La Cina sta consolidando la propria presenza in Africa, costruendo infrastrutture strategiche e ricevendo in cambio influenza e alleanze. Il miglior esempio, finora, del funzionamento del Beijing Consensus.
Il 5 ottobre del 2016 è stata inaugurata la linea ferroviaria che collegherà Addis Abeba al porto di Gibuti, consentendo all’Etiopia di avere il tanto agognato “accesso” al mare: si tratta della prima ferrovia elettrificata dell’Africa, che corre in parallelo all’antico tracciato costruito dai francesi nel 1917. A realizzare la ferrovia – lunga oltre 750 km – sono state la China Railway Group e la China Civil Engineering Construction Corporation, due società facenti capo al governo della Repubblica Popolare Cinese, che provvederanno anche all’inquadramento del personale locale.
Questa ferrovia è solo l’ultimo di una serie di progetti infrastrutturali che hanno visto collaborare Cina e paesi africani: nell’ultimo decennio la Cina ha realizzato 1.046 progetti in Africa, costruendo, tra l’altro, 2.233 km di ferrovie e 3.350 di strade asfaltate. Nonostante i risultati già raggiunti, lo slancio cinese non si fermerà, perché nel corso del sesto Forum Ministeriale di Cooperazione Cina-Africa (Focac), svoltosi a Johannesburg il 4-5 dicembre 2015, il presidente della Cina, Xi Jinping, ha promesso di investire ulteriori 60 miliardi di dollari per lo sviluppo di altri 10 grandi progetti.
Il piano prevede una serie di investimenti nei settori industria, agricoltura, infrastrutture, servizi finanziari, tutela ambientale, commercio, povertà, salute pubblica, scambi culturali e, non ultimo, sicurezza. Se nel 2000, anno del primo Forum di Cooperazione, gli scambi tra Africa e Cina ammontavano a solo 10 miliardi di dollari, oggi il flusso di import ed export supera i 220 miliardi di dollari. L’obiettivo annunciato dal premier cinese Li Keqiang è che gli scambi commerciali raggiungano i 400 miliardi entro il 2020.
L’interesse della Cina nello sviluppo dell’Africa non è però disinteressato, i progetti su cui investire vengono selezionati con cura per soddisfare essenzialmente tre obiettivi: assicurarsi un accesso privilegiato alle materie prime necessarie allo sviluppo dell’industria pesante cinese, aumentare l’influenza mondiale del Paese e creare nuove alleanze. È sulla scorta di queste motivazioni che i cinesi, tramite la China Road and Bridge Corporation, hanno concesso 5,2 miliardi di dollari di finanziamenti al Kenya, per la costruzione della linea ferroviaria tra Mombasa e Nairobi, che trasformerà il Paese in un hub logistico dell’intera Africa orientale.
In Nigeria, invece, PetroChina ha stretto accordi per oltre 2 miliardi di dollari con la Nigerian National Petroleum Corporation (Nnpc) per ottenere una corsia preferenziale nel campo dell’estrazione e della lavorazione del petrolio: in cambio la Cina sostiene il conferimento alla Nigeria di un seggio permanente all’Onu. A volte l’aiuto economico non è così diretto, ma mascherato da scopi umanitari: come nel caso di Sierra Leone, Liberia e Guinea, paesi martoriati dal virus ebola ma ricchi di materie prime, dove il ministro degli Esteri Wang Yi è corso per portare solidarietà e aiuti.
Il rapporto tra Cina e Africa è di tipo win-win: si tratta, cioè, di un rapporto paritetico, basato sulla concessione di vantaggi reciproci, nell’ambito del commercio e degli investimenti, senza che ciò implichi l’intromissione negli affari interni. È l’esemplificazione perfetta del concetto di Beijing Consensus, che si contrappone al Washington Consensus il quale proponeva vantaggi commerciali-finanziari in cambio dell’accoglimento di alcune istanze, tra cui accesso al libero mercato e rispetto dei diritti umani.
Molti analisti ritengono che l’atteggiamento cinese possa configurarsi come una sorta di neocolonialismo, in quanto la Cina finanzia progetti infrastrutturali esclusivamente per ottenere materie prime come petrolio, ferro, rame e zinco di cui ha un urgente bisogno. Altri sottolineano, invece, il valore migliorativo delle iniziative cinesi che hanno permesso a paesi dalle economie disastrate di potersi dotare di infrastrutture migliori, un’agricoltura più efficiente, un terzo settore, contribuendo anche alla nascita della classe media africana.
È chiaro che la concessione di questi finanziamenti è particolarmente allettante per Presidenti e Primi Ministri, desiderosi di mostrare ai loro cittadini realizzazioni che le casse locali, spesso vuote o esauste a causa di corruzione e inefficenze, non potrebbero mai permettersi, garantendosi la rielezione. Poiché la corruzione in Africa è molto diffusa e l’instabilità politica è prerogativa di questo continente, la probabilità che i finanziamenti ricevuti non vengano restituiti è molto alta. Il risultato è che nel giro di qualche decennio, la Cina diventerà proprietaria delle maggiori infrastrutture strategiche del Continente, nonché delle miniere e dei pozzi oggetto dei generosi prestiti concessi dal Dragone.
di Danilo Giordano