Che qualcosa fosse nell’aria lo si doveva probabilmente già capire nel 2012 quando il Partito Comunista Cinese (PCC) classificò il Mar Cinese Meridionale fra gli “interessi nazionali centrali” al pari, giusto per fare un paio di esempi, di casi come il Taiwan ed il Tibet. Alcuni hanno paragonato tale affermazione alla cosiddetta “dottrina Monroe” con la quale l’allora presidente degli Stati Uniti invitò cordialmente le potenze europee a non immischiarsi in alcun modo e per alcun motivo nelle “faccende americane”, sancendo de facto la fine di ogni rivendicazione europea sul Nord America e successivamente sui Caraibi e sul Sud America.
Da quel momento in poi la presenza cinese nel proprio “cortile” meridionale si è fatta sempre più ingombrante. Sebbene infatti le dispute per il controllo delle piccole isole presenti nel Mar Cinese Meridionale fra i vari paesi che vi si affacciano – in particolare Vietnam, Filippine, Taiwan, Brunei e Malesia – non siano mancate nel corso degli anni, la Cina ha sempre rivolto la propria attenzione strategica (e militare) altrove evitando un coinvolgimento diretto, fatta eccezione per una breve ma sanguinosa guerra con il Vietnam il 14 marzo del 1988 con la quale Pechino si è assicurata il controllo del Johnson South Reef, un piccolo atollo delle isole Spratly.
Ne è riprova il fatto che la Cina, a differenza degli altri paesi coinvolti, non controlla vere e proprie isole ma solamente una serie di avamposti “arroccati” su atolli corallini.
Ma ora l’atteggiamento di Pechino sembra essere decisamente cambiato.
Le rivendicazioni sul Mar Cinese Meridionale
Il Mar Cinese Meridionale è quella porzione dell’Oceano Pacifico compresa fra gli stretti di Singapore e Malacca e quello di Taiwan. L’isola più grande che vi affiora è l’isola cinese di Hainan, mentre isole minori compongono gli arcipelaghi delle Spratly e delle Paracel, le isole Pratas, il Macclesfield Bank ed il Scarborough Shoal.
Come accennato quasi tutti i paesi rivieraschi hanno mire sul Mar Cinese Meridionale; ma solo Cina e Taiwan lo rivendicano (quasi) interamente. Tale rivendicazione risale a tempi antichi (1947, e per questo comune alle “due Cine”) ed è nota in terminologia inglese come nine-dotted line, ovvero una linea di demarcazione definita da una curva ad U (in Vietnam la chiamano la “linea a lingua di mucca“) che comprende l’80% delle acque in questione ed arriva a lambire le coste filippine, vietnamite ed addirittura del Borneo. Anche le Filippine ed il Vietnam reclamano ampie porzioni del Mar Cinese Meridionale: entrambe, ad esempio, rivendicano come proprie la maggior parte delle isole Spratly. Se a ciò si aggiungono le Zone Economiche Esclusive (ZEE) così come definite dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare risulta chiaro come i singoli interessi nazionali non possano che confliggere. A maggior ragione alla luce del nuovo interventismo cinese.
Le isole che non c’erano
L’interventismo cinese nel Mar Cinese Meridionale si manifesta sotto diverse forme. Una di queste è ovviamente la massiccia ed imponente presenza militare, se comparata a quelle delle nazioni “rivali” nell’area. C’è poi da riportare un incremento nella costruzione di piattaforme idonee a sondare i mari alla ricerca di petrolio ed altre risorse (le autorità cinesi parlano della presenza di risorse petrolifere maggiori di quelle dell’intero Kuwait, ma questi dati sono contestati).
Ma soprattutto e sorprendentemente stanno letteralmente costruendo delle isole.
La conferma di quelle che fino ad allora erano solo voci, si è avuta lo scorso settembre quando una troupe della BBC ha fornito la prima testimonianza giornalistica di tali costruzioni ed è riuscita a documentarla con una telecamera.
Come già accennato uno dei principali problemi riscontrati dalla Cina è la sostanziale mancanza di vere e proprie “terre” nel Mar Cinese Meridionale. A tale deficit le autorità di Pechino stanno rimediando dragando milioni di tonnellate di sabbia e rocce dal fondale marino da scaricare poi sulle scogliere sotto il loro controllo per formare così nuove terre. L’apparizione di queste nuove isole dove prima c’erano solo scogli, bassifondi, terre sommerse o al massimo atolli (basta andare su Google Earth per averne la conferma) è sicuramente un ulteriore fattore di destabilizzazione nella lotta territoriale per il Mar Cinese Meridionale.
Ma perché la Cina si sta spingendo sino a questo punto?
Sicuramente una delle ragioni è che, in questo momento, non si può permettere di conquistare isole altrui: un conto è sparare ed uccidere marines vietnamiti come accaduto nel 1988; un conto è fare lo stesso con intere comunità composte anche da donne e bambini, (comunità che ormai popolano le isole in questione, in alcuni casi costruite ad hoc proprio per formare una sorta di deterrente umano).
L’altra ragione è che alla Cina non sembrano interessare tanto le riserve petrolifere del fondale marino, né la posizione strategica delle isole in relazione alle importanti rotte commerciali che le attraversano; né tanto meno si tratta di una mera dimostrazione di forza nei confronti degli altri paesi rivieraschi, già ben consci della loro debole posizione. Sembra più essere una dimostrazione di sovranità e di forza verso il vero rivale strategico cinese nel Pacifico: gli Stati Uniti. Quest’ultimi non riconoscono le pretese cinesi nel Mar Cinese Meridionale e continuano a navigare regolarmente le sue acque; ma ultimamente la marina cinese si sta facendo meno “discreta”: nel dicembre 2013 un incrociatore statunitense è stato prima invitato a lasciare l’area e poi, a seguito del rifiuto del comandante, costretto ad una manovra evasiva da una portaerei cinese. I cinesi stanno affermando la propria “dottrina Monroe” proprio verso i rivali statunitensi. Se per gli Stati Uniti i Caraibi erano il proprio cortile, lo stesso dice la Cina per tutto ciò che è all’interno della cosiddetta “prima catena di isole” nel Mar Cinese Meridionale. Lo scopo ultimo sembra essere quello di impedire l’accesso all’unica altra potenza navale al mondo che possa ostacolare Pechino nella creazione di tale cortile.
Non è un caso che le Filippine affermino, (nel tentativo di trascinare gli U.S.A. nella disputa), che lo scopo di queste nuove isole sia quello di ospitare porti ma soprattutto basi aeree idonee a far decollare caccia. Probabilmente proprio sul Johnson South Reef: parrebbe confermarlo un progetto pubblicato dalla China State Shipbuilding Corporation.
Si tratterebbe questa, di una sfida che gli Stati Uniti si ritroverebbero – probabilmente – a dover raccogliere.
Marco Principia