Tra il 2006 e il 2012 circa 40.000 persone in fuga dalla repressione del regime eritreo o dalle violenze in Sudan e in Ruanda, hanno attraversato il deserto del Sinai per raggiungere lo Stato d’Israele, secondo i dati riportati dall’ARDC (African Refugee Development Center) l’organizzazione no-profit fondata nel 2004 a Tel Aviv, da richiedenti asilo africani e cittadini israeliani, con l’obiettivo di aiutare i profughi a trovare riparo entro i confini dello Stato.
Il governo israeliano, che ha promesso per anni il rimpatrio in massa di questi immigrati africani, agli inizi del mese di Gennaio 2018 ha fissato una scadenza, e ha offerto loro due possibilità: un biglietto aereo per ritornare a casa o la galera. Parola del Primo ministro Benjamin Netanyahu che ha aggiunto: “Last year, we deported approximately 4,000 and the major effort is to deport most of those who remain, who have infiltrated and are present in Israel illegally.”
Le organizzazioni umanitarie si oppongono all’opinione del governo secondo cui queste persone sarebbero “infiltrati” in cerca di lavoro e ricordano come invece siano vittime di persecuzioni in patria.
Tuttavia coloro in possesso di un visto provvisorio (che non qualifica come rifugiati) da rinnovare (talvolta di mese in mese), potrebbero perdere il diritto di restare nel paese entro poche settimane.
Sono in molti a contrastare la nuova politica di espulsione, tra cui centinaia di rabbini in gran parte residenti all’estero e i piloti di El Al la compagnia di bandiera israeliana, che pur non sarebbe (ancora) stata precettata per organizzare i voli, come riportato da Haaretz.
Il governo ha dichiarato di aver raggiunto un accordo con il Ruanda per il rimpatrio di coloro che attualmente si trovano illegalmente in territorio israeliano, ma il paese africano ha smentito.
La questione è identitaria per Israele, che preparandosi a espellere migliaia di persone perseguitate a casa loro, contraddice la sua stessa natura di Stato pensato e creato proprio come porto sicuro per tutti coloro in fuga dall’antisemitismo.