin Netanyahu. Il colloquio con il Primo ministro si è protratto per tre ore, ed ha marcato l’inizio di una procedura investigativa che occuperà giocoforza il dibattito politico del Paese.
Fatti di questo tipo non sono una novità senza precedenti in Israele: già nel 1996, infatti, Netanyahu, fu il primo capo del Governo ad essere sottoposto a indagini mentre in carica; dopo di lui ci sono stati procedimenti giudiziari contro Barak e Sharon. Infine, c’è stato il processo contro Olmert, primo capo di Governo ad essere giudicato colpevole e condannato alla prigione.
Come scrive Cnn, “Ogni Primo ministro [israeliano] negli ultimi 20 anni è stato oggetto di una qualche indagine”
Lunedì scorso, l’azione investigativa su Netanyahu è stata approvata del Procuratore generale Avichai Mandelblit, il quale aveva avviato per la prima volta un’indagine esplorativa nei confronti del Primo ministro lo scorso giugno a seguito di presunte prove di corruzione presentate dall’Unità Lahav 433.
Al centro delle indagini ci sono diversi scambi di regali e favori che Netanyahu avrebbe intrattenuto con uomini d’affari, sia israeliani che stranieri, e che potrebbero coinvolgere attività di tipo criminale. In particolare, l’attenzione della polizia è concentrata sui contratti per l’acquisto di armi firmati con l’azienda tedesca ThyssenKrupp e sui legami del Primo ministro con il francese Arnaud Mimran, già giudicato colpevole di frode. In caso di incriminazione formale sarebbe molto difficile per Netanyahu rimanere ai vertici del proprio partito e del governo.
Il quotidiano israeliano Haaretz ha inoltre rivelato un’ulteriore dettaglio. Sebbene la notizia non sia stata né confermata né smentita, è stato ipotizzato che il ramo maggiore delle indagini riguarderebbe l’esistenza di alcune registrazioni audio dove si sentirebbe una conversazione tra Netanyahu e Arnon Mozes – proprietario del quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth – nella quale i due sembrerebbero definire un accordo in base al quale Mozes avrebbe ottenuto vantaggi sul giornale concorrente Israel Hayom, in cambio di una linea editoriale pro-Netanyahu.
L’accordo, che garantirebbe il primato di Mozes all’interno del sistema mediatico e giornalistico israeliano, ha suscitato particolare scandalo e curiosità in quanto – oltre a intaccare la fiducia riposta dagli israeliani sulla stampa nazionale, e nello specifico nel giornale di Mozes, spesso critico con il Primo ministro – andrebbe a danneggiare Israel Hayom, di proprietà del magnate Sheldon Adelson, il più diffuso quotidiano nel Paese, vicino ai partiti nazionalisti che sostengono Netanyahu. Adelson, inoltre, ha finanziato la campagna politica presidenziale di Donald Trump.
Il procedimento giudiziario è appena all’inizio, e si è per ora ancora in una fase di supposizioni e attesa, in attesa dell’esito delle indagini. Ciò detto, è interessante guardare a quello che la vicenda rivela sull’attuale realtà della politica israeliana e sui suoi principali attori – Netanyahu, il suo Partito Likud, e l’opposizione.
Per quanto riguarda Netanyahu, la vicenda rivela indubbiamente la sua grande capacità (già dimostrata nel corso degli anni) di volgere le carte del gioco politico israeliano a suo favore – anche quando la mano sembra più scoraggiante. Netanyahu si è affrettato a dichiarare di aver sì accettato in passato doni da uomini d’affari con i quali ha intrattenuto legami, ma di non aver mai oltrepassato i limiti della legalità.
Così facendo, Netanyahu si è prontamente presentato agli occhi dell’opinione pubblica come la “vittima” di una serie di accuse che non hanno fondamenta, e che sono esclusivamente motivate da “ragioni politiche”. Con un post sulla propria pagina Facebook, Netanyahu ha dunque cercato di volgere l’intera vicenda delle accuse a suo favore, parlando di “persecuzione” che da anni va avanti nei confronti suoi e della sua famiglia, creando una narrazione dove vi sarebbe “discriminazione” nei suoi confronti e nei confronti del suo bacino elettorale – che si è raccolto intorno al leader per difenderne l’innocenza.
In un momento delicato come quello attuale, in cui il futuro politico dello stesso di Netanyahu è in gioco, il Primo ministro ha mostrato grande abilità nel rafforzare il consenso dei suoi elettori nei propri confronti, anche creando un fronte sospettoso di tutte le forze (politiche e non) che si trovano al di fuori del Likud e, più in generale, della sua coalizione di ultra-destra. Abilmente sfruttata, tale strategia merita particolare attenzione in quanto sembra essere il fattore principale che sta permettendo a Netanyahu di cavalcare l’onda degli eventi piuttosto che farsi travolgere da essa.
Simili dinamiche di “rallying around the leader” sono attive ed evidenti anche all’interno del partito di cui Netanyahu è alla guida.
Di fronte alle accuse sollevate contro Netanyahu e di fronte al rischio che incombe sul prestigio e sul potere politico del partito, anche i membri del Likud solitamente meno vicini al Primo ministro hanno messo da parte i propri screzi personali e si sono compattati nel difendere il proprio leader.
Seguendo la linea adottata – come visto sopra – dallo stesso Netanyahu che grida alla macchinazione e al complotto, ministri quali Tzachi Hanegbi e Miri Regev, hanno dipinto l’intero procedimento giudiziario come una “persecuzione” pensata e condotta da una sinistra israeliana che sta cercando in ogni modo di porre fine al governo Netanyahu.
È interessante poi notare come anche le opposizioni essa stiano mantenendo un profilo basso di fronte alle accuse della magistratura, e stiano evitando feroci attacchi contro il Primo ministro.
La logica che guida tale comportamento è la consapevolezza che, in un momento così delicato, ogni mossa avventata o parola affrettata potrebbe ritorcersi contro, e che è pertanto più saggio attendere lo sviluppo degli eventi prima di abbracciare una retorica battagliera che potrebbe rischiare di legittimare le accuse di Netanyahu che vorrebbero un complotto politico nei suoi confronti. È in questo contesto che va letta la cautela mostrata finora dal leader dell’opposizione Yair Lapid, che si è limitato a misurate parole di critica verso Netanyahu.
Attualmente, Israele si trova quindi in uno stato di snervante attesa, di incertezza sul futuro del suo Primo ministro, e di dibattito interno sul significato delle accuse mosse contro di lui; e solo l’esito dell’inchiesta potrà dire quali saranno le prossime mosse dei principali attori della politica israeliana.
di Marta Furlan