L’Europa, anche sotto il profilo militare, ha necessità di compiere importanti scelte e, per la prima volta dopo decenni, la Germania sembra aver ripreso l’iniziativa avviando la progressiva integrazione all’interno del suo esercito di brigate di altri Paesi membri dell’Unione Europea. Si aprirà così la via a un’autonomia maggiore rispetto alla NATO o ancora una volta si imboccherà un binario morto?
Nel corso degli ultimi anni si è tornato a discutere della nascita di un sistema di difesa europeo, anche per via un insieme di fattori convergenti. In primis l’apparente allontanamento degli Stati Uniti rispetto al contesto europeo sotto la presidenza di Barack Obama e, più recentemente, le dichiarazioni di obsolescenza della NATO da parte di Trump, senza tralasciare gli avvenimenti che a partire dal 2014 hanno visto protagonista una risorgente Russia. Infine, non sono da escludere nemmeno le sempre più pressanti minacce dettate dal terrorismo internazionale e la crisi stessa dell’Unione Europea.
L’idea di un sistema integrato di difesa europeo trae origine dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e, specificatamente, dalla volontà da parte dei Paesi più potenti del continente di evitare di ritrovarsi ancora una volta in conflitto tra loro. Questi due, una Germania divisa e la Francia vincitrice ma essa stessa politicamente in difficoltà, pensarono di dar vita a una variante militare della CECA (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio), il prodromo della CEE. Tuttavia, l’esperimento fallì miseramente a causa dell’opposizione del Parlamento transalpino, segnando l’accantonamento definitivo di tale entità.
Ulteriore elemento di concorrenza lo si ebbe con la nascita della NATO, che vide sin da subito la partecipazione del Canada e del peso massimo “a stelle e strisce”; il tutto in funzione anti-sovietica. Senza alcun dubbio va sottolineato come quest’ultima organizzazione si configurò come il bastione di garanzia della libertà e sicurezza del continente che, di conseguenza, smise di preoccuparsi delle questioni militari. L’ombrello nucleare degli Stati Uniti fu posto come garante.
L’aver delegato la sicurezza a un attore esterno al continente condusse i Paesi dell’Unione Europea a una sostanziale incapacità d’azione durane la guerra nei Balcani dei primi anni ’90, lasso temporale nel quale si registrarono nel contesto europeo i maggiori massacri nei confronti di una popolazione civile dalla fine della guerra mondiale. Solamente il peso militare degli USA e la messa in moto dei meccanismi collettivi di difesa costrinsero le parti in conflitto a negoziare, sottolineando la preoccupante mancanza di strumenti coercitivi da impiegarsi nel caso in cui gli organismi europei deliberassero una necessità d’agire militarmente.
Il quadro si è ulteriormente complicato da quando gli obiettivi strategici tra le due sponde dell’Atlantico hanno cominciato a divergere. Questo è diventato particolarmente evidente durante gli anni della presidenza Bush, per poi confermarsi durante l’era Obama, il quale in virtù del riposizionamento strategico verso l’Asia, ha ridotto il numero delle unità statunitensi in Europa a 30.000 effettivi – ben distante dalla realtà numerica presente durante la Guerra Fredda.
Come se non bastasse, si è aggiunta la tematica legata alle spese militari dei maggiori Paesi UE che, a eccezione di due o tre casi, restano piuttosto basse nonché scarsamente indirizzate verso quelle capacities and capabilities necessarie nel contesto della guerra moderna. Basti pensare che l’intervento in Libia, voluto principalmente dalla Francia, non si sarebbe concluso con il medesimo esito se gli Stati Uniti non avessero fornito alcune risorse chiave (munizioni di precisione, piattaforme ISR e aerei da rifornimento). E’ evidente dunque che il discorso di forze armate europee torni oggi ad affacciarsi prepotentemente
Un primo e, in prospettiva, interessante esempio arriva direttamente da Berlino, fatto piuttosto singolare data la storia passata e presente della Germania. Infatti, va ricordato come il ruolo dei militari in quel Paese inevitabilmente porti con sé il peso della storia e, non a caso, il dispiegamento delle unità al di fuori dei confini nazionali sia stato sempre accolto con diffidenza e solamente negli ultimi anni si sia riusciti a superare un certo grado di scetticismo.
Persino un fatto come il passaggio dalla coscrizione obbligatoria alla professionalizzazione (avvenuto nel 2011) ha ridestato paure di un sostanziale scollamento dei militari dai civili, con il rischio di derive autoritarie. Anche nelle settimane scorse sono emersi fattori preoccupanti, data la scoperta in un certo numero di caserme di cimeli risalenti al periodo nazista e di soldati aventi visioni esplicitamente estremiste ma mai esplicitamente disciplinati dagli ufficiali superiori.
In ogni caso, passando al versante prettamente organizzativo, è importante portare alla luce come il Deutsches Heer, ossia l’Esercito tedesco, abbia approvato il piano di integrare nelle sue strutture unità operative appartenenti a tre paesi: Olanda, Repubblica Ceca e Romania. La ragione ufficiale associata a questa mossa concerne la suddetta volontà di costituzione di forze europee indipendenti dalla NATO (oltre all’aumento del peso specifico della Germania all’interno della stessa), ma quella ufficiosa attiene alla scarsità di uomini costituenti la componente terrestre dalle Bundeswehr. Infatti a fronte di un paese di 80 milioni di abitanti le risorse disponibili si situano attorno ai soli 60.000 uomini (l’Italia pur avendone circa 20 milioni in meno di cittadini, presenta nella sua componente terrestre una cifra pari a 90.000 unità che, in situazioni operative come quelle nelle quali i cosiddetti “boots on the ground” sono fondamentali). Ovviamente il beneficio ricade anche sulle controparti, dato che le Forze Armate tedesche sono tecnologicamente avanzate e permettono scenari addestrativi e d’impiego maggiori a quelli che i tre paesi sopra elencati potrebbero mai ottenere singolarmente.
Tale grado d’integrazione si sostanzia in diverse specialità: in special modo il reparto olandese, ossia la 43a Brigata meccanizzata si inserisce all’interno della 1a Divisione Panzer, impiegata in conflitti ad alta intensità e che richiederebbero unità corazzate. All’interno della brigata medesima si tenta l’ulteriore esperimento di avere un battaglione tedesco, una cui compagnia sarà costituita da olandesi impieganti mezzi dell’alleato. La 10a Divisione Panzer, invero, dal 2017 ha accolto la 4a Brigata di dispiegamento rapido proveniente dalle Forze Armate ceche, un’unità che andrà a trovare posto all’interno della forza normalmente impiegata dalla Germania nei conflitti a bassa intensità o nelle operazioni di stabilizzazione. Infine, l’11a Brigata aeromobile olandese e l’81a Brigata meccanizzata romena operano sotto il comando della Divisione Forze Rapide, ossia le forze aviotrasportate.
È facilmente comprensibile come le difficoltà in tale esperimento siano notevoli, a partire dalla difformità di tattiche e mezzi impiegati ma soprattutto dalla lingua che verrà utilizzata per operare. Tuttavia, paradossalmente, nonostante si cercherà di guadagnare una maggiore autonomia rispetto agli alleati anglosassoni, ancora una volta l’inglese sarà impiegato come lingua franca per le comunicazioni tra le parti.
Quanto espresso fino a ora potrebbe trovar ancora maggiore importanza e concretezza in questi giorni, infatti parrebbe emergere dopo la riunione del G-7 di Taormina che la divisione transatlantica sia sempre più larga e che l’Europa, stando alle parole della Merkel, debba fare da sola o comunque non aspettarsi più un aiuto garantito da parte degli Stati Uniti.
Conseguentemente, la questione della difesa e sicurezza collettiva risulterà essere una delle tematiche di cui certamente tener conto, con la Germania che come sopra esplicitato, potrebbe fare da capofila in ragione della preannunciata uscita del Regno Unito dall’UE (nonché dello speciale legame con gli USA) e la diffidenza della Francia a farsi imbrigliare in meccanismi multilaterali (grazie soprattutto al suo armamento nucleare).
Le settimane e i mesi futuri serviranno a comprendere se il progetto non si arenerà come già accaduto in passato e se altri stati si aggregheranno, in particolar maniera le scandinave Svezia e Finlandia (i cui legami con la cultura tedesca risultano saldi), che pur facendo parte dell’Unione non sono inserite nel contesto NATO.
di Luca Bettinelli