di Leonardo Stiz
Martedì 28 giugno, come già avevamo scritto, si sono tenute le elezioni per scegliere cinque dei membri non-permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, l’organo nevralgico della più importante organizzazione internazionale. Non si è trattato di un evento ordinario: questa volta, nel bene e nel male, le elezioni appena concluse sono destinate a segnare un punto importante nella storia.
Come si vota all’ONU?”
Per chi non fosse pratico del sistema di voto in seno all’Onu, i membri non-permanenti del Consiglio di Sicurezza vengono eletti dall’Assemblea Generale, composta da 193 Stati membri, con una maggioranza qualificata di due terzi (128 voti), quorum che resta fisso ad ogni votazione. Uno Stato, un voto, senza differenziazioni alcune. I seggi sono suddivisi per aree geografiche, motivo per cui l’elezione avviene a gruppi regionali, che sono cinque e racchiudono tutti gli Stati membri dell’area: Africa, Asia e Pacifico, America Latina e Caraibi, Europa dell’Est, Europa dell’Ovest e Altri Stati. Per ogni gruppo, a seconda dei posti vacanti, si eleggono uno o due candidati membri appartenenti al gruppo stesso. Ogni Stato ha diritto di esprimere una o due preferenze per ogni gruppo, a seconda che in esso i Paesi da eleggere siano uno o due. La procedura prevede che si vada avanti ad oltranza con le votazioni finché non si raggiunge il quorum per ogni seggio vacante, procedura che potrebbe richiedere un solo turno oppure, nel caso in cui tale soglia non sia raggiunta subito per tutti, più turni che possono andare avanti ore, giorni, settimane o a volte anche di più (il record è tre mesi).
Le procedure di voto hanno avuto inizio alle 10 di mattina (ora di New York) di ieri, quando il Presidente dell’Assemblea Generale, il danese Mogens Lykketoft, ha disposto la prima votazione. Per il gruppo Africano, all’interno del quale si era già trovato un accordo, viene subito eletta l’Etiopia. Analogamente, per il gruppo dell’America Latina e Caraibi, passa la Bolivia con amplissimo margine. Per il seggio del gruppo asiatico invece, dove si sfidano Kazakistan e Thailandia, il quorum non viene raggiunto e si rimanda al secondo turno. Il gruppo ad attirare maggiormente l’attenzione è però l’Europa dell’Ovest e Altri Stati, dove Italia, Svezia ed Olanda si contendono due seggi. L’Italia, sulla carta, è nettamente favorita, potendo contare teoricamente su un sostegno forte di circa 150 Stati per passare al primo turno. La prima sorpresa arriva quando, invece, il Presidente annuncia che è la Svezia a passare con 134 voti, seguita da Olanda con 125 (solo tre in meno del quorum) ed Italia con 113 voti, circa una quarantina di preferenze in meno rispetto alle aspettative.
Si apre quindi la seconda votazione. Il Kazakistan sorpassa di misura la Thailandia raggiungendo il quorum e conquistando il quarto seggio. Italia e Olanda, che si contendono il quinto, escono dal ballottaggio con rispettivamente 92 e 99 voti: nessuno raggiunge il quorum. Un risultato in miglioramento per l’Italia, sebbene sotto di sette voti, visto che la preferenza da esprimere in questo secondo turno era una sola, diversamente dalle due preferenze del primo. L’Olanda, dall’altra parte, perde quasi trenta voti.
Restano quindi solo i due Stati europei a contendersi l’ultimo seggio, ma la terza votazione si conclude con un altro nulla di fatto, l’Olanda conquistando 96 voti e l’Italia 94. Si procede dunque alla quarta votazione, che però si conclude in maniera analoga: 96 Olanda, 95 Italia. Con l’assemblea spaccata in due, il meeting viene sospeso ed iniziano delle trattative bilaterali tra i due candidati, ma, in seguito, la quinta votazione conferma lo stallo dell’aula dando un risultato di 95 voti a testa. A questo punto l’incontro viene nuovamente sospeso e le negoziazioni si fanno più fitte e lunghe. Al rientro in aula, il Ministro degli Esteri olandese e quello italiano prendono la parola proponendo una soluzione innovativa: la richiesta è quella di supportare un accordo tra i due stati che preveda la spartizione del seggio in Consiglio di Sicurezza, di durata biennale, un anno ciascuno iniziando dall’Italia. L’approvazione dell’accordo, sostanzialmente assicurata, è programmata per i giorni successivi. Stando a ciò, l’Italia occuperà il posto nel 2017, l’Olanda nel 2018.
Questa soluzione “creativa” non ha precedenti nella storia delle Nazioni Unite (sebbene un caso simili sia avvenuto tra Polonia e Turchia nel 1960). Si tratta di un compromesso politico che ha visto coinvolti i governi dei due Paesi, probabilmente dovuto alla particolare situazione dell’Unione Europea provocata dagli ultimi avvenimenti. Una battaglia elettorale tra due membri fondatori dell’UE (che godevano di uguale apprezzamento dall’Assemblea) non era sicuramente negli interessi dell’Unione, né tanto meno dei due Paesi che si troveranno a dover rappresentare un’istituzione in crisi di credibilità. L’aspetto interessante, tuttavia, è che tale accordo potrebbe stabilire un precedente che, se usato in casi analoghi nel futuro, potrebbe stravolgere il modo stesso di concepire e condurre un’elezione nel Consiglio di Sicurezza, visto che la risposta ad una competizione elettorale complessa – invece che in nuove proposte per ottenere i voti – potrebbe sempre più consistere in accordi di questo genere. C’è evidentemente il rischio che questi mini-mandati finiscano per rendere meno efficace il lavoro degli Stati eletti in Consiglio: in un anno, tendenzialmente, si può fare poco se non si adottano agende congiunte.
In ogni caso, per l’Italia si può parlare di una vittoria di Pirro.