Entro il 2021 la Groenlandia potrebbe ottenere l’indipendenza dal Regno della Danimarca, trasformandosi in un soggetto statale a tutti gli effetti (Kalallit Nunaat). Questo potrebbe avere grandi implicazioni per tutta la geopolitica mondiale, con l’ingresso in scena di un nuovo e particolare attore.
Si chiamerà Kalaallit Nunaat. Non è il nome di un immaginario paese tratto dall’ennesimo romanzo di fantascienza, ma la semplice traduzione, in lingua inuit, di “Repubblica della Groenlandia”. Questa vasta e desolante distesa di permafrost (il nome del suolo nei climi freddi perennemente ghiacciato), sita nel cuore della regione artica, potrebbe presto ottenere l’indipendenza. Le trattative sono in corso da anni, e già nel 2008, tramite un referendum, la Groenlandia – che è una nazione costitutiva del Regno di Danimarca – ha trasferito al governo locale le competenze di stampo legislativo, giudiziario e relative alla gestione delle risorse naturali. Con l’imminente ottenimento di una piena indipendenza che renda Kalaallit Nunaat uno Stato sovrano, la Groenlandia diventerà un affascinante cantiere geopolitico, grazie alla sua conformazione geologica, alla sua posizione geografica, alla demografia e identità culturale.
La questione è incredibilmente complessa e prima di avventurarci nelle analisi geostrategiche è opportuno sciorinare qualche dato. La popolazione della Groenlandia ammonta oggi a circa 60mila individui, perlopiù di etnia inuit, concentrati in una manciata di piccoli villaggi sparsi lungo le fasce costiere meridionali, dove il clima è relativamente mite.
I dati statistici parlano di una popolazione giovane e perlopiù stazionaria, con un fenomeno di lieve emigrazione compensato da un tasso di fecondità attestato attorno al livello di sostituzione generazionale – 2.01 figli per donna. L’economia dell’isola è retta dall’industria ittica – esportazione di gamberi e “halibut” – e dai sussidi del governo danese, che coprono una parte più che rilevante del prodotto interno lordo. La scarsa diversificazione commerciale rende l’economia della Groenlandia piuttosto sensibile alle variazioni della domanda estera e del livello dei prezzi nel settore ittico.
Il Paese ha recentemente sperimentato un debole arco recessivo – deficit al 2% tra il 2012 e il 2014 – e un aumento della disoccupazione, assestata al 9%. I sintomi di una lieve crisi economica sono solo parzialmente mitigati dagli effetti espansivi dei sussidi danesi, ma l’aumento globale dei prezzi nel settore ittico, i redditi crescenti generati dall’industria mineraria e le potenzialità di crescita insite nel settore edile, sembrano anticipare una tendenza più che positiva.
Il percorso, ciò nonostante, è irto d’ostacoli: l’alto tasso di disoccupazione in rapporto al basso numero di abitanti, la scarsa presenza di lavoro qualificato, la dispersione geografica, le carenze infrastrutturali, la preoccupante volatilità a lungo termine delle finanze pubbliche e l’emigrazione dei giovani, rappresentano le vere sfide di una Groenlandia indipendente.
Più dell’80% della superficie groenlandese è attualmente coperta dai ghiacci – che in alcune aree della calotta possono raggiungere lo spessore di 3mila metri – e la temperatura, nelle regioni settentrionali, rasenta minime che raggiungono i 60° sotto zero. Le difficoltà derivanti dal clima e dalla morfologia del territorio hanno impedito la costruzione di infrastrutture terrestri e gli spostamenti avvengono perlopiù per via aerea o via mare.
Air Iceland collega Reykjavík con la capitale, Nuuk, e altre città costiere, mentre Air Greenland si occupa dei voli interni. Ivittuut e Kangilinnguit sono gli unici centri urbani ad essere collegati da strade asfaltate. Muoversi via terra verso le altre città portuali della costa occidentale, o verso l’entroterra, rappresenta una scelta estrema, al più riservata ai documentaristi di Discovery o agli esploratori di National Geographic.
Le risorse
La Groenlandia è una delle regioni più ricche al mondo in termini di risorse minerarie e giacimenti di idrocarburi. I suoi ghiacci nascondono carbone, ferro, piombo, zinco, molibdeno, diamanti, oro, platino, niobio, tantalite, uranio, petrolio e gas. Parte dei minerali elencati – alcuni dei quali facenti parti della categoria delle cosiddette “terre rare” – sono largamente impiegati nelle industrie elettronica, petrolchimica, aerospaziale, medica e nucleare. La richiesta di questi beni è in costante aumento e i giacimenti minerari sparsi per tutto il mondo in rapido declino. È per questo motivo che le potenzialità del settore minerario groenlandese sono virtualmente infinite.
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Più dell’80% della superficie groenlandese è coperta dai ghiacci, che in alcune aree della calotta possono raggiungere lo spessore di 3mila metri
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Gli ostacoli maggiori, quantunque, provengono dalle avverse condizioni morfologiche e climatiche. Sul fronte petrolifero la situazione è più complessa. Già dagli anni Settanta le principali multinazionali del settore sono impegnate nell’esplorazione e nella trivellazione dell’Artide, ma i pozzi scavati si sono rivelati tutti sterili e, stante l’abbassamento del prezzo del petrolio, allo sviluppo delle tecnologie shale, e alla mancanza di adeguate zone di scalo portuali, tutte loro hanno temporaneamente abbandonato l’area o chiesto moratorie alla licenza.
L’abbassamento dei costi di trivellazione e le nuove tecnologie sviluppate dai colossi dell’energia come l’americana Exxon, la francese Total o la norvegese Statoil, potrebbero presto modificare il contesto, come anche un rialzo dei prezzi e della domanda di petrolio sui mercati internazionali.
Global warming e opportunità
Un altro fattore che potrebbe presto incidere profondamente è il cambiamento climatico. Le temperature nella zona artica sono in costante aumento e lo spessore della calotta si è praticamente dimezzato nel corso degli ultimi quarant’anni. Ben presto, a causa del riscaldamento globale e dello scioglimento dei ghiacci, la rotta artica – di cui fa parte il celebre “Passaggio a Nord-Ovest” – sarà navigabile anche nei mesi invernali. L’apertura del Mar Glaciale Artico potrebbe avere effetti cruciali nel determinare le politiche commerciali di numerosi paesi e città portuali sparse per il mondo.
Le concessioni per attraversare la regione artica sono in crescita e le più grandi compagnie di trasporto marittimo hanno da tempo puntato il loro sguardo sulle potenzialità offerte dall’apertura di questi nuovi passaggi.
Diverse questioni rimangono in sospeso, come i rischi assicurativi e la confusione creatasi attorno alle rivendicazioni nazionali delle potenze artiche, ma ben presto le cose potrebbero cambiare. Parag Khanna, visionario analista geopolitico, ritiene che l’Artico sarà cruciale per il futuro dell’umanità:
“Il Mar Glaciale Artico, senza ghiacci, presenta due corridoi principali. Il primo, la Northern Sea Route, […] collega le due estremità dell’Eurasia (l’estremo Oriente e l’Europa settentrionale) a nord delle coste russe, per poi scendere nel Pacifico attraverso lo Stretto di Bering e la penisola di Kamchatka. Sono ben due settimane in meno della rotta di Suez. Il secondo, il Passaggio a Nord-Ovest, collega l’Estremo Oriente alla costa orientale del Nordamerica transitando a nord dell’Alaska e del Canada anziché della Russia, facendo risparmiare 10.000 chilometri rispetto alla rotta di Panama”. (Parag Khanna, Connectography, Fazi Editore, 2016).
L’apertura della rotta artica e l’aumento delle concessioni aprirebbe un frenetico ciclo di sviluppo infrastrutturale in tutta la regione Artica, con la costruzione di nuove zone portuali, cantieri navali, gasdotti, oleodotti e relativi apparati di supporto. La Groenlandia sarà protagonista di questa trasformazione epocale. Lo scioglimento dei ghiacci che la cingono lascerebbe posto a un vastissimo arcipelago, un’area ricca di materie prime dal grande valore commerciale, posta lungo quelle che diverranno negli anni le più transitate rotte commerciali del pianeta.
Il riscaldamento globale agevolerà l’esplorazione e lo sfruttamento delle risorse minerarie attualmente intrappolate dal permafrost e innescherà un ciclo produttivo dalle potenzialità inesauribili, sebbene non privo di rischi.
Il futuro ed eventuale Stato sovrano della Groenlandia avrà la responsabilità di gestire, e non subire, questa trasformazione, affrontando non da ultimo i rischi ambientali legati al cambiamento climatico e allo sfruttamento delle risorse: innalzamento del livello dei mari, scomparsa di specie animali protette, catastrofi naturali, inquinamento marino, eccetera. Alcuni sostengono che questo nuovo Stato non potrebbe neppure permettersi di aderire agli accordi di Parigi sul cambiamento climatico, ma le variabili da considerare sono troppe per giungere a conclusioni.
Di certo, il futuro della Groenlandia rappresenta un’incognita d’interesse globale. L’indipendenza potrebbe essere varata già nel 2021, trecentesimo anniversario della colonizzazione danese. L’autodeterminazione del popolo groenlandese e l’indipendenza dal Regno di Danimarca renderanno Kalaallit Nunaat una nazione de iure con piena soggettività internazionale e relative responsabilità.
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L’indipendenza potrebbe essere varata già nel 2021, trecentesimo anniversario della colonizzazione danese.
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Ma questo sarà solo l’inizio. Gli effetti combinati della globalizzazione, dell’apertura delle rotte artiche e del cambiamento climatico, porteranno la neonata Repubblica, di concerto con le potenze del Consiglio artico e delle comunità indigene inuit, ha costruirsi come una nazione de facto.
Si possono già paventare effetti indotti: aumento dei tassi d’immigrazione e relativa esplosione demografica, esigenze di legiferazione internazionale, variazioni dei prezzi sul mercato dei beni minerari, possibile cambiamento degli equilibri diplomatici.
Naturalmente, la mancanza di capability in ambito militare e lo scarso peso diplomatico costringeranno la Groenlandia a politiche di bandwagoning, delegando la propria difesa a potenze estere. Gli Stati Uniti sono presenti sul territorio da oltre cinquant’anni: la Thule Air Base nel nord della massa continentale groenlandese rappresenta l’avamposto militare statunitense più vicino al Polo nord. Anche Russia, Canada e Norvegia si stanno attrezzando per schierare reparti militari in loco, innescando una vera e propria corsa alla militarizzazione dell’Artico.
Gli elementi, per un’analisi geostrategica che presenti un carattere onnicomprensivo, sono molti, ma questo non riduce la difficoltà nell’elaborazione di buoni modelli predittivi. In un recente thriller politico (Ghost Fleet, Mondadori), Peter W. Singer e August Cole, analisti strategici di fama internazionale, hanno messo in scena un’ipotetica Terza guerra mondiale tra gli Stati Uniti d’America e un’improvvida alleanza sino-russa. Messi alle strette dall’invasione sinica, gli americani trovano un alleato proprio nella Repubblica di Kalaallit Nunaat, al quale verrà riconosciuta la sovranità internazionale in cambio di supporto logistico. Le sei navi rompighiaccio messe a disposizione dalla Repubblica artica si rivelano un tassello fondamentale per far sì che i resti della flotta navale statunitense attraversino in segreto la rotta artica e colgano il nemico di sorpresa. Un’opera di fantasia, certo, ma l’acume, rodato dall’esperienza, di Singer e Cole non va preso alla leggera.
Già nel 1985 la Groenlandia aveva deciso di uscire dall’Unione Europea e avvicinarsi a Canada e Stati Uniti per ragioni di vicinanza geografica, tessendo con loro rapporti diplomatici e commerciali. Che quest’avvicinamento possa in futuro rivelarsi di enorme utilità – militare e non solo – per le potenze nordamericane è un’ipotesi da contemplare con grande serietà. Quel che è certo è che il destino di Kalaallit Nunaat e dell’intera regione artica, e con loro quello del mondo tutto, rappresenta una vera e propria lavagna bianca dell’intera regione artica.
di Francesco Balucani