La geopolitica della Grand Ethiopian Renaissance Dam

I leader di Egitto, Sudan, Etiopia - Al Jazeera
La ripartizione delle acque del Nilo è, da anni, alla base dei rapporti turbolenti tra Egitto, Etiopia e Sudan. I leader dei tre paesi stanno cercando di ricomporre le loro dispute, ma devono stare attenti all’attivismo della Turchia di Erdogan nell’area.

A margine dell’ultimo summit dell’Unione Africana, svoltosi ad Addis Abeba lo scorso 29 gennaio, i leader di Etiopia, Egitto e Sudan si sono incontrati per cercare di ricomporre i turbolenti rapporti tra i loro paesi, relativamente ad uno dei temi più controversi del continente africano, la Grand Ethiopian Reinassance Dam (GERD). La GERD è la grande diga situata alle sorgenti sul Nilo blu, del costo stimato di 4 miliardi di dollari, che gli etiopi hanno iniziato a costruire nel 2011 e che, una volta ultimata, produrrà circa 6 mila Megawatt di elettricità, rendendo l’Etiopia il primo esportatore di energia dell’Africa.

Leggi anche: Summit Unione Africana: cosa aspettarsi da questo vertice?

La costruzione di questa diga è stata osteggiata da tutti i paesi che si trovano a valle del fiume, dato che secondo alcuni esperti la diminuzione dell’afflusso di acqua, a pieno regime, potrebbe raggiungere il 25%. Uno degli attori più interessati alla questione è l’Egitto, il gigante politico ed economico dell’area, che vedrebbe ridotto il flusso d’acqua per i suoi 100 milioni di abitanti, con grosse difficoltà per lo sviluppo sia dell’agricoltura che del settore industriale.

(Il percorso del Nilo – The Economist)

La gestione delle acque del Nilo è regolata principalmente da un accordo internazionale siglato nel 1929 tra governo egiziano e britannico, emendato nel 1959 a seguito dell’indipendenza del Sudan, garantiva un ruolo di preminenza a Il Cairo e Khartoum, a danno degli altri paesi rivieraschi. Il governo etiope, mai interpellato da Egitto e Sudan nel corso dei colloqui, ha rivendicato, nel corso degli anni, un maggior coinvolgimento, anche in virtù del fatto che l’85% delle acque del Nilo provengono dal Nilo Blu, la cui sorgente è in Etiopia. Nonostante una serie di incontri tra i principali attori coinvolti, il giusto approccio alla gestione della acque del Nilo deve ancora essere trovato, e ciò è causa di continui contrasti.

A mettere a rischio il raggiungimento di un accordo per risolvere questa ennesima crisi regionale sono stati soprattutto i rapporti molto contrastati tra Egitto e Sudan. Fino all’incontro di Addis Abeba il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, peraltro prossimo alla scadenza del suo mandato, ha avuto comportamenti contrastanti circa le rivendicazioni del suo paese, giungendo a propositi di ampliamento della cooperazione anche agli altri paesi coinvolti, ossia Tanzania, Ruanda ed Eritrea. Le reali intenzioni del presidente egiziano sono state però svelate da alcuni report che hanno reso noto l’invio di una lettera da parte di al-Sisi al premier etiope Hailemariam Desalegn, per cercare di istituire un collegamento diretto tra i due paesi, emarginando il Sudan. Per tutta risposta, il governo di Khartum ha ordinato la chiusura delle frontiere con l’Eritrea, accusata di essere connivente con l’Egitto, richiamato il proprio ambasciatore in Egitto, ripreso le rivendicazioni sul possesso dell’area di Hala’ib nel Mar Rosso, chiedendo all’ONU di regolare la disputa.

In tale contesto, di per sé già molto complicato, si sono inserite anche le rivalità geopolitiche tra Egitto e Turchia, quest’ultima sostenitrice dell’organizzazione dei Fratelli Musulmani, contrastati in patria da al-Sisi, e accusata di avere instaurato rapporti troppo stretti con il Sudan. Nel mese di dicembre il presidente turco Recep Tayip Erdogan si è recato in visita ufficiale in Sudan, dove ha ottenuto dal presidente sudanese Omar al-Bashir la concessione temporanea della città portuale di Suakin alla Turchia, ufficialmente per sostenere il turismo, secondo gli egiziani per costruire una base militare.

In questo contesto il vertice di Addis Abeba è considerato un importante nuovo punto di partenza. I capi di stato di Egitto, Sudan ed Etiopia hanno dato mandato ai loro ministri competenti di redigere, in un mese, un rapporto che elimini tutte le incertezze che circondano il progetto della grande diga. Inoltre, i leader si sono accordati per incontri annuali, nel quale affrontare le problematiche, e per l’istituzione di un fondo che sovvenzioni la costruzione di infrastrutture che favoriscano i collegamenti tra i loro paesi. Nel corso del meeting di Addis Abeba il primo ministro etiope Hailemariam Desalegn ha affermato, con forza, che il progetto non è mai stato intrapreso per danneggiare qualche paese, ma esclusivamente per provvedere ai vitali bisogni energetici dell’area e per lo sviluppo della cooperazione regionale.

Danilo Giordano