Dopo l’arabo, il latino e il cirillico, il Kazakistan torna all’alfabeto latino. L’abbandono dei caratteri cirillici indicherà anche una minore influenza russa nel paese?
Lo scorso 26 ottobre il Presidente del Kazakistan, Nursultan Nazarbayev, ha firmato il decreto tramite il quale lo Stato si prepara a mutare il suo alfabeto per la terza volta in meno di un secolo. Sino al 1929, infatti, la lingua kazaca era caratterizzata dall’utilizzo di caratteri arabi. Il processo di latinizzazione avviato dall’Urss negli anni Venti fece sì che si iniziassero a utilizzare i caratteri latini nella scrittura di tale lingua. Tale decisione aveva una funzione importante, infatti, impediva alle nuove generazioni di poter conoscere i testi scritti fino ad allora in kazaco, ma soprattutto non permetteva loro di comprendere la lingua del Corano, libro rivelato in arabo per i credenti di fede musulmana. L’alfabeto latino venne utilizzato sino agli albori degli anni Quaranta, quando la campagna di russificazione decisa da Stalin segnò il passaggio all’alfabeto cirillico delle diverse lingue dell’URSS.
La lingua kazaca ha avuto sin dai primi anni dell’indipendenza (25 Ottobre 1990) un valore fondamentale nella costruzione dell’identità kazaca. Il kazaco è stato dichiarato ufficialmente lingua di Stato già nel 1989, tramite un decreto del Supremo Soviet kazaco, il quale, allo stesso tempo, prevedeva l’utilizzo del russo come lingua franca. La questione linguistica fu vista fin dal primo momento come una questione di rilevanza fondamentale per la sopravvivenza della stessa nazione kazaca. I vari interventi legislativi succedutisi negli anni Novanta hanno permesso al kazaco di diventare lingua di Stato, diminuendo in automatico l’importanza del russo. Forte la valenza simbolica di tale gesto con cui la neonata Repubblica kazaca affermava la sua sovranità.
Una nota riguardante un progetto di modifica dell’alfabeto era stato già inserito dal presidente Nazarbayev in un ampio piano strategico, pubblicato da un giornale vicino al Presidente, lo scorso aprile. Non era la prima volta, inoltre, che il leader kazaco faceva un annuncio simile. La possibilità di passare nuovamente ai caratteri latini era già stata ventilata nel dicembre 2012, quando Nazarbayev svelò il suo piano Kazakistan-2050.
Durante un colloquio nel gennaio 2013 con il suo omologo russo, Sergei Lavrov, il ministro degli Esteri kazaco, Erlan Idrisov, aveva rassicurato che tale proposta non aveva alcun fondamento geopolitico, tuttavia, sembra difficile negare i risvolti politici di tale scelta. Un report pubblico da Eurasianet nel 2007, infatti, sottolineava come il principale vantaggio di tale operazione sarebbe stato la possibilità di rafforzare l’identità nazionale kazaca; anzi, secondo tale report, l’adozione dell’alfabeto latino permetterebbe al Kazakistan di passare definitivamente da un’identità di tipo sovietico, ancora fortemente presente (nel 2007) nella coscienza nazionale, ad una vera e proprio identità sovrana kazaca.
Il decreto approvato da Nazarbayev giovedì 26 ottobre, tuttavia, non sembra aver avuto ripercussioni negative nei rapporti fra Russia e Kazakistan. Secondo quanto affermato dall’ambasciatore russo in Kazakistan, Mikhail Bocharnikov, la Russia sembra pronta a rispettare tale decisione storica da parte dello Stato centrasiatico, sottolineando come il legame anche linguistico fra i due Paesi rimanga forte, dato che il russo continuerà a rimanere la seconda lingua ufficiale del Kazakistan, continuando ad essere la lingua dell’istruzione secondaria nel Paese.
Il decreto, secondo quanto dichiarato dal professor Gulnar Karbozova della South Kazakhstan State University, permetterebbe inoltre una più facile integrazione del Kazakistan nel sistema economico e educativo globale, dato l’utilizzo dei caratteri latini in più di 100 Paesi in tutto il mondo.
Tuttavia, nonostante l’alto valore simbolico della decisione, difficilmente l’influenza russa, non solo politica, diminuirà nel breve periodo. I dati dell’ultimo censimento kazaco, che avuto luogo nel 2009, dimostrano infatti come solo il 62% della popolazione si definisca fluente nella lingua di Stato, in confronto all’85% di individui che affermano di avere una conoscenza elevata del russo.
Di Antonio Schiavano